sabato, 27 Aprile 2024

Maternità surrogata, la storia di due papà: “Nostro figlio per l’Italia non esiste. Tra due mesi sarà clandestino”

Elia è nato a gennaio 2023 in Canada, frutto del desiderio di genitorialità di Francesco e Ciro, una coppia omosessuale che due anni fa ha deciso di ricorrere alla gestazione per altri all'estero. Questi due papà ci hanno raccontato il loro percorso doloroso, la gioia incredibile di aver avuto un figlio dopo due aborti e il rapporto speciale che hanno con Rachel, la madre gestante, ormai parte integrante delle loro vite.

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Nostro figlio ha quasi tre mesi e per l’Italia non esiste. Il suo certificato di nascita attestato in Canada riporta la doppia paternità e lo Stato italiano non la riconosce. Elia è solo un cittadino canadese, qui non ha diritti e dall’8 maggio, quando scadrà il suo visto turistico, sarà clandestino“. Sono le parole di Francesco e Ciro, i papà di Elia, e nessun ministro, giornalista e attivista riuscirebbe mai a scattar meglio di questi genitori l’istantanea di un Paese che si sta confondendo, incattivendo e spogliando di madri, padri, figli e diritti come alberi in autunno. Elia è nato il 15 gennaio 2023 a Calgary, tra i ghiacciai canadesi, frutto del desiderio di genitorialità e dell’amore di Francesco e Ciro, una coppia omosessuale che, dopo essersi unita civilmente a Milano nel 2020, ha deciso di intraprendere un percorso di maternità surrogata o gestazione per altri (gpa) all’estero, pratica vietata in Italia per la legge 40 del 2004 in materia di norme per la procreazione medicalmente assistita.

Quando è nata la vostra storia e quando avete sentito l’esigenza di diventare padri?
“Viviamo da anni a Milano, ma siamo campani entrambi. Ci siamo conosciuti a Capri nel 2011, lavoravamo entrambi in un ristorante. Lì è nato l’amore e siamo qui, ancora oggi dopo 12 anni a supportarci. Ci siamo uniti civilmente nel 2020 e subito abbiamo deciso di ricorrere alla gestazione per altri all’estero: desideravamo diventare padri entrambi. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare ed entrare a far parte della vita di Rachel, la meravigliosa madre gestante canadese che ha portato a termine la gravidanza per noi in Canada, dando alla luce il nostro Elia”.

Qual è stata la reazione delle vostre famiglie e dei vostri amici quando avete riferito loro di voler fare la gpa?
“Abbiamo informato i nostri familiari nel momento in cui siamo stati certi di aspettare un bambino, quando abbiamo avuto la conferma che Rachel fosse incinta, anche se nulla è così certo quando si tratta di una gravidanza, percorso del tutto imprevedibile nella sua naturalità. Genitori e amici ci sono stati vicinissimi in tutto il percorso, hanno sofferto con noi quando purtroppo le prime due gravidanze con Rachel non sono andate a buon fine e gioito come non mai per la nascita di Elia. Un’emozione indescrivibile”.

Perché avete scelto il Canada per intraprendere il percorso di gestazione per altri?
“Noi coppie omosessuali possiamo ricorrere a questo tipo di pratica solo in Canada e negli Stati Uniti, questo è importante per noi, perché volevamo che i nostri nomi fossero riportati sui documenti di nascita di Elia. Abbiamo preferito il Canada perché lì la gestazione per altri è in forma altruistica, implica quindi solo un rimborso spese per la madre gestante. Solitamente ci si mette in contatto con una clinica canadese e poi con un’agenzia di donatrici. Quest’ultima ti mette a sua volta in contatto con delle donne che offrono il proprio ovulo per la maternità surrogata e scelgono fin dall’inizio se restare anonime o meno, decidendo anche in questo caso se avere rapporti con la coppia intenzionale e il bambino anche dopo la nascita. Il nostro caso è stato diverso, perché abbiamo conosciuto Rachel su un gruppo Facebook indipendente in cui si parla di gpa e non tramite l’agenzia di gestanti. Rachel ha una famiglia splendida, due figlie e un marito, ma ha sempre voluto e amato l’idea di dare alla luce un figlio per chi non ha la fortuna di poterne avere, come nel nostro caso. Lei cercava una coppia che volesse realizzare questo desiderio e noi cercavamo un angelo pronto a regalarci questo sogno. Così, nel 2021, dopo aver letto la nostra storia in questo gruppo e visto le nostre foto ci ha scritto immediatamente, ci siamo conosciuti, siamo diventati amici e poi ha scelto di essere la nostra gestante. Dopodiché, insieme abbiamo deciso di rivolgerci a un’agenzia canadese che si occupasse di questa pratica di procreazione medicalmente assistita”.

