mercoledì, 24 Aprile 2024

Maternità surrogata e coppie gay, la Cassazione: “Figli nati all’estero riconosciuti se adottati”. Insorgono giuristi e associazioni

Per la Cassazione non è trascrivibile nell'atto di nascita il nome del papà o della mamma intenzionale di un bimbo venuto al mondo tramite maternità surrogata all'estero, che potrà essere riconosciuto in Italia solo attraverso l'adozione. La sentenza non è passata inosservata, infiammando gli animi degli attivisti dell'Associazione Luca Coscioni: "Se sei figlio e genitore in un Paese devi esserlo in tutti".

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Le Corti tornano a discutere sulla maternità surrogata o gestazione per altri, contraddicendosi a suon di sentenze che finiscono per far diventare degli ologrammi madri e padri che accedono alla pratica, relegando in un limbo i nuovi nati. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 38162 del 30 dicembre 2022 hanno affermato che in Italia non è trascrivibile in automatico nell’atto di nascita il nome del genitore intenzionale di un bimbo venuto al mondo tramite surrogacy, identificando come mamma o papà solo quelli biologici. Ciò significa che bisognerà attivare un iter di adozione in casi particolari (ai sensi dell’art. 44, comma 1) per permettere il riconoscimento giuridico dello status di “figlio” per il minore e di “genitore” per il partner di colui che geneticamente ha partecipato alla fecondazione dell’embrione. Le Sezioni Unite negano di fatto la genitorialità per i gay, perché “contraria all’ordine pubblico”, ma lo fanno con diplomazia, facendo rimbalzare la “patata bollente” in quel girone dell’inferno che è il processo adottivo.

Sentenza della Cedu

Una sentenza che si aggiunge alla Corte europea dei diritti dell’uomo che solo un mese fa si è posta, però, in difesa della maternità surrogata dinanzi al caso di una cittadina di Copenaghen, a cui la legge danese aveva vietato la possibilità di adottare i gemelli nati in Ucraina mediante gestazione per altri commerciale. La Cassazione ha affermato che solo la stepchild adoption in questa vicenda riesce a “tutelare i diritti del bambino nato all’estero con una pratica che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale”.

Paternità riconosciuta dalla Corte d’Appello di Venezia

La decisione delle Sezioni Unite nasce confutando la sentenza della Corte d’Appello di Venezia che ha riconosciuto due papà italiani che si sono recati in Canada per coronare il loro sogno di avere un figlio ricorrendo alla gestazione per altri. Nell’atto di nascita canadese inizialmente non figuravano né il padre intenzionale, né la madre surrogata, né la donatrice dell’ovocita. La coppia nel 2017 ha fatto ricorso presso la Corte Suprema della British Columbia che ha dichiarato il loro stato di genitorialità, disponendo la rettifica del documento di stato civile nello Stato canadese.

Da quel momento in poi la questione è passata nelle aule dei Tribunali italiani fino alla Corte d’Appello veneziana che ha affermato la legittima paternità di entrambi, rispettando la Corte Costituzionale che aveva chiesto al Parlamento il riconoscimento dei figli di padri o madri dello stesso sesso e la Cedu che, tramite la sentenza del 14 dicembre 2021, ha ordinato l’obbligo per tutti i Paesi europei, anche quelli che vietano la maternità surrogata come previsto in Italia dalla legge 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita, di “riconoscere lo stato di filiazione del minore con genitori omosessuali“, nel caso in cui tale rapporto sia stato già legalmente accertato dallo Stato membro di cui il minore è cittadino.

Il no delle Sezioni Unite

Eppure tutto ciò non è bastato, perché il sindaco del Comune di Verona e il ministero dell’Interno si sono battuti e hanno avuto la meglio contro la sentenza del Tribunale di Venezia, trovando l’appoggio dell’ufficiale di stato civile italiano che si è rifiutato di rettificare l’atto all’anagrafe per quella coppia e il loro bimbo. Poi è intervenuta la Suprema Corte che ha annullato la decisione troppo progressista, sancendo che da questo momento in poi i figli delle coppie gay nati all’estero con la surrogata dovranno essere sempre e solo riconosciuti se adottati da coloro che li hanno desiderati e commissionati.

