mercoledì, 24 Aprile 2024

Linguaggio di genere e violenza sulle donne: amore e rispetto passano anche dalle parole

Sabato 22 ottobre a Oriolo Romano, in provincia di Viterbo, "Linguaggio di genere-NON SOLO PAROLE". A parlarne la presidente dell'associazione "Amore è rispetto-Rete contro la violenza di genere A.P.S.", Anna Maria Nami: "Educare al linguaggio neutro nelle scuole formerà adulti consapevoli e non violenti".

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“Il linguaggio di genere è un tipo di linguaggio che dovrebbe essere applicato in tutti i contesti in modo neutro. Fino a oggi, in una società patriarcale come la nostra, il linguaggio viene usato sempre al maschile, quindi dà delle distorsioni del significato. Per esempio se dobbiamo intendere la persona o l’individuo si dice sempre uomo, che si parli indistintamente di uomo o donna“. È con queste parole che Anna Maria Nami, presidente dell’associazione Amore è rispetto-Rete contro la violenza di genere A.P.S., ci introduce al mondo del linguaggio di genere e ci invita al convegno che si terrà sabato 22 ottobre alle 15:30 presso la Sala degli Avi del Palazzo Altieri a Oriolo Romano, in provincia di Viterbo.

Anna, ci hai tenuto a specificare che sei la presidente e non la presidentessa.
Certo, perché è più giusto declinare in questo modo le cariche. Bisogna iniziare a pensare al neutro in tutte le sue forme e declinazioni, a partire dal linguaggio colloquiale a quello formale. La cosa più importante è nelle scuole e soprattutto nei testi scolastici: iniziare da lì per poi proporre una cultura neutra per le future generazioni.

Il linguaggio di genere parte dagli stereotipi di genere. Cosa puoi dirci a riguardo?
Lo stereotipo è una credenza condivisa socialmente, quindi quando identifichiamo una persona per accorciare mentalmente la sua rappresentazione aderiamo allo stereotipo. Per esempio, tornando al discorso dei testi scolastici, stereotipicamente il papà è rappresentato come la figura che la mattina va al lavoro, quindi giacca, cravatta, cartellina, mentre la mamma è rappresentata, sempre secondo lo stereotipo, come quella che si occupa della casa, accudisce la famiglia, stira, pulisce. Questi sono solo due esempi, ma che rientrano anche nell’ambito dello stereotipo di genere, infatti la donna è rappresentata come casalinga e l’uomo come quello che mantiene la famiglia. Dobbiamo abbattere queste barriere. Anche per i giocattoli si entra in uno stereotipo di genere ben definito, infatti per cultura la bambina gioca con le bambole e il maschietto gioca con le automobiline. Perché questo? Non è detto che una ragazzina non possa giocare con le macchinine e un ragazzino con le bambole.

Nel 21esimo secolo vediamo donne che vanno al lavoro e che hanno una carriera e uomini che verosimilmente stanno a casa: perché si vuole mantenere, specie in certi ambiti, questo stereotipo di genere?
Questa mentalità è dura da abbattere, perché anni di cultura patriarcale ci hanno portato a ragionare in un determinato modo. Il famoso soffitto di cristallo, che la donna non riesce ad abbattere in ambito lavorativo, esiste perché gli stereotipi di genere non le permettono di raggiungere facilmente livelli più alti, infatti deve lottare più degli uomini per gli avanzamenti di carriera o per ottenere il rispetto meritato; secondo la mentalità comune, la donna deve “avere il ruolo in famiglia”. È vero che adesso sono stati introdotti i congedi parentali anche per gli uomini, ma siamo lontani dalla vera parità.

Secondo te, quanto tempo ci potrebbe volere per questo cambiamento radicale? Stiamo parlando di centinaia di anni in cui la donna ha sempre avuto un ruolo minore rispetto all’uomo…
Il percorso è ancora molto lungo. Il primo approccio per il cambiamento è attraverso la scuola, infatti nei libri le figure femminili sono poco rappresentate, ma prima degli studenti vanno formati gli insegnanti, che devono essere consapevoli di come abbattere gli stereotipi di genere. Solo allora potremmo iniziare ad avere future generazioni che crescono con questa idea.

