venerdì, 19 Aprile 2024

Femminile singolare, Signor Presidente del Consiglio!

Il tema continua a dividere l'opinione pubblica, tra femministi convinti e maschilisti legati alla società patriarcale. Quella del Signor Presidente del Consiglio è una precisa scelta di campo, una presa di posizione che in apparenza sembra incoerente col suo cavallo di battaglia: "Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre". Non tutte sono però disposte a soprassedere.

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Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre“. Il motto, che è diventato prima un motivetto di scherno e poi un punto di forza per Giorgia Meloni, ha girato l’Italia mostrando una parte dei valori alla base della sua attività politica. Tuttavia, con la circolare ufficiale uscita il 28 ottobre, in cui si definisce che la corretta denominazione per Giorgia Meloni è il Signor Presidente del Consiglio, questi valori tanto declamati sono stati presi a calci e gettati malamente nel cestino, accentuando le polemiche già nate nel momento in cui era stata annunciata la volontà di utilizzare la declinazione al maschile per il ruolo assunto. Viene da domandarsi quindi: dov’è la coerenza di questa donna? E, soprattutto, può ispirare fiducia un leader che rinnega la propria natura?

Molte persone hanno votato Giorgia Meloni perché sposavano le sue idee e hanno apprezzato l’opposizione portata avanti in maniera congrua negli anni, molte altre invece proprio perché donna e, in teoria, portatrice di cambiamenti. Meloni è stata ampiamente criticata per l’abbigliamento con cui si è presentata al giuramento, prettamente maschile secondo alcuni, che invece poteva essere visto come indice di serietà ed eleganza. Non è detto che una donna debba necessariamente indossare una gonna e tacchi alti per essere in linea con gli stereotipi di genere che dilagano all’interno della nostra società, ma rinnegare la propria femminilità con l’utilizzo del maschile per l’incarico assunto è un discorso ben diverso e decisamente incoerente per una persona che ha tenuto comizi sull’importanza del suo essere donna in un mondo maschilista, da sempre governato esclusivamente da uomini.

A prescindere dall’ideologia politica, avere finalmente una donna come premier doveva essere di ispirazione e speranza per una vera e propria emancipazione femminile, di cui tanto si parla, ma che poco si attua. È stato possibile confrontarsi sull’argomento con diverse personalità che hanno adottato e fatto proprio il linguaggio di genere come stile di vita. Per esempio il filosofo/blogger Lorenzo Gasparrini, femminista convinto e sostenitore della parità, nell’ambito del convegno “Linguaggio di genere-NON SOLO PAROLE” ha affermato chiaramente che la discriminazione sessuale è talmente abituale nel linguaggio e nei modi di dire “comuni” da non rendersi conto in prima persona di quanto tali comportamenti portino alla degradazione della donna. Anche la linguista Manuela Manera ha espresso il suo punto di vista al riguardo, definendo fondamentale l’utilizzo del femminile nel linguaggio scritto e parlato per raggiungere la tanto agognata parità, da cui sfortunatamente siamo ben lontani. La stessa associazione, che ha organizzato il convegno, è guidata da una donna, Anna Maria Nami, che ha espresso chiaramente la volontà di essere definita la presidente dell’associazione. Quindi, a tutte le persone che speravano in un allontanamento dal modello patriarcale della società, il nuovo Presidente del Consiglio ha dimostrato che essere donna non ha alcuna importanza quando, dopo aver sfondato il tetto di cristallo, ci si trasforma in maschi e che il potere femminile non sempre rispecchia il potere femminista, entrando nei panni di un uomo anziché indossare con femminilità un ruolo che da sempre è stato maschile.

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