giovedì, 25 Aprile 2024

Gestazione per altri, la scelta di Maria Sole Giardini: “Non posso avere figli. In lista per l’adozione da anni”

Maria Sole è nata senza utero, ma con ovaie e ovociti. Lei e suo marito Sergio ci hanno raccontato la loro battaglia assieme all'Associazione Luca Coscioni per la legalizzazione della gestazione per altri in Italia e cosa potrebbe accadere se dovesse diventare "reato universale".

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“Ho scoperto a 14 anni di essere una ragazza Roki, nata senza utero, ma con ovociti e ovaie, quindi in realtà fertile. Io e mio marito Sergio vorremmo essere liberi di coronare il nostro sogno di diventare genitori in Italia mediante gestazione per altri solidale. Perché non l’adozione? Siamo in lista da tre anni, nel nostro Paese bambini in stato d’abbandono da poter adottare, per fortuna, non ce ne sono“. Prima di conoscere Maria Sole Giardini non avevo mai visto così tante divergenti emozioni srotolarsi negli occhi di qualcuno. La storia di questa giovane giornalista ternana inizia anni fa, da adolescente, più o meno a quell’età in cui sbraitiamo come iene contro mamma e papà, che dal canto loro continuano a sbaciucchiarci davanti al portone del ginnasio. Maria Sole freme dalla voglia di correre a grandi falcate di fianco al tempo, come tutte le altre, ma il percorso che l’aspetta è un sentiero di montagna, non una strada a quattro corsie. I mesi passano, il ciclo mestruale non arriva e vede intanto tutte le sue compagne divenire donne, chiedendosi perché la sua lancetta biologica non segni ancora l’ora delle grandi scoperte.

Nel giro di qualche tempo Maria Sole piomba in un girone dell’inferno, in cui le uniche tappe sono studi medici, anticamere d’attesa, ospedali e sale operatorie. Arriva la diagnosi: sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser. Non potrà mai avere una gravidanza, perché non ha la culla per ospitare una nuova vita, nonostante sia fertile. “Da quel momento è stato il buio totale – mi spiega Maria Sole – in Italia questa malattia era completamente sconosciuta; una patologia rara, certo, ma che colpisce una donna su 5mila, un’incidenza nemmeno così bassa. Mi sono persa nel limbo della burocrazia, ritrovandomi dinanzi a medici insipienti che affermavano che non avrei mai potuto avere figli”. Maria Sole Giardini è qui, dall’altra parte dello schermo, con suo marito Sergio Pecorari, per raccontarci il suo travaglio per la legalizzazione della gestazione per altri in Italia, per affermare il loro diritto alla genitorialità.

Sergio Pecorari e Maria Sole Giardini

Maria Sole, come hai capito che la gestazione per altri poteva offrirvi la possibilità di diventare genitori?
«Nemmeno i medici sapevano dirmi cosa fosse la sindrome di Rokitansky dalla quale sono affetta, così da quel momento cominciai a studiarla. Mi resi conto che c’erano tanti Paesi molto più avanti di noi, Stati che davano la possibilità di avere figli per conto d’altri, in cui avremmo potuto probabilmente coronare il nostro sogno. Non parliamo di certo del Terzo mondo, ma di Stati Uniti, Canada… e mi sono chiesta: perché loro sì e noi in Italia no? Quando ho conosciuto Sergio, il compagno della mia vita, abbiamo cominciato a informarci sulla pratica della gestazione per altri, venendo a conoscenza di molte coppie che avevano avuto un bambino in questo modo, ma che si nascondevano. Assurdo, erano diventati genitori, avevano la gioia più grande che si potesse mai desiderare, eppure non potevano condividerla con il mondo. Dovevano raccontare bugie a loro stessi, ai loro figli e a tutti coloro che li circondavano, perché qui in Italia c’era e c’è tantissima ignoranza sul tema, tanto da spingerli a mentire per proteggersi».