Se nelle scuole viene insegnato l’abbattimento dello stereotipo di genere e la neutralità nel linguaggio, ma in famiglia poi non c’è un riscontro, gli studenti come possono trovare una linearità in questo?
Le due cose dovrebbero andare in parallelo, ma dalla mia esperienza ho notato che i ragazzi, se a scuola hanno professori che li motivano e fanno capire bene i concetti, portano poi loro queste idee all’interno della famiglia e sono loro i promotori del cambiamento. È difficile, perché nell’ambito familiare gli stereotipi sono più radicati, sebbene adesso la donna sia addentrata nel mondo del lavoro. Ci vorrà tempo. Una delle missioni dell’associazione è proprio divulgare culturalmente questo tipo di immagine sia all’interno delle scuole che della società, da qui è nato il convegno.

Qual è quindi la correlazione tra linguaggio e stereotipo di genere?
Dal linguaggio di genere si arriva al rispetto. Con la neutralità non c’è più differenza tra uomo e donna, perciò si arriva a un discorso di non violenza se si applica un linguaggio consono, un linguaggio che rispetti tutti i generi.

Com’è nata l’associazione?
L’associazione è nata nel 2017 a seguito di un incontro fortuito nell’ambito di eventi contro la violenza sulle donne. Qui, a Oriolo Romano, c’è stato un flash-mob “Libere di amare”, a Canale Monterano una manifestazione con spettacoli teatrali e musicali e a Manziana c’è stata una fiaccolata. I promotori di questi eventi, me inclusa, si sono riuniti, decidendo di costituire un’associazione in rete proprio sulla violenza di genere, con lo scopo di sensibilizzare i giovani e la popolazione. I giovani sono fondamentali, rappresentano il futuro, sperando che diventino adulti consapevoli sui discorsi della non-violenza e del bullismo. I convegni e gli eventi servono proprio per la sensibilizzazione: più se ne parla, più risultati si ottengono. Tra le iniziative, una che ha riscosso grande successo è stata la manifestazione contro la violenza sulle donne in collaborazione con i panifici della zona. Abbiamo fornito buste con la scritta “La violenza sulla donna è pane quotidiano” e per tre giorni i fornai hanno venduto il pane proprio all’interno di queste confezioni.

La violenza sulle donne è quella di cui si parla di più, ma anche gli uomini subiscono violenza…
Ovviamente sì, ma in minoranza, per questo si parla fondamentalmente di violenza sulla donna. Indubbiamente l’emancipazione femminile ha portato l’uomo a doversi reinventare: se per anni era lui a predominare, con l’emancipazione a volte estremista si è trovato disorientato. È possibile che ci siano donne violente nei confronti degli uomini, ma si tratta di una violenza mentale, psicologica, non fisica, che porta poi l’uomo a essere aggressivo: non accettando l’emancipazione della donna, diventa violento. È comunque tutto correlato al rispetto delle differenze, che è alla base del condurre una vita in parallelo e non in forma gerarchica. Un percorso va affrontato insieme, per mano, non con uno che domina sull’altro.

Su cosa verterà e com’è nato il convegno del 22 ottobre?
Questo evento è nato per presentare alle amministrazioni locali una proposta di delibera per adottare il linguaggio di genere all’interno della comunità e delle pubblicità degli eventi, nel rispetto della figura femminile. I relatori che parteciperanno a questo evento sono persone altamente qualificate per trattare l’argomento, infatti sarà presente la linguista Manuela Manera, il filosofo/blogger femminista Lorenzo Gasparrini, la docente Filomena Taverniti – che fa parte della nostra associazione ed è fondatrice del gruppo “Indici paritari” di insegnanti che stanno facendo una rivoluzione interna per il linguaggio nei testi scolastici – e Alessio Pascucci, ex sindaco di Cerveteri, il primo e forse l’unico ad aver adottato la delibera sul linguaggio di genere all’interno del proprio Comune.

Cosa pensi del “no” votato dal Senato lo scorso 27 luglio sulla proposta di adottare il linguaggio di genere per quanto riguarda le cariche dello Stato? Votazione che la Destra ha espressamente chiesto in forma anonima…
Io credo che formalmente il linguaggio di genere vada adottato in ogni ambito, ma penso che vada rivisto anche il discorso delle “quote rosa”, perché non esiste una quota all’interno dell’amministrazione, esiste l’individuo. Perché ghettizzarsi e nascondersi dietro a questo discorso? Adesso dilaga l’idea che bisogna rispettare la “quota rosa”, ma in realtà bisogna rispettare l’individuo, uomo o donna che sia. Bisogna valutare la persona per le idee che ha, non per il genere.

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