venerdì, 26 Aprile 2024

Riforma del cognome: un duro colpo dalla normalità all’anacronismo del Belpaese

Questo entusiasmo quasi incredulo per la notizia risulta piuttosto imbarazzante, dato che siamo in Italia, nel 2022, e purtroppo c’è stato bisogno di una sentenza della Corte Costituzionale per stabilire che non c’è proprio niente di normale nell’attribuire in automatico il cognome paterno ad un bambino che nasce.

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Notizia fresca, ma ormai sulla bocca di tutti gli increduli italiani: nel Belpaese, da ieri 27 aprile 2022, la Corte Costituzionale ha decretato “discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre”. La sentenza stabilisce quindi che “il figlio assuma il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano di comune accordo di attribuire soltanto il cognome di uno dei due”. È così che l’articolo 262 del codice civile diventa incostituzionale e, in attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale ha reso noto che le norme censurate sono state dichiarate illegittime per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Immediata, ça va sans dire, la reazione sui social, invasi da storie, post e commenti del tenore di “che notizia incredibile!” o “questa è una svolta epocale!¡!”.
In realtà la vera notizia è considerare questa sentenza, che di sconvolgente non ha nulla, un evento di portata storica. A ben vedere, tutto questo entusiasmo quasi incredulo risulta piuttosto imbarazzante, dato che siamo in Italia, nel 2022, e purtroppo c’è stato bisogno di una sentenza della Corte Costituzionale per stabilire che non c’è proprio niente di normale nell’attribuire in automatico il cognome paterno ad un bambino che nasce.

La sentenza si è resa necessaria dopo la vicenda che ha interessato due genitori lucani con tre figli, i primi registrati col cognome della madre e il terzo registrato automaticamente con il cognome del padre perché nato dopo il matrimonio tra i due genitori. La madre ed il padre avrebbero voluto registrare con il cognome della madre anche il terzo figlio, ma gli uffici comunali si sono opposti e i magistrati in primo grado hanno dato ragione al Comune. La vera notizia è che questa giovane famiglia sia dovuta ricorrere ad un tribunale e abbia dovuto lottare per vedersi riconoscere il sacrosanto diritto all’ identità, oltre che alla parità di genere.

Dare con bigotto automatismo il cognome del padre, senza possibilità di scelta, è una regola patriarcale vecchia secoli che non aveva senso. E non lo si dice per cavalcare l’onda della notizia. Chi scrive in questo momento è in attesa di un bambino che non ha ancora un nome definito, ma che da quando è stato concepito ha una certezza: avrà anche il cognome di sua madre, e lo avrebbe avuto a prescindere da ciò che giustamente esprime questa sentenza.

I Paesi scevri da questa logica anacronistica sono innumerevoli, e in questi luoghi illuminati dalla grazia del buonsenso non sono crollati i commerci né la virilità degli uomini che li abitano, per nulla imbarazzati dalla questione. Ciò che continua invece ad imbarazzare è la nostra politica, che quando si parla di diritti fa sempre la parte del convitato di pietra e continua a dormire. Per avere un risultato del genere in Italia, abbiamo dovuto aspettare dei giudici, che finalmente hanno messo fine a questa discriminazione normativa; discriminazione che purtroppo è e resta soprattutto sociale. E per debellare quest’ultima, non basterà purtroppo solo una sentenza.

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