venerdì, 11 Ottobre 2024

Piovono palloni dal tetto di una chiesa: l’Italia di una volta nello scatto da Nobel

Facebook è il luogo nel quale un cervellone come Giorgio Parisi, premio Nobel per la Fisica, condivide emozioni. Quei tanti palloni venuti giù dal tetto di una chiesa hanno il sapore di un tempo, di un'Italia che oggi si fa fatica a riconoscere.

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Attualità, costume, sport o semplicemente operazione nostalgia? Risponderete voi a questa domanda, sorta una volta guardata la foto a corredo del pezzo. Una piccola curiosità. Sapete chi ha pubblicato l’immagine su Facebook? Il Nobel per la Fisica Giorgio Parisi. Già, perché Facebook non è solo amore, odio, tifoserie o chissà quanto altro. Facebook è il luogo nel quale un cervellone come Parisi condivide emozioni. L’emozione di una chiesa dal cui tetto son venuti giù tanti palloni. Ci troviamo ad Ascoli Piceno, la chiesa è quella di San Tommaso Apostolo, situata nell’omonima piazza. Una gru impegnata nelle operazioni di pulizia del tetto lo sgombera e lascia cadere sul selciato una decina di palloni da calcio. Perché non provate a contarli?

Se permettete, le notizie sono due: la leggerezza – “che non è superficialità”, come ci ha insegnato Italo Calvino – dell’insigne studioso italiano, e il tornare indietro. Seppur per un  istante, per uno scatto. Quello scatto che torna a farci sentire Nicola Berti come quando giocavamo a pallone per strada; quello scatto d’ira rivolto al compagno di squadra o all’avversario vai a vedere per quale motivo, forse solo per farci a botte; quello scatto di volgarità per il pallone finito sul balcone mentre tiravamo un calcio non proprio alla van Basten. E poi la chiesa: per noi piccole pesti la chiesa, diciamocelo, era solo il pallone. Giocare a pallone in parrocchia, se aveva un campetto pure di cemento, giocare fuori della chiesa perché c’era più spazio. Lo stesso spazio, poi, quasi interdetto dal negoziante a fianco che si vedeva l’ennesima sfera sfiorare la vetrina e vedeva le sue sfere rotare. Lo stesso spazio, però, che noi giovani degli anni ’80 bloccavamo non appena stava per passare una persona anziana, una famiglia, o chiunque avevamo imparato a rispettare.

Ed è proprio lì, sul pavé, che abbiamo imparato (non tutti) a campare, ad ascoltare i più grandi e a vivere in maniera civile, dopo essercele date di santa ragione. Lì, con le ginocchia rosse sangue e le mani nere di polvere, abbiamo cementato le nostre Amicizie: sì, con la maiuscola, perché sono quelle che ti rimangono. Sono quelle cui magari non ti rivolgi mai, ma sai che basta un tocco e ci vediamo da te. Quelle Amicizie che in alcuni casi hanno transitato strade al limite e perfino oltre la legalità, ma questo non ti consente di guardare col sopracciglio alzato chi una volta è caduto. Ecco: abbiamo imparato anche questo. Siamo caduti, ci siamo rialzati e adesso siamo qui a scrivere, oppure a fare lavori di fatica. Quella fatica mai sentita durante le interminabili partite di calcio sul marciapiede o sul sagrato della chiesa.