martedì, 30 Aprile 2024

La Gazzetta del Mezzogiorno non c’è più. Da molto tempo

Quello della Gazzetta è solo l'ultimo caso a testimoniare la crisi che da decenni investe il mondo dell'informazione. Al netto degli aspetti giuridici della vicenda, non si ha il coraggio di dire che giornali blasonati, sono finiti nelle mani di gente attenta solo al profitto. Editore e imprenditore non sono esattamente sinonimi.

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Oggi La Gazzetta del Mezzogiorno cessa le sue pubblicazioni, non per sempre si spera. C’è infatti in piedi una vicenda fallimentare che si trascina da tempo, vicenda che ha portato a questo giorno. Una storia troppo complessa e delicata per potercisi addentrare a cuor leggero, dai retroscena nemmeno troppo chiari a dirla tutta, e che in ogni caso si ripercuote sulla vita di oltre 140 famiglie il cui futuro appare ancora più incerto.

La mia bacheca facebook è invasa da messaggi di incoraggiamento e perfino da foto di “lettori” con in mano dio solo sa quante copie del numero in edicola oggi. Foto che a ben vedere sembrano più scattate per strappare qualche facile like, in molti casi almeno, il tutto accompagnato da post intrisi di retorica un tot al chilo. Disgustoso.

Da più parti sono stato tempestato di messaggi che invocano la necessità di imprenditori con la i maiuscola, di cui il Sud sarebbe carente rispetto al Nord, cosa per altro di cui non sono convinto fino in fondo. Quello della Gazzetta è solo l’ultimo caso, in ordine di tempo, a testimoniare la crisi che da decenni investe il mondo dell’informazione.

Sì, perché al netto degli aspetti giuridici della vicenda, quello che non si ha il coraggio di dire, è che il nostro settore, giornali anche blasonati, sono finiti nelle mani di gente solo attenta al profitto e non anche al servizio prestato ai lettori. Editore e imprenditore non sono esattamente sinonimi.

Parlare genericamente di crisi dell’editoria, in particolar modo per colpa del web, significa nascondersi dietro a un dito, per giunta il mignolo. Dare la colpa all’accesso gratuito alle notizie, vuol dire fingere di non sapere che in altri Paesi le cose vanno molto meglio che da noi, significa rifiutarsi di guardare a testate straniere che hanno trasformato la “rivoluzione digitale” in occasione.

Senza invidiare necessariamente l’erba del vicino sempre più verde, un paio di anni fa una testata cartacea nazionale nostrana ha lanciato la campagna “Digital first”. Un vanto. Nel 2020. Complimenti. Al marketing e alla proprietà. Roba che a pensarci mi vergogno ancora per loro.

Tornando alla Gazzetta, retorica a parte, ho tanti amici e stimati colleghi tra le firme dello storico quotidiano del Sud. A loro va il mio pensiero più preoccupato. Ai loro colleghi che hanno remato contro, che negli anni non hanno voluto alzare il culo dalla sedia per tornare sul campo, per andare a cercare le notizie, che hanno riempito le pagine del giornale con comunicati stampa del giorno prima come purtroppo ho potuto constatare per anni, a loro dicevo va tutta la mia disapprovazione.

Se i giornali non si vendono, a mio avviso, è perché non si è voluto capire che carta stampata e web possono coesistere solo se l’edizione cartacea saprà trovare il modo di rinnovarsi dall’interno, nei contenuti, nella cura dei particolari, nell’attenzione a tutti quegli scivoloni che i lettori non sono disposti a perdonare. Non farlo significa mancare di rispetto a quei pochi che la mattina escono di casa per andare in edicola a comprare il giornale. Condannando così a morte certa la testata e le edicole.

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