venerdì, 26 Aprile 2024

Così belli a gridare nelle piazze, studenti in protesta contro chi vuole “uccidere il pensiero”

Ieri gli studenti di tutta Italia si sono uniti e sono scesi in piazza. Alcuni giornalisti hanno consumato le proprie penne nel vano tentativo di screditarli. Aiutati in certi casi dagli stessi ragazzi.

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“E per tutti i ragazzi e le ragazze, che difendono un libro, un libro vero. Così belli a gridare nelle piazze, perché stanno uccidendoci il pensiero”. Cantava così un ispirato Roberto Vecchioni, sulle note di Chiamami ancora amore. I suoi versi cascano a pennello nel frastuono delle manifestazioni giovanili di questi giorni. Ieri, in particolare, nelle principali città italiane, gli studenti di tutto il Paese si sono uniti e hanno “gridato nelle piazze” la loro rabbia e il loro sconforto per il sistema di parasfruttamento a cui le ultime generazioni sono sottoposte da diversi anni. Parliamo, ovviamente, della tanto vituperata alternanza scuola-lavoro e degli stage sottopagati in cui vengono parcheggiati alcuni giovanissimi operai.

A morire, però, questa volta, non è stato “il pensiero”, ma due ragazzi in carne ed ossa. Dopo poche settimane dalla tragica vicenda del 18enne Lorenzo Parelli, morto schiacciato in fabbrica a Lauzacco, nel Comune di Pavia di Udine, è stato il turno dell’appena 16enne Giuseppe Lenoci, di Monte Urano, che ha perso la vita in un incidente stradale mentre era impegnato in un apprendistato nell’ambito di un corso professionale di termoidraulica. Si è fatto presto, su diverse testate nazionali, a sminuire la reazione studentesca della mattinata di ieri, e a relegarla ad un semplice pretesto da parte dei ragazzi per fare un po’ di baccano e mettere in subbuglio le città. Alcuni giornalisti hanno consumato le proprie penne nel vano tentativo di ergersi a paladini del corretto modo di ribellarsi. A più riprese, hanno attaccato le modalità con cui è stata portata avanti la protesta, additando i ragazzi e le ragazze presenti in piazza come agitatori seriali, in grado solo di procurare danni a terzi, e mai di difendere i propri diritti.

Si, va bene. Prendiamo atto del fatto che qualche atteggiamento sconsiderato durante le manifestazioni c’è stato. Li abbiamo visti tutti i ragazzi dei centri sociali di Torino prendere a sprangate gli agenti di Polizia disposti in assetto antisommossa, e siamo pienamente convinti che certi comportamenti non solo vadano stigmatizzati, ma che ledano gravemente l’essenza stessa della causa portata avanti dagli studenti. Tali azioni, sono figlie di un modo inetto d’esternare il proprio malessere, che da sempre getta discredito sulle manifestazioni legittime di chi lotta senza sosta per i suoi sacrosanti diritti di cittadino e di uomo, ancor prima che di lavoratore. E, piace sottolinearlo, anche e soprattutto per quelli degli altri. Il punto, però, è che prima di mettere nero su bianco fiumi di lettere per giustificare il proprio discutibile punto di vista, bisognerebbe un attimo interrogarsi sulle cause che hanno spinto i manifestanti a scendere in piazza.

I motivi sono palesi, li abbiamo letti ovunque. Questo, piuttosto, è un tentativo di centrare il focus sull’importanza del riuscire a riprendersi la piazza. Come luogo in cui lottare, pacificamente, ma con animo saldo, per un domani più limpido. Le generazioni che hanno preceduto quella attuale, in piazza ci saranno pure scese, ma a giudicare da come sono andate poi le cose, l’obiettivo non è stato pienamente raggiunto. L’augurio per questi ragazzi e ragazze, è di riuscire dove altri prima di loro hanno fallito. E cioè nel fare in modo che questi moti di piazza non rimangano elementi isolati nel tempo, ma si traducano in un ribaltamento concreto delle attuali condizioni di vita e di lavoro.

Una possibilità di cambiamento esiste. E passa soprattutto da momenti come questo. L’auspicio, in definitiva, è che possa comprenderlo presto anche chi avalla una narrazione distorta di queste prese di coscienza collettive. Quelli che, in questo modo, stanno davvero “uccidendoci il pensiero”.

 

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