Nel 2016 hai lanciato un appello pubblico in cui chiedevi l’aiuto di una mamma per diventare mamma, sostenuto dall’Associazione Luca Coscioni, di cui poi sei diventata consigliera, nonché testimonial della loro battaglia per la legalizzazione della gravidanza solidale per altri in Italia. Hai avuto dei riscontri?
«Come racconto sempre la prima madre a offrirsi è stata la mia, lo dico sempre proprio per far capire che siamo ben lontani dall’ottica dello sfruttamento. Purtroppo lei non poteva per motivi di salute e quindi abbiamo dovuto fare questo appello pubblico per cercare una mamma che solidaristicamente, senza costrizioni e pagamenti, ci aiutasse a diventare genitori. Hanno risposto in tante, molte più di quelle che possiate pensare. A discapito di chi dice che non lo farebbe mai nessuno. Alcune non avevano i requisiti; ad esempio c’è Martina Colomasi, una giovane avvocatessa, che aveva anche donato i suoi ovociti e si era resa disponibile ad affrontare una gravidanza per noi. Parliamo di una professionista, non di certo una donna povera costretta dalle circostanze. Si tratta di una donna libera che capisce il dolore che c’è dietro, avrebbe fatto la stessa cosa per suo fratello omosessuale. Però Martina non aveva figli e non ce la siamo sentita di andare avanti con lei, in quanto sarebbe stata la sua prima gravidanza. Poi c’erano altre donne più in là con l’età, come mia madre, già verso la menopausa e quindi abbiamo scelto di tutelare la loro salute. Abbiamo poi trovato tra tutte una candidata ideale: aveva l’età giusta, già mamma di due bambini, una donna del nord Italia che ha sempre chiesto l’anonimato per tutelare più che altro i suoi figli, non di certo per lei che considerava il suo gesto assolutamente giustissimo. Anche lei si chiede come è possibile che in Italia la gestazione per altri sia illegale. Con questa donna siamo andati in Tribunale, supportati dall’Associazione Luca Coscioni, per chiedere di aiutarci a diventare genitori in modo solidale e senza scambi di denaro come avviene in tantissimi Paesi europei».

Il Tribunale ha emesso una sentenza di cui parli nell’ultimo capitolo del tuo libro “Roki. Storia di una battaglia“, Edizioni Italiane. A che punto siete?
C’è stata la sentenza appunto, chi comprerà il libro scoprirà come è andata a finire, in quanto abbiamo deciso di non renderlo noto mediante gli organi di stampa. Posso dire che ancora non è finita e continueremo a lottare. C’è una proposta di legge depositata alla Camera dei Deputati per regolamentare la gestazione per altri solidale in Italia che speriamo venga presto discussa. Nel frattempo ci auguriamo che venga bocciata, invece, quella legge che vorrebbe rendere la surrogacy “reato universale”. Come ben sai, dalla Commissione Giustizia della Camera è stato approvato il ddl di Giorgia Meloni, che vorrebbe mettere in galera non solo chi ricorre alla pratica in Italia – come già tra l’altro vietato dalla legge 40/2004 – ma anche chi commette il fatto all’estero, dove la gestazione per altri è legale, regolamentata e praticata ogni giorno».

Se questo disegno di legge dovesse passare cosa significherebbe per il nostro Paese? C’è il rischio che molte famiglie scelgano di trasferirsi all’estero?
«Io lo farei! Molti giuristi sperano che questa legge non passi, in quanto violerebbe la Costituzione per il divieto di doppia incriminazione vigente: ovvero, se si vuole punire una coppia che ha commesso un fatto in un altro Paese, quel qualcosa deve essere necessariamente illegale anche lì; se invece in quel Paese quella pratica è legale si va a violare le leggi di quello Stato. Molti ritengono che questo ddl sia solo una forma di propaganda e che difficilmente possa passare. Certo è che se la gestazione per altri dovesse divenire reato universale si finirebbe per mettere in carcere genitori che hanno passato le pene dell’inferno, coppie per la maggior parte eterosessuali, tra cui donne che non possono affrontare in alcun modo la gravidanza a causa di un cancro, un’endometriosi o per aver subito un’isterectomia d’urgenza. Sono tutte storie tragiche, storie di persone che hanno ritrovato la speranza e la voglia di vivere nel momento in cui hanno avuto questo bambino desiderato. E se dovesse passare questo progetto di legge il piccolo tanto voluto verrebbe loro tolto e sarebbe sbattuto in orfanotrofio. Un tempo c’era un certo Erode che toglieva i bambini alle coppie, pensavo che ci fossimo evoluti da allora, ma evidentemente non è così. Per non parlare di Giorgia Meloni, che ho incontrato in piazza nel corso della nostra manifestazione per le ragazze Roki, e ha detto pubblicamente che non sapeva dell’esistenza di questa sindrome. In pratica, lei ha presentato questa legge senza sapere a chi fosse rivolta. È fuori discussione che si tratti di temi che scaldano le pance e fanno raccogliere voti prendendosi gioco del dolore di troppe persone. Se la legge dovesse passare purtroppo, però, credo che molti continueranno a nascondersi, a mentire ai loro figli e a loro stessi; continuerà il sottobosco dell’illegalità, ci saranno reti di illeciti che favoriranno lo sfruttamento che tanto si vuole bloccare. L’unico modo per evitare tutto questo sarebbe invece la legalizzazione e la regolamentazione della gestazione per altri in Italia».