Le critiche dell’Associazione Luca Coscioni

La sentenza delle Sezioni Unite non è passata inosservata, infiammando gli animi di giuristi, operatori dell’informazione e attivisti per i diritti civili, primi tra tutti i membri dell’Associazione Luca Coscioni, faro che guida il cammino delle libertà umane tra discorsi d’inizio e fine vita. Filomena Gallo, legale del tesoriere Marco Cappato per gli ultimi casi di suicidio assistito e segretaria dell’associazione, scrive che “il quadro normativo vigente è vecchio e non tiene conto che chi partorisce può non essere la madre genetica del nato, che il nato può non avere legami biologici con i genitori e che vi sono famiglie omogenitoriali”. Dello stesso parere anche Chiara Lalli, giornalista, bioeticista e socia del gruppo, che spiega come la nuova sentenza renda la vita dei nuovi nati “più complicata“, arrivando a “una conclusione ingiusta e incoerente: sei padre in Canada, non lo sei in Italia“.

Maria Sole Giardini: “Adozione allunga i tempi e il bimbo nato da surrogata non viene tutelato”

Abbiamo chiesto un parere sulla vicenda a Maria Sole Giardini, attivista ternana nata senza utero a causa della sindrome di Rokitansky, che lotta da anni assieme a suo marito Sergio Pecorari per riuscire a ottenere la legalizzazione della gpa nel nostro Stato. “In realtà non c’è niente di diverso da quanto già previsto qui per tutte le coppie omosessuali, ovvero la stepchild adoption. Per loro non c’è stata quasi mai un’altra possibilità di riconoscimento – racconta -, a parte qualche raro caso come quello del sindaco Beppe Sala che ha cominciato a riconoscere sugli atti di nascita i figli delle famiglie arcobaleno”.

Maria Sole ci tiene a sottolineare come si tratti di “un enorme passo indietro“, che dimostra di “non essere genitore nello stesso modo in tutti i Paesi“.  “I giudici hanno ribadito che è la politica che dovrebbe interessarsi al tema, che dovrebbe incominciare a guardare i figli delle coppie Lgbtq+ e di tutte le coppie eterosessuali prendendo delle decisioni a riguardo – afferma l’attivista -. D’altronde, lo ha detto anche il Parlamento europeo: se sei figlio e genitore in un Paese devi esserlo in tutti. Poi ci vogliono anni per un’adozione e durante il tempo dell’iter può succedere qualcosa al genitore non riconosciuto e il bambino, non tutelato, finisce per non avere un’eredità e nessun diritto di figlio, pur essendo stato fortemente voluto e amato dal suo papà o dalla sua mamma intenzionale”.

La gpa e le derive politiche da panem et circenses

Tuttavia, ahinoi, il polverone socio-culturale è destinato a placarsi e per il momento quella famiglia composta da due papà e il loro bebè di nascita canadese sembra sia destinata a combattere ancora per molto prima di esser vista come tale in questo Paese, in cui si avanza a tentoni nel marasma delle libertà e risorge a periodi alterni – quando i pensieri di pancia tornano a ululare – l’idea incostituzionale di rendere “reato universale” la maternità surrogata.

La Cassazione può non accettare sulla carta migliaia di padri, madri, figli nati e rinati grazie alla disponibilità di una donna che ha offerto in totale autodeterminazione il suo utero per portare a termine la gravidanza, ma dimentica che la trasmissione dell’amore, del legame affettivo e della relazione di cura vanno ben oltre lo status giuridico e le beghe di Palazzo. Perché una cosa è certa, cercare di rendere il tema della gpa una questione quasi calcisticamente politica, facendolo scadere in siparietti di costume da panem et circenses, non porterà all’estinzione del sacro santo diritto che ogni individuo ha di figliare, crescere e costruire un nucleo familiare con chi vuole, e perché no, anche di adottare, ma di farlo consapevolmente come percorso di genitorialità alternativo che non ha nulla a che vedere con il diverso cammino che intraprende chi accede a certe pratiche riproduttive medicalmente assistite.

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