lunedì, 29 Aprile 2024

Genitori e figli di serie B: storia di un’Italia che (non) si vergogna

Indorare la pillola dell'abbandono del piccolo Enea nella "Culla della vita" del Mangiagalli di Milano, accusare di abominio le coppie che intraprendono la maternità surrogata o giustificarle in nome della retorica del dono, sono solo le mille facce di uno Stato ipocrita, che trema dinanzi alle scelte.

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Ciao mi chiamo Enea. La mamma mi vuole bene ma non mi può seguire. Sono nato in ospedale perché la mia mamma voleva essere sicura che era tutto ok e stare insieme il più possibile“. Queste le parole scritte per presentare Enea ai medici del Policlinico Mangiagalli di Milano, e lasciate lì, su un foglio bianco dalla donna che l’ha messo al mondo, quella madre con l’anima squarciata dallo strazio che lo ha abbandonato.

Enea ha una settimana di vita e ieri, 9 aprile 2023, è stato posato da sua madre nella “Culla per la vita” del nosocomio milanese, proprio nel giorno di Pasqua, mentre in gran parte delle case d’Italia le famiglie trangugiavano cibo e giocavano a spaccare con la testa le uova di cioccolato. È il terzo bambino dal 2007 adagiato in questa “ruota degli esposti“, figlio di una mamma che ha scelto di rinunciare a lui, affidandolo alle cure del personale sanitario e degli operatori sociali che avvieranno il percorso d’adozione.

Enea è arrivato in questi giorni del Signore, quando gli italiani, la politica, l’opinione pubblica, i social e i giornali pensavano di poter mettere in pausa i problemi, le battaglie per le libertà civili, le polemiche riguardo alla maternità surrogata, i dibattiti sul diritto di filiazione delle coppie omogenitoriali, tutte quelle questioni che fino a due giorni fa infiammavano i talk show, sempre sul filo di una becera rissa tra progressisti e conservatori.

Quanto amore e quanta sofferenza in questa mamma! Buona vita Enea la tua mamma biologica ti ha voluto tanto bene e ti ha dato l’opportunità di avere una vita migliore“, ecco solo uno dei migliaia di commenti digitati a margine degli articoli su questo abbandono. Parole di compassione e piene di carità cristiana rilasciate da quegli stessi utenti che per settimane hanno vomitato giudizi contro le coppie omosessuali ed eterosessuali che raccontavano di aver dovuto lottare con le grinfie e con i denti per avere un figlio in Italia e magari poterlo adottare, finendo poi per essere costrette a volare in Canada, Stati Uniti, Grecia e Ucraina e realizzare il proprio sogno di genitorialità grazie a una gestante. Quei padri, quelle madri e la donna che ha prestato loro il suo utero sono “pedofili“, “criminali“, “razzisti“, gente che “scambia i bambini per puffi” o li sceglie “come fossero tinte di casa“, mentre la madre biologica di Enea è “un angelo caduto dal cielo coraggioso” che “non ha avuto scelta” e ha preferito “donare” ad altri il suo bambino per garantirgli una vita migliore.

Quindi, fatemi capire, secondo questa logica perversa volere un figlio a “tutti i costi” è abominevole, magari pagando 80mila euro come hanno fatto Vanessa, paziente oncologica, e Marco suo marito; altrettanto raccapricciante è che Francesco e Ciro, due uomini innamorati e uniti civilmente, volessero adottarlo, finendo poi per recarsi tra i ghiacciai canadesi e riporre le proprie speranze di famiglia nel grembo della loro gestante Rachel. Loro sarebbero l’anticristo della genitorialità, padri e madri di serie Z, esseri spregevoli che gli odiatori – obnubilati dalla querelle tra vegani e carnivori su quanto sia legittimo o meno spolpare agnellini durante le festività pasquali – non vedono l’ora di giudicare, additare, etichettare, mettere alla gogna. Mentre la mamma di Enea è una povera donna affranta che bisogna giustificare in ogni modo possibile e immaginabile, una vittima del sistema da prendere a cuore come fosse una sorella.

Forse non aveva un lavoro, ha fatto bene a lasciarlo in ospedale, sempre meglio che abortire. Che grande mamma“, commenta Angela. “Un gesto d’amore“, scrive Giorgio. Nessuno, dunque, che osi parlare di scelta, tutti convinti sia necessario coprire di retorica questo atto doloroso, ma lecito e libero, come se ci fosse bisogno di occultare l’autodeterminazione di questa madre con la stessa copertina verde che avvolgeva Enea. E proprio qui sta il punto: ci nascondiamo continuamente sotto una coltre asfissiante di retorica per paura di sembrare meno buoni e coccolosi, di apparire terribilmente cinici. Perché l’Italia, come gran parte degli Stati timorati di Dio e in cui la maggioranza è ventriloqua e usa la pancia per esprimersi, ha paura anche solo di pronunciare il verbo “scegliere”, trema dinanzi al progresso, alle società e alle famiglie che cambiano esigenze e forme a vista d’occhio, è mortificata dal fatto che ci sia qualcuno disposto a lottare e spendere anche parte del proprio patrimonio per poter avere un figlio tra le braccia, poterlo crescere, litigarci ed esser disposto a spezzarsi il cuore quando lo vedrà andar via da adulto, lungo la sua strada. L’Italia si vergogna delle migliaia di donne occidentali che diventano surrogate per “prestazione”, “lavoro”, riuscendo a tirar su un guadagno onesto e lecito nei loro Paesi per portare avanti la propria di famiglia, al di là del provare piacere nell’aver cresciuto in grembo un bimbo per altri.

Indorare la pillola dell’abbandono di Enea, accusare di sacrilegio le coppie che scelgono di intraprendere la gestazione per altri o giustificarle in nome della retorica del dono, descrivendo queste storie come fossero fiabe dei Fratelli Grimm in cui le gestanti sono sempre fatine che regalano per 9 mesi un posto letto nel proprio utero, sono solo le facce di una stessa medaglia. Menzogne che la nostra società ipocrita continua a raccontarsi, per paura del pragmatismo, della verità, del libero pensiero.

La bufera sulla maternità surrogata, la violazione dei diritti commessa nei confronti delle coppie omogenitoriali che in Italia non vedono più il riconoscimento dei propri bambini, dimostrano quanto vi sia l’urgenza di normalizzare i desideri e le scelte smettendo di pensare che gli atti o le pratiche siano legittime solo in nome del dono.

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