Avreste potuto avere un figlio mediante gestazione per altri nei tanti Stati in cui la pratica è legale, cosa vi ha spinto a volerlo fare in Italia?
«Con il senno del poi…(ride). No, noi volevamo raccontare al nostro bambino tutta la verità, e per farlo dovevano cambiare le cose nel nostro Paese. Forse per utopia, follia o qualunque altra cosa, ma se non fossi venuta allo scoperto io non si sarebbe conosciuta così tanto la sindrome di Rokitansky e le persone avrebbero continuato a credere alle argomentazioni sbagliate. Durante il primo incontro avuto con Filomena Gallo, avvocato e Segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, lei mi chiese se fossi sicura di rendere pubblica la mia storia, in quanto ci sarebbero stati attacchi e molte altre difficoltà, ma io le risposi di sì, perché vorrei lasciare un mondo migliore ai miei figli, senza ignoranza e cattiveria. In secondo luogo abbiamo scelto di non affrontare la gpa all’estero anche per motivi economici. La surrogacy praticata in altri Paesi è costosa e non si tratta di poche migliaia di euro… Contrariamente a quanto si dice, questi soldi non vengono destinati interamente al pagamento della madre gestante, ma vengono destinati alle agenzie, alle cliniche private, agli avvocati, ai viaggi e soggiorni. Invece, nelle zone in cui la maternità surrogata è solidale non ci sono spese del genere, se non quelle relative alla gravidanza della gestante. Per il resto si tratta di pagamenti alle cliniche private e alle assicurazioni, come ad esempio in America, dove il costo della maternità surrogata è altissimo (circa sui 150mila euro ndr). Tuttavia, c’è da dire che anche la fecondazione medicalmente assistita comporta un esborso economico rilevante sia all’estero che in Italia; con l’aggravante che andare in altri Stati significa sobbarcarsi di costi ulteriori rispetto a quelli della pratica in sé».

Chi si oppone alla gestazione per altri spesso si appella all’adozione. Te lo sarai sentita dire innumerevoli volte, perché non adottare?
«Perché in Italia per adottare devi essere una coppia eterosessuale sposata da almeno tre anni. Noi all’inizio convivevamo solamente, ci siamo dovuti sposare, abbiamo fatto l’iter dell’adozione e siamo in lista più o meno da tre anni. Fondamentalmente la risposta è che in Italia bambini in stato d’abbandono da poter adottare, per fortuna, non ce ne sono. I minori abbandonati vanno in case famiglia, in attesa che venga recuperata la famiglia di origine. Se questo poi non è possibile, vengono affidati ai nonni, agli zii o ai parenti fino al quarto grado per rimanere nel nucleo famigliare. I bambini che vengono abbandonati salgono agli onori della cronaca in Italia perché sono pochissimi, mentre sono tantissime le coppie che fanno domanda di adozione. Nel nostro Paese circa il 20-30% riesce ad adottare, il restante 75% resta in attesa e rinnova ogni tre anni la domanda, un iter lunghissimo che spesso porta alla rassegnazione. D’altro canto, le adozioni internazionali costano: se ci sono spese per la gestazione per altri, ce ne sono di identiche anche per queste. Si parla di 50mila euro per adottare all’estero, più i mesi di spostamenti e soggiorni. Ma le persone tutto ciò non lo sanno e preferiscono chiedere perché non adottiamo, piuttosto che informarsi».
Sergio: «Poi chi fa questa domanda non conosce il percorso che bisogna fare per adottare. Ci sono diversi step: vieni valutato da parte di assistenti sociali che vengono ripetutamente in casa tua, giudicato, devi presentarti in Tribunali per fare la domanda e magari ti ritrovi nella sala d’attesa affianco alla madre a cui è stato tolto quel bimbo che tu vorresti adottare. Insomma, non sono affatto rose e fiori».

