venerdì, 19 Aprile 2024

Interruzione volontaria di gravidanza: cos’è, come funziona e tutte le procedure previste in Italia – VIDEO

Se una donna decide di interrompere volontariamente la gravidanza dove e a chi si deve rivolgere? Qual è la differenza tra aborto chirurgico e farmacologico, come e perché scegliere una procedura invece di un'altra? Ce lo ha spiegato la dottoressa ginecologa Anna Pompili, responsabile del servizio Ivg dell'Ospedale Sant'Anna di Roma, membro della Consulta di Bioetica e Consigliera Generale dell'Associazione Luca Coscioni.

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Nel caso in cui in Italia una donna decida di interrompere volontariamente la gravidanza cosa deve fare e a chi si deve rivolgere?
Intanto forse dovremmo sgomberare il campo da idee preconcette. Noi in Italia siamo convinti che l’aborto non sia più un reato e che la legge 194 garantisce l’autodeterminazione delle donne. Ecco, dobbiamo chiarire che queste due affermazioni non sono vere: in Italia l’aborto è ancora un reato ed è ammesso soltanto nelle condizioni previste dalla legge 194, ovvero che la prosecuzione della gravidanza, il parto e la maternità devono costituire situazioni pericolose per la salute fisica o psichica della donna. Quindi la legge 194 non garantisce l’autonomia decisionale delle donne, non garantisce in alcun modo l’autodeterminazione, tutela solo il diritto alla salute delle donne, salute che può essere messa a rischio dalla gravidanza o dalla futura maternità. Questa è l’ottica importante da tenere presente. La donna che decide di interrompere la gravidanza non può andare nella struttura ospedaliera dove viene praticata l’Ivg e aspettarsi che venga attuata la procedura, ma è prima di tutto costretta a un colloquio con un medico di sua fiducia, di un consultorio o di una struttura autorizzata. Lo stesso medico è così costretto al ruolo di “giudice morale” che non attiene alla sua professione, costretto ad ascoltare le motivazioni della donna, valutandole assieme a lei e spiegandole le alternative possibili alla scelta dell’aborto. Solo dopo questo colloquio forzato il medico stila un documento o, laddove ravveda l’esistenza di condizioni di urgenza, redige un certificato che è indispensabile per poter rivolgersi ai centri che si occupano dell’espletamento della procedura.

Qual è la differenza tra aborto chirurgico e farmacologico?
L’aborto chirurgico può essere praticato dalla settima alla 22esima settimana di gravidanza e consiste fino alla 14esima-16esima nella dilatazione del collo dell’utero per permettere l’introduzione di cannule che aspirano il feto. Dopo la 16esima settimana invece il processo è più complesso, perché si deve dilatare il collo dell’utero ed estrarre quindi le parti fetali con strumenti particolari. Si tratta di una tecnica che è molto poco utilizzata in Italia, mentre è molto utilizzata in altri Paesi come l’Olanda. La procedura farmacologica si basa invece sull’assunzione di due farmaci in genere a distanza di 48 ore, il mifepristone, qui da noi meglio noto come RU486. Il mifepristone è un antiormone, quindi contrasta gli effetti dell’ormone che è deputato a mantenere la gravidanza, il progesterone. Quindi nel 60% dei casi questa prima pillola blocca l’evoluzione della gravidanza e oltretutto sensibilizza l’utero all’azione del secondo farmaco, che è una prostaglandine, si chiama misoprostolo. Quest’ultimo induce l’ammorbidimento del collo dell’utero, le contrazioni e quindi il distacco e l’espulsione della gravidanza. La metodica farmacologica è utilizzata con le sole prostaglandine già dai primi anni ’70, ma la vera rivoluzione è stata appunto la sintesi del mifopristone e quindi la possibilità, usando i due farmaci insieme, di fornire un metodo altamente efficace e sicuro. Nel 2005 queste due pillole sono state introdotte nell’elenco dei farmaci essenziali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il metodo d’aborto farmacologico è stato introdotto in Italia alla fine del 2009, quindi si è aperto alla possibilità per tutte le regioni di praticare l’aborto farmacologico solo nel 2010. Finalmente nel 2020 abbiamo avuto la possibilità di utilizzare questo metodo nelle gravidanze fino a 9 settimane e anche in regime ambulatoriale, ciò significa che le donne possono prendere i farmaci dell’aborto farmacologico senza essere ricoverate. C’è da dire che non esiste una procedura migliore per l’aborto: le donne hanno diritto a una corretta informazione sulla base della quale, considerando le loro caratteristiche, paure o il loro modo di sentirsi in una situazione o nell’altra, possano scegliere correttamente. Il ruolo del medico è quello di escludere eventuali controindicazioni per l’aborto farmacologico o quello chirurgico. C’è da dire che l’aborto farmacologico è una procedura che mette al centro la persona, perché è la donna che prende la pasticca, è la donna che gestisce in prima persona tutto il processo dell’interruzione di gravidanza. Si tratta di una metodo che rivoluziona l’atto medico, facendolo controllare da quella che impropriamente definiremmo paziente. Questo non è poco, riconoscere che le persone sono capaci di autodeterminarsi in un atto medico e sono capaci di gestirlo è una cosa che fa tremare i muri. L’ostilità nei confronti dell’aborto farmacologico c’è stata non solo da parte dei sistemi sanitari e dei ministeri della Salute, ma anche da parte dei medici che con questa procedura avvertono di perdere potere sulle persone che dovrebbero curare. Si tratta di una possibilità, invece, di stabilire una nuova relazione tra il medico e la donna, un’occasione che spero il nostro Paese non voglia perdere.

In Italia abbiamo la legge 194 del 1978 che regolamenta l’interruzione volontaria di gravidanza… continua a leggere

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