venerdì, 19 Aprile 2024

Pil +3,9 nel terzo trimestre, sorride la Borsa di Milano: inflazione preoccupa ancora Eurozona

Secondo i dati pubblicati da Istat, nel terzo trimestre del 2022 l'economia italiana è cresciuta dello 0,5% rispetto ai tre mesi precedenti e del 2,6% rispetto allo stesso periodo del 2021, con una crescita acquisita per l'intero 2022 pari al 3,9%. La domanda estera netta invece ha contribuito negativamente.

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Dopo i dati incoraggianti sulla crescita della fiducia da parte dei consumatori, l’Istat ha pubblicato anche i dati sul comportamento dell’economia italiana nel terzo trimestre del 2022. Viene confermata una crescita sui livelli indicati dalla stima preliminare diffusa a fine ottobre. Il Prodotto Interno Lordo del terzo trimestre segna un +0,5% in termini congiunturali e +2,6% in termini tendenziali, così come stimato preliminarmente dall’istituto. In generale, la crescita acquisita nel 2022 risulta pari a +3,9%.

Rispetto al secondo trimestre, tutti i principali aggregati della domanda interna sono risultati in espansione, con tassi di crescita dell’1,8% dei consumi finali nazionali e dello 0,8% degli investimenti fissi lordi. La domanda estera netta invece ha contribuito negativamente (-1,3 punti percentuali) alla crescita del Pil, con le importazioni e le esportazioni aumentate, rispettivamente, del 4,2% e dello 0,1%. La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito per 1,6 punti percentuali alla crescita del Pil: 1,4 punti i consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private ISP, mentre hanno contribuito per 0,2 punti gli investimenti fissi lordi e contributo nullo della spesa delle Amministrazioni Pubbliche (AP).

Aumenta il PIL, sorridono le borse

L’incremento del Prodotto Interno Lordo ha degli effetti positivi sulle borse, in quanto viene percepito come un indicatore di benessere del Paese a cui si riferisce. Il Pil comporta anche un aumento dei profitti societari e quindi dei prezzi dei titoli azionari. Infatti, la Borsa di Milano, questa mattina, ha aperto in rialzo. Nei primi scambi il Ftse Mib segna un +0,49% a 24.585 punti.

La crescita del Pil e l’andamento dell’inflazione

Al centro delle preoccupazioni del Paese, restano tuttavia, l’aumento di alcuni prezzi alimentari e delle forniture di energia. Un aumento marcato dei prezzi potrebbe pesare soprattutto sul debito pubblico italiano. In particolare, l’inflazione può modificare il livello e la dinamica del debito pubblico tramite due canali principali: la crescita del Pil nominale e i tassi d’interesse sui titoli di Stato. Per quanto riguarda la relazione tra l’inflazione e il Pil nominale, siamo davanti a quello che viene definito “effetto denominatore”. In pratica, significa che una maggiore inflazione incrementa il Pil nominale, che è il denominatore del rapporto debito-Pil. Di conseguenza, questo effetto esercita una pressione a ribasso sul rapporto.

Fatta questa doverosa premessa possiamo dire che l’inflazione sta rallentando. O meglio, ci sono alcuni segnali che stanno portando gli economisti ad affermarlo. Le pressioni sulle catene di approvvigionamento si stanno attenuando, come dimostra il ritorno sui valori pre-Covid dei costi per il trasporto internazionale di merci. Di conseguenza, cala anche il prezzo di molte materie prime: l’indice dei prezzi alimentari della FAO registra ora un aumento annuo del 2%, Mentre tra marzo e maggio era stato registrato un +40%. Questo ha visto, in quasi tutte le economie del G20, un rallentamento nel mese di ottobre degli indici dei prezzi alla produzione rispetto al mese precedente. Sono solo segnali, anche deboli, per poter parlare di una generale inversione di tendenza, che però è già visibile in alcune economie.

L’Eurozona è in ritardo

In alcuni mercati emergenti il picco inflazionistico sembra ormai superato. In Brasile, economia fragile e molto sensibile, l’inflazione è in calo da quattro mesi consecutivi, mentre in Thailandia da tre. Ma anche in un’economia forte come quella degli Stati Uniti, i prezzi al consumo continuano a diminuire: dal picco del +9,1% di giugno, al +7,7% attuale. Al contrario, nell’Eurozona un primo calo si dovrebbe vedere solo nei nuovi dati sull’inflazione di novembre, con un decremento atteso dal +10,7% al +10,4%. Su questo ritardo pesa certamente l’indebolimento dell’euro rispetto al dollaro, ma soprattutto il prezzo del gas in Europa. Che, nonostante non sia più quello di agosto, resta sei volte più alto che negli Usa e il 20% in più che in Asia.

Inoltre, il tetto al prezzo del gas non è l’unico da monitorare. I Paesi europei, infatti, stanno cercando una difficile quadra per introdurre un limite anche al prezzo del petrolio russo. Una misura che potrebbe portare a nuove ritorsioni russe sui mercati energetici. Mentre da un punto di vista economico i segnali sono incoraggianti, dal punto di vista geopolitico le cose non vanno proprio per il verso giusto.

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