Quindi è stata Rachel, la mamma surrogata, a scegliervi?
“Assolutamente sì, ma accade sempre così per la gestazione per altri in Canada. Vale lo stesso anche per i genitori intenzionali che si rivolgono subito a una clinica, sono le surrogate a sceglierci. Ti spiego, generalmente funziona così: la coppia prepara un video in cui racconta la sua storia, fa sapere un po’ come vorrà gestire la relazione con la gestante e questo filmato viene mostrato alle donne che hanno dato la propria disponibilità. Dopodiché, la gestante sceglie la coppia anche in base a questi video e decide di conoscerli, così iniziano delle videochiamate, delle telefonate, dei messaggi, fino a quando la donna avverte il desiderio, in totale libertà e autonomia, di voler fare questo dono a quei genitori intenzionali”.

Che rapporto avete con Rachel e la sua famiglia?
“Abbiamo un rapporto meraviglioso, ci sentiamo praticamente tutti i giorni. Stasera abbiamo una videochiamata con loro, siamo continuamente in contatto. Li amiamo, come loro amano noi; le sue figlie ci considerano gli zii italiani, noi consideriamo Rachel e il suo compagno gli zii canadesi di Elia. Rachel ci ha sempre detto che non ha mai sentito né pensato di aver subito una mancanza o una forma di violenza nell’aver ceduto il bambino a noi; è una persona speciale e ama raccontare di come abbia consapevolmente scelto di mettere al mondo il nostro piccolo, di aver già dei figli e perciò di non aver visto questo percorso come una privazione. Lei racconta spesso quanto la sua gioia più grande sia stata vedere il nostro volto rigato di lacrime di gioia nel momento del parto, aver avuto la possibilità di creare con noi una famiglia. C’è da dire che le gestanti e i genitori intenzionali prima di cominciare un iter di surrogacy, devono affrontare un percorso psicologico, avere una base economica stabile, avere dei figli, insomma, determinati requisiti. Rachel aveva questi criteri, in più ama essere incinta, pur non volendo più figli suoi. Il percorso di gpa fatto in questo modo è eticamente corretto, nessuno ha sfruttato gestanti in India o in altre Nazioni del mondo in cui vi possono essere questo genere di derive. Noi abbiamo fatto scelte consapevoli con donne consapevoli che sono e rimarranno per sempre nella vita di Elia. Da quando abbiamo intrapreso la gestazione per altri ci siamo detti una sola e semplice cosa, ovvero di lasciare aperte tutte le strade per Elia, di dargli la possibilità di chiedersi e sapere come è venuto al mondo e conoscere chi lo ha reso possibile. Proprio per questo fin dal primo momento in cui il nostro bambino comincerà a parlare, ad avere maggiore consapevolezza di sé e del mondo che lo circonda, una delle prime persone che conoscerà è Rachel, la mamma gestante”.

Quante volte vi siete recati in Canada durante la gravidanza?
“Tre volte. La prima per la donazione, la seconda 10 giorni a Capodanno 2021 per passarlo con la famiglia di Rachel, tutti insieme raccolti nella sua casa con le sue bambine, era il periodo subito successivo al primo aborto. Poi siamo tornati in Canada a fine 2022, in attesa della nascita di Elia. Noi siamo arrivati alla 38esima settimana, nostro figlio è nato alla 41esima”.

Quindi eravate presenti al momento del parto. Come è andata?
“Incredibile. Siamo stati per 24 ore tutti nella stessa stanza in cui stava partorendo naturalmente Rachel. C’eravamo noi e il suo compagno. Quando è nato Elia ci è stato messo tra le braccia. Non si è mai sentito alcun distacco in quella camera, Rachel ha sempre scherzato con noi anche durante il travaglio. È come se lei in quel momento fosse stata sposata con 3 persone”.

