mercoledì, 1 Maggio 2024

Russia, tutti i dubbi sul presidente: Putin più forte o più debole di prima?

In che modo si può affrontare la questione Putin forte, Putin debole? Sembra che, per comporre il mosaico, o quantomeno avvicinarsi a una visione completa della vicenda, sia necessario distaccarsi completamente dalla realtà e provare a ragionare soltanto su ciò che sappiamo. Ipotizzare, infine, due probabili scenari. Eppure, non basterebbe comunque.

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Non possiamo più permetterci alcuna debolezza. Berremo, tutti insieme, ma adesso poggiate il bicchiere e andate a lavorare“, disse Vladimir Putin durante un celebre discorso tenuto nel Daghestan, in una delle sue primissime apparizioni da Primo ministro, successore di Boris Eltsin nel 1999. Sono passati più di 20 anni e la Federazione russa è indubbiamente un Paese totalmente diverso rispetto a quello che all’inizio del nuovo Millennio soffriva fame, disoccupazione, povertà e poco peso politico. La rinascita della Russia ha contribuito a fare di Putin un uomo forte ed estremamente abile nell’immaginario collettivo. Non comunista, ma molto attento a togliere influenza e monopolio ai grandi uomini d’affari. “Da oggi contribuirete a questo nuovo Stato, pagando le tasse e dando ai lavoratori stipendi dignitosi“, disse il capo del Cremlino in una riunione tenuta nell’estate del 2000 con alti rappresentanti del mondo imprenditoriale. Tanti i successi, dalla Crimea alla stretta di mano con George W.Bush, fino al no secco a Barak Obama che costrinse gli Stati Uniti a non bombardare Damasco. La guerra in Ucraina, tuttavia, sembra aver cambiato le carte in tavola e messo in mostra tutte le falle del sistema su cui si reggerebbe il potere di Putin; così almeno sostengono molte figure del mondo occidentale, che guardano al Cremlino come fosse un castello di carte pronto a crollare in qualsiasi momento.

Stampa, media e opinione pubblica

All’indomani della marcia su Mosca di Prigozhin alla guida del Gruppo Wagner, fermata soltanto a circa 200 chilometri dalla capitale russa, la stampa mondiale si è concentrata su una spinosa questione: Vladimir Putin è più forte o più debole di prima? Se l’Occidente è praticamente unanime nel ritenere lo Zar impaurito e addirittura in fuga dalla zona comfort, c’è anche chi la pensa diversamente, senz’altro i suoi alleati. E come potrebbe essere il contrario, farebbe presente più di qualcuno. Uno dei principali quotidiani iraniani, Tehran Times, ci va giù pesante: Lascia che i cuochi si limitino a cucinare, ha titolato la testata di Teheran, pubblicando una vecchia foto in cui Prigozhin (all’epoca cuoco di Putin) serve un pasto al presidente della Federazione russa.

Tornando a noi, è evidente che l’opinione diffusa tra la maggior parte degli analisti, opinionisti e giornalisti, come tra la popolazione civile in genere, è quella secondo cui la Russia e il sistema putiniano starebbe mostrando delle crepe. La fine dell’era Putin sarebbe vicina e solo questione di tempo. In realtà, che la parte del politico Putin sia agli sgoccioli, è stato ribadito più volte dallo stesso presidente: non si ricandiderà nel 2024, per sua stessa ammissione. Ovviamente, è difficile crederlo, vista l’enorme personalità del presidente e visto l’evolversi della “missione speciale” in Ucraina, protrattasi ormai ben oltre le aspettative del Cremlino. Nessun media, a ogni modo, ha mancato di sottolineare una presunta debolezza del Governo e della Difesa di Mosca davanti a quello che sembrava un colpo di stato, chiamato così, alla fine della giostra, solamente dal vice presidente del Consiglio di Sicurezza russo Dmitry Medvedev.

In che modo si può affrontare la questione Putin forte, Putin debole? Da un punto di vista politico, economico, militare, o dell’opinione pubblica russa? A ogni modo, quello che è successo nelle ultime 48 ore in Russia non è di facile comprensione, apre scenari contrastanti, e non può essere racchiuso in un semplice giudizio di pancia. Tutt’altro, appare molto complesso, per niente sorprendente ma, a tratti, surreale. Sembra che, per comporre il mosaico, o quantomeno avvicinarsi a una visione completa della vicenda, sia necessario distaccarsi completamente dalla realtà e provare a ragionare soltanto su ciò che sappiamo. Ipotizzare, infine, due ipotetici scenari. Non basterebbe comunque.