Sergio, quando pensiamo alla genitorialità troppo spesso consideriamo unicamente le madri, finendo per mettere nell’angolo i padri e il loro istinto. Tu come hai vissuto e vivi questo percorso, senti che la legge italiana ti stia negando il diritto alla paternità?
«Ovviamente Maria Sole è stata più pronta nell’affrontare questo percorso, perché avendo scoperto sulla propria pelle questa malattia nell’adolescenza ha avuto più tempo per capirla. Quando ci siamo conosciuti, dopo i primi appuntamenti, mi ha subito detto che non poteva avere bambini e ovviamente non è mai stato un problema; non può esserlo quando ci si conosce, si vuole stare insieme, ci si ama. Con il passare del tempo è nato anche questo istinto di genitorialità che ci ha fatto pensare a quali fossero le nostre soluzioni. In Italia abbiamo l’adozione e poco altro, ma fortunatamente viaggiando abbiamo scoperto l’opportunità della gestazione per altri, ci siamo detti: perché non provarci? Ciò che mi dà fastidio è la mancanza di scelta: qui io non ho la possibilità di scegliere che percorso fare per diventare genitore. Cosa che invece non sarebbe accaduta se fossimo nati in altri Stati, dove noi ora potremmo essere in una clinica ad affrontare una pratica medica che la scienza ci mette a disposizione, avendo la possibilità di avere un bambino con i suoi ovociti e i miei spermatozoi».

Ha fatto scalpore la bambina nata ad agosto 2020 in una clinica di Kiev mediante gpa, rifiutata dai genitori italiani che l’avevano voluta. La bimba di 16 mesi è stata affidata temporaneamente a una famiglia di Novara, in attesa di accertamenti da parte del Tribunale dei minori e della Procura. Voi vi siete subito offerti per l’adozione. Come è andata a finire?
«Noi eravamo in lista d’attesa per l’adozione e quindi pubblicamente abbiamo detto di essere disponibili ad accogliere questa bimba. Ovviamente è il giudice che deve decidere l’abbinamento tra coppia e minore da adottare. La nostra è stata anche una provocazione per far capire quanto sia difficile e lungo l’iter burocratico dell’adozione. In tutti questi anni non abbiamo avuto notizie dal Tribunale di Torino, spero che adesso la bambina sia tra le braccia della nuova famiglia adottiva e stia bene. Ma questo è per dirvi quanto sia complicato adottare! L’abbandono della bambina ha avuto grandissima risonanza mediatica, ma quante altre coppie abbandonano i loro figli neonati anche nei cassonetti? Sono cose che accadono purtroppo. Non è che tutte le migliaia di coppie che fanno gestazione per altri poi rifiutano il loro figlio, anzi, nella maggior parte dei casi, se non in tutti, lo accolgono e amano fin dal primo istante. Non si può strumentalizzare un caso per demonizzare una tecnica medica, non è giusto, non è la verità della situazione e non coglie tutti gli aspetti».

Cosa ne pensate della gestazione per altri su base commerciale?
«Non è nemmeno così sbagliata la commerciale. In realtà la madre gestante perde del tempo che potrebbe dedicare al lavoro. Sono nove mesi di gravidanza e nove mesi che toglie alla sua occupazione. Quindi darle un compenso economico non credo sia lo scandalo di cui tanto parlano le femministe. Certamente bisogna valutare che questa donna abbia, però, un reddito suo e non sia in condizioni di povertà proprio per evitare situazioni di sfruttamento. Negli Stati Uniti è regolamentata la gpa commerciale, ma la donna deve essere economicamente indipendente. Quanto la surrogacy è ben regolamentata non c’è sfruttamento, non c’è nulla di male. Ci vogliono paletti che legalizzino nel modo più giusto sia la gestazione per altri su base commerciale che il rimborso spese nella pratica altruistica. C’è da dire che nella Comunità europea e in Canada è legale solo la gestazione per altri solidale, si tratta indubbiamente della forma ritenuta più opportuna».