Dopo la nascita avete dovuto sistemare gli atti di nascita e i documenti di Elia in Canada. Cosa prevede la legge canadese, c’è una fase di trascrizione della genitorialità?
“No, in Canada è riconosciuto lo ius soli, quindi non vi è alcuna trascrizione. Una volta nato Elia ha acquisito automaticamente la cittadinanza canadese. Ci siamo recati all’anagrafe ed è stato registrato con il nome dei genitori, ovvero io e Ciro. Quindi il certificato di nascita, arrivato più o meno dieci giorni dopo il parto, riporta i nostri nomi e cognomi, e così abbiamo potuto richiedere senza alcun problema il passaporto. Fa quasi ridere la semplicità dell’iter in Canada, tutto avviene con estrema naturalezza. Parliamo di uno Stato in cui non c’è solo la maternità surrogata per le coppie Lgbtq+, ma anche il matrimonio egualitario, l’adozione, ci sono tantissimi diritti per la nostra comunità. Non c’è nessun tipo di discriminazione, è tutto regolamentato. Sia con Rachel che con la donatrice di ovociti sono stati firmati dei contratti legali che tutelassero soprattutto loro e il bambino, e proprio grazie a quel contratto firmato con Rachel, in cui si stabiliva come noi fossimo i genitori e lei la gestante, che abbiamo potuto fare subito i documenti, salvaguardando così fin da subito i diritti di Elia. Nel contratto sono menzionati anche tutti i rimborsi spese che abbiamo versato a Rachel nei 9 mesi di gravidanza. Sarebbe assurdo pensare come una donna che intraprende un percorso del genere, altruistico, ma complesso, poi debba anche rimetterci dei soldi. Rachel consegnava all’agenzia tutte le ricevute di esami, farmaci, vitamine, di ciò che aveva dovuto acquistare per il suo benessere e quello del bambino, e la stessa agenzia poi ci chiedeva i rimborsi. Faccio un esempio, nel caso in cui Rachel avesse avuto la necessità di un ulteriore supporto psicologico, noi ci saremmo occupati economicamente anche di questo. Nel contratto era prevista anche un’assicurazione sulla vita della gestante, per tutelare lei, la sua famiglia, i suoi figli e il nostro bimbo in arrivo”.

Quando siete tornati in Italia con Elia quali ostacoli avete incontrato?
“Elia qui, oggi, non esiste, non abbiamo potuto registrarlo, è ancora un cittadino canadese, che per assurdo dall’8 maggio diventerà clandestino perché scadrà il suo visto turistico. Ha un codice fiscale italiano che dura 6 mesi, quindi dobbiamo risolvere la situazione perché tra poco anche quello non sarà più valido. Non abbiamo avuto la possibilità di registrarlo, nemmeno con il padre biologico, in quanto il suo certificato di nascita originale riporta la doppia paternità e l’Italia non dà la possibilità di riconoscerla né tantomeno di trascriverla sui certificati di nascita. Elia in Italia non ha diritti, è in un limbo burocratico e sociale. La situazione è peggiorata dopo la bocciatura della trascrizione del certificato di filiazione Ue per i nati da gpa all’estero, e ancor di più da quando il ministero dell’Interno ha imposto a tutti i sindaci il blocco della registrazione dei figli di noi coppie omosessuali. Questo significa che anche se ci presentiamo al Comune, nel nostro caso quello di Milano, non possono trascrivere Elia perché ha una doppia paternità, quindi dovrebbero affidarsi alle dichiarazioni della coppia e a chi viene indicato come padre biologico. Per quanto riguarda il nostro caso abbiamo scoperto per sbaglio chi di noi sia il papà biologico, ma avremmo preferito non saperlo. Crediamo sia indifferente e vogliamo che lo sia anche per gli altri, motivo per cui non lo sanno nemmeno i nostri genitori”.