L’Occidente non ha capito con chi ha a che fare

L’Occidente non ha realmente capito con chi ha a che fare. Nonostante la propaganda europea e atlantista dipinga Vladimir Putin come uno sciocco testardo che sta andando incontro alla sua fine ingloriosa, il curriculum del presidente della Federazione russa prospetterebbe ben altro. L’ex Direttore dell’FSB (erede del KGB) avrebbe l’esperienza e le risorse tali da consentirgli una chiara visione dell’evolversi di questa guerra e condurla a proprio piacimento. Qualunque parvenza di intoppi durante il percorso sarebbe studiata a tavolino per raggiungere altri scopi. Di questo avviso è il dissidente russo Il’ja Ponomarëv che, intervistato da Adnkronos afferma: “Penso che Prigozhin e Putin avessero un accordo fin dall’inizio su cosa sarebbe successo e di cui nessun altro era a conoscenza. L’obiettivo del presidente russo era spaventare sia l’élite russa che quella internazionale. Aveva bisogno di inviare un messaggio che non è lui la peggiore alternativa“.

Putin ha seriamente rischiato la guerra civile

Prigozhin, che già in altre circostanze ha manifestato una certa avversione per gli alti gerarchi russi, in particolare il ministro della Difesa Sergej Shoigu, ha realmente marciato su Mosca con l’intenzione di raggiungere il Cremlino. Secondo il capo del Gruppo Wagner, come si può sentire in un video che lo riprende mentre discute con due alti funzionari russi a Rostov (tra cui il vice di Shoigu), lamenta incompetenza e inadeguatezza degli uomini dietro le scrivanie alla Difesa. Si sarebbe trattato, dunque, come sostenuto su più fronti, di una “rivolta sindacale”, e non di un vero e proprio colpo di stato. Questo metterebbe a nudo tutte le debolezze del sistema che regge Mosca, negate continuamente dal presidente Putin, il quale parla di unità, compattezza e determinazione da parte di Governo e popolo russo. Il Cremlino ha fallito la guerra in Ucraina e adesso è impantanato tra l’inammissibilità di una resa (questione di orgoglio) e i successi dei soli mercenari sul campo.

Attori non protagonisti: Lukashenko e Kadyrov

Mentre Prigozhin teneva il mondo con il fiato sospeso, a circa 200 chilometri da Mosca il capo dei mercenari ha fermato il convoglio e fatto marcia indietro. Dietro questa improvvisa decisione del capo Wagner ci sarebbe l’intervento del presidente bielorusso Alexander Lukashenko. I due leader hanno avuto un colloquio e Prigozhin avrebbe accettato di bloccare la marcia sulla capitale russa. Questo è quello che in via ufficiale hanno comunicato Lukashenko e il capo dei mercenari. Intanto, il leader delle Forze speciali cecene, Ramzan Kadyrov, avrebbe raggiunto Rostov con le sue truppe in attesa di ordini dal Cremlino.

L’intervento di Lukashenko, per molti, esprimerebbe ulteriore debolezza di Putin. Quello che non torna, però, è il fatto che le truppe di Prigozhin abbiano percorso centinaia di chilometri in direzione di Mosca senza essere mai ostacolati da un solo soldato russo. Viene veramente difficile credere che l’esercito regolare russo sia talmente disorganizzato e fiacco da lasciare campo libero a Prigozhin. Come risulta, almeno in apparenza, veramente lontano dalla realtà, il fatto che Putin decida di macchiare la sua immagine fuggendo dal Cremlino e lasciando la parola a quello che è sempre stato descritto come il suo “tirapiedi”, il presidente bielorusso. Lo Zar, semmai, avrebbe consolidato ulteriormente l’approvazione di funzionari e popolo. Il convoglio di Prigozhin potrebbe essere stata un’esca per far uscire allo scoperto i nemici interni, o per far credere al nemico di esser deboli, per poi attaccare ancora più forte.

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