martedì, 30 Aprile 2024

Piantedosi: “Non partite, vi veniamo a prendere noi”, forse tra uno o due anni.

Accogliere migliaia di vite in fuga non è accettare con rassegnazione gli arrivi incontrollati. E la politica del “Vi veniamo a prendere noi” non può funzionare. Caro ministro, se non tocca con mano la disperazione, non potrà mai capire che a volte restare è più rischioso che partire.

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Piantedosi aggrotta le sopracciglia (più di quanto non lo siano già). Abbassa un attimo lo sguardo poi fa qualche smorfia mentre ascolta un giornalista che gli pone due domande. La prima è: “Qual è stata la sua reazione alle polemiche scatenate dalle sue dichiarazioni sulla tragedia di Crotone?”. Il ministro inizia dalla seconda, poi risponde alla prima. Appare visibilmente irritato. Mentre parla allarga il colletto della camicia con l’indice. Poi esprime la sua indignazione nel vedere una tale tragedia “strumentalizzata” dall’opposizione e la messa in discussione della posizione del suo governo. Posizione che sostiene sia “doveroso fermare le partenze” (ed è proprio questo un punto su cui discutere) e “non accettare con rassegnazione gli arrivi incontrollati”, come farebbe l’opposizione.

Accogliere migliaia di vite in fuga non è accettare con rassegnazione gli arrivi incontrollati. E la politica del “Vi veniamo a prendere noi” non può funzionare. Tranquilli, mettetevi in fila, ordinati e aspettate (con rassegnazione) che qualcuno vi venga a prendere. Magari nel frattempo morirete di fame e di freddo in Afghanistan, impiccati, sgozzati o torturati in Iran, o sotto i bombardamenti in Siria. Ma tranquilli, “Vi veniamo a prendere noi”.

“Abbiamo realizzato corridoi umanitari per 617 persone”, riferisce Piantedosi durante l’intervista. Ma non fa cenno né alle trattative della Meloni con il governo instabile e corrotto della Libia, a cui il primo ministro ha regalato cinque imbarcazioni attrezzate per soccorrere i migranti ma che, di fatto, non faranno altro che riportarli nei lager libici. Né ha menzionato il decreto che porta il suo nome. Un provvedimento finalizzato a “razionalizzare” gli interventi delle ONG, o, per dirla in altre parole, limitare ed ostacolare la loro attività di soccorso in mare.

Eppure questo è il governo del “buon senso”, come amano ricordare. Un governo che dà una certificazione oggettiva e razionale alle sue scelte discrezionali. È di “buon senso” far rimanere in mare i migranti anziché sbarcarli subito e trasferirli via terra nel luogo di destinazione. È di “buon senso” non lasciarsi prendere da una disperazione tale da “giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”. E con “buon senso”, mettendosi nei panni di un migrante, il compassionevole ministro Piantedosi ha dichiarato che non prenderebbe il mare neanche se disperato perché “educato alla responsabilità verso quello che si può dare al proprio paese”. Peccato che la situazione italiana non sia paragonabile a quella in Siria, Afghanistan o Iran. Caro ministro, se non tocca con mano la disperazione, non potrà mai capire che a volte restare è più rischioso che partire.

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