In queste ultime convulse settimane molti politici del centrodestra hanno definito la gpa “un crimine”, “un reato più grave della della pedofilia”, “una pratica dai connotati razzisti”. In risposta a tutto ciò, Rachel ha pubblicato sul suo profilo Instagram un video, ripreso da molte testate, in cui invitava il Governo Meloni ad ascoltare la sua esperienza di gpa. Un video che ha ricevuto una marea di commenti, tra cui molti negativi. Sicuramente l’avete sentita e si è confrontata con voi sulle reazioni suscitate… 
“Sì, ne abbiamo parlato, ma i messaggi ricevuti in privato sono ben più violenti rispetto ai commenti pubblici. Rachel crede molto in quello che fa e dice, diversamente da chi l’ha definita ‘una squilibrata’. È una donna incredibile, sta rispondendo gentilmente e con educazione a tutti i commenti portando il suo punto di vista. Le abbiamo chiesto perché lo fa, ma lei ci ha risposto che parlare, raccontare la verità è l’unico modo per far in modo che qualcuno cambi idea. Noi ci siamo rifiutati di leggere molti commenti. La cosa più importante è la nostra famiglia, la nostra felicità. Ci dispiace infinitamente per quanto sta accadendo nel nostro Paese, non riusciamo proprio a crederci. Come fanno a non capire quanto sia ingiusto non riconoscere questi bambini, privando loro del diritto di avere dei genitori, figli che lo Stato dovrebbe tutelare in ogni modo. In Italia succede questo nel 2023, mentre in molti altri Paesi del mondo è legale il matrimonio egualitario, di che parliamo…”

A distanza di pochi giorni dal blocco della trascrizione del certificato di filiazione Ue per le coppie intenzionali, è stato ripresentato da Fratelli d’Italia il ddl che vorrebbe rendere la maternità surrogata “reato universale”, perseguendo anche le coppie che si recano all’estero per ricorrere alla pratica. Alla luce di tutto ciò cosa vi immaginate per il futuro della vostra famiglia?
“Speriamo che la Corte Europea intervenga al più presto contro lo Stato italiano, perché quello che sta accadendo è una grave violazione dei diritti dell’uomo e in particolare della comunità Lgbtq+. Ci auguriamo che scenda in campo come è già successo in passato per le unioni civili, quando ha condannato l’Italia per la mancanza di leggi in merito”.

Pensate che avere un figlio sia un diritto?
“No, avere un figlio è un desiderio. Dopo averlo realizzato è un diritto che ai figli vengano riconosciuti dei diritti. Non incolpiamo lo Stato perché non ci dà il diritto di avere un figlio, noi avremmo voluto adottare, se questo fosse stato possibile in Italia non saremmo ricorsi alla gpa. Avremmo preferito di gran lunga togliere un bambino da un orfanotrofio, dargli tutto l’amore di questo mondo e costruire con lui la nostra famiglia. Non è un discorso genetico, anche perché uno di noi due non condivide il patrimonio genetico con Elia. Ci siamo informati sulle adozioni per le coppie omosessuali in altri Paesi europei, come in Spagna, ma anche lì, pur essendoci le possibilità, non è semplice. Poi avremmo dovuto trasferirci, prendere casa, lasciare gli affetti. Ciò che è più assurdo è come il percorso d’adozione sia infinitamente più complicato dell’iter della gestazione per altri”.

Avete mai pensato di voler andar via dall’Italia?
“Sì, spessissimo e forse siamo anche molto vicini a un epilogo del genere; però è normale che entrambi vorremmo restare, vorremmo continuare a vivere in Italia, far crescere Elia con i nonni, gli zii, scegliere di andare dall’altra parte del mondo perché perseguitati è complicato e doloroso. Una delle cose che ci fa più rabbia e allo stesso tempo ridere è che questo Paese ci chiede di adottare nostro figlio. Cioè, il genitore intenzionale è costretto a intraprendere un percorso di adozione del suo bambino, dovendosi sottoporre alle visite di assistenti sociali che dovranno giudicare se è un padre, una madre o meno. Assistenti sociali che poi non avranno chissà quanta possibilità di scegliere, perché non potranno togliere un bambino dal suo nucleo familiare. È un percorso inutile creato appositamente per ostacolare le nostre famiglie. Per non parlare delle spese legali per l’adozione, gli anni di attesa, poi bisogna sperare che nessuno dei due genitori nel frattempo muoia o che al genitore biologico non succeda mai niente. Una cosa è certa, non è bloccando le trascrizioni dei certificati di nascita per i figli delle coppie omosessuali che si limiterà la gestazione per altri. Anzi, si continuerà a ricorrerne all’estero più di prima, spingendo così molte famiglie italiane a trasferirsi in altri Stati Europei”.

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