Il Papa ha sostenuto che l’utero in affitto sia “una pratica inumana che minaccia la dignità della donna”. Nella stessa sede ha parlato di “inverno demografico” da combattere. Come vedete questi due temi accostati tra loro?
«Bisogna che il Papa decida da che parte stare! Ho scritto al Pontefice una lettera pubblica, in cui raccontavo la mia storia, chiedendogli anche un’udienza. Perché sono sempre convinta che prima di parlare di queste situazioni bisognerebbe conoscerle. Se ci ricevesse gli racconteremmo di tutte le donne con la Rokitansky, di tutte le migliaia di donne che mi hanno scritto, parlandomi del loro cancro o delle loro malattie invalidanti. Gli racconterei di tutti le gestanti che non si sentono assolutamente minate nella dignità, né sfruttate. Sono donne libere che fanno semplicemente una scelta. Gli presenterei mia madre, per fargli vedere quali sono queste donne sfruttate. È ingiusto giudicare quando non si conoscono determinate situazioni; ingiusto parlare di commercializzazione quando anche per un’adozione si spendono 50mila euro. D’altronde, anche nell’Argentina di Papa Francesco è possibile la gestazione per altri in forma solidale con un’autorizzazione. Per quanto riguarda l’inverno demografico sicuramente la gpa aiuterebbe. Non ci sono dati ufficiali, ma si parla di 6mila bambini che nascono ogni anno all’estero da coppie italiane mediante maternità surrogata, tenendo conto dei costi che ci sono negli altri Stati e del fatto che la pratica viene adottata solo da coppie che possono permetterselo. Se fosse fatto in Italia in forma solidaristica molte più coppie potrebbero ricorrere a questa tecnica, forse il doppio! Probabilmente 12mila bambini non stanno nascendo perché nel nostro Paese non c’è una regolamentazione della gestazione per altri»

Oltre al continuo supporto dell’Associazione Luca Coscioni, che risposte hai avuto dalla sinistra italiana?
«Facile, il silenzio, forse la peggiore risposta che possa darti la politica. Il silenzio è molto più grave di una risposta data da chi è contrario al tema, che parla in un determinato modo e avanza delle argomentazioni sbagliate perché non è consapevole davvero del problema. Il Partito Democratico e tutta l’ala di sinistra tace: Alessandro Zan all’inizio si era detto d’accordo con la nostra proposta di legge sulla gravidanza solidale per altri e poi è sparito, Monica Cirinnà non si è fatta assolutamente sentire. Quindi, i leader e paladini dei diritti civili si sono praticamente eclissati. Abbiamo avuto il sostegno di Guia Termini, ex 5 Stelle ora nel gruppo misto, nonché depositaria del nostro progetto di legge. Poi altri parlamentari hanno firmato, come i radicali, tra cui Riccardo Magi, alcuni del gruppo misto ed Elio Vito ex di Forza Italia, persone che hanno accolto e appoggiato la nostra battaglia. Nel PD invece nulla ed è gravissimo: non vogliono perdere voti, ma in questo modo non stanno facendo di certo il bene dei cittadini. La politica dovrebbe nascere con lo scopo di aiutare uomini e donne in difficoltà; bisogna smetterla con la ricerca spasmodica di elettorato, c’è bisogno che si torni a parlare con noi e ad ascoltare le nostre storie».

C’è un momento in questo percorso di difesa del diritto alla genitorialità in cui avete avuto paura?
«Io all’inizio ero terrorizzata, c’è una legge che dice: se realizzi, organizzi, sponsorizzi in qualsiasi forma la gestazione per altri in Italia hai davanti a te la reclusione da tre mesi a due anni, con la multa da 600mila a un milione di euro. Noi siamo incensurati, io nella mia vita avrò al massimo preso una multa perché ho sbagliato strada. Sergio aveva paura di perdere il lavoro all’inizio, perché ci sono determinate persone che non approvano la nostra proposta di legge. Mettiamo il caso che i suoi capi fossero stati di quell’ala contraria ci sarebbero potuti essere dei problemi. Ecco, le paure che avevamo erano dovute al rischio di ritorsioni nei nostri confronti. Poi negli anni ci siamo resi conto di essere nel giusto: non abbiamo e non dobbiamo avere paura, così come non devono avercela tutte le coppie che sono andate all’estero per avere un bambino da gestazione per altri, non si devono più nascondere. Basti pensare che recarsi fuori dall’Italia per farlo è ancora legale, altrimenti non ci sarebbe la proposta di legge della Meloni che vuole renderlo reato universale! È ora che queste coppie vengano fuori, perché siamo dalla parte giusta della storia ed è necessario che continuino ad alzarsi le nostre voci.
Sergio: «È una realtà che fa parte della società. Questo è il momento di uscire allo scoperto».

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