sabato, 27 Aprile 2024

“C’é ancora domani”, Paola Cortellesi conquista pubblico e critica con la sua prima pellicola: un film per tutti e per nessuno

Arrivato nei cinema italiani giovedì 26 ottobre,"C'é ancora domani" raccoglie i consensi del pubblico e della critica, riscuotendo un successo eccezionale. Paola Cortellesi racconta la storia in bianco e nero di Delia, moglie e madre di tre figli nella Roma del 1946, riuscendo a toccare il cuore e far riflettere la mente.

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Grande attesa aleggiava intorno al debutto cinematografico di Paola Cortellesi, questa volta non solo come attrice, ma anche come regista. Ad una settimana dall’uscita del film, dal titolo “C’é ancora domani”, non è presto per dire che siamo di fronte ad un successo memorabile: 1,6 milioni di euro di incassi solo nel primo weekend, arrivando finora a quasi 4 milioni di euro totali. Non molto distante dal thriller di Martin Scorsese, “Killers of the Flower Moon”, e dal candidato italiano agli Oscar di Matteo Garrone, “Io capitano”. Se i numeri degli introiti già parlano da sé, il film della Cortellesi può vantare molto di più di un trionfo economico: infatti, sia il pubblico sia la critica le riservano giudizi lusinghieri- coincidenza decisamente non comune- rendendo manifesto come la neoreagista sia riuscita a coniugare un linguaggio universale con una tecnica impeccabile. Del resto, è sufficiente la prima mezz’ora seduti in sala per rendersene conto: l’ambiente domestico e la routine della famiglia riportano a quella semplicità e quotidianità in cui ognuno di noi può ritrovarsi, ma al tempo stesso le scene sono ben lontane dalla banalità, impreziosite di dettagli, musiche e immagini che fanno risaltare la maestria della produzione.

LA FAMIGLIA SANTUCCI

La famiglia di cui stiamo parlando è quella di Delia e Ivano: due coniugi che vivono in un umile appartamento dei quartieri popolari della capitale. Siamo nel 1946, quando l’Italia è reduce dalla sconfitta nella Seconda Guerra mondiale e la milizia americana presidia le strade, mentre il referendum costituzionale è alle porte- proprio quel referendum che cambierà le sorti del Paese, determinando la vittoria della Repubblica. Sulle note di “Aprite le finestre” di Franca Raimondi, veniamo trasportati dentro ad un’abituale giornata di Delia, che deve destreggiarsi tra i suoi tre figli, il suocero allettato e dispotico, i mille lavoretti per portare a casa qualche lira in più, le faccende di casa e, soprattutto a fine giornata, le violenze fisiche subite dal marito. Quest’ultimo infatti, interpretato da Valerio Mastrandrea, trascorre la giornata fuori casa per lavorare, con il misero guadagno di 13 mila lire a settimana, e la sera spesso esce, talvolta per giocare a carte con gli amici, talvolta “per andare a donnacce”- come dice in lacrime la figlia Marcella, in un momento di solitudine con la madre. Proprio Marcella è una delle figure più significative della trama, in quanto alter ego della madre, o, per meglio dire, potenziale alter ego. La ragazza infatti, che dopo l’avviamento scolastico ha iniziato a lavorare in stireria- e guarda con invidia i due fratelli più piccoli, che, pur svogliati, proprio perché maschi possono fare le scuole medie– si frequenta da circa un anno con un ragazzo facoltoso: Giulio Moretti.

UNA MADRE CHE SALVA UNA FIGLIA

Intorno al fidanzamento dei due giovani ruota un vortice di emozioni e percezioni in rapido mutamento: inizialmente la trepidante attesa della proposta, poi la gioia e il senso di rivalsa quando finalmente Giulio mette l’anello al dito di Marcella, ma, poco dopo, reminiscenze e paura, quando Delia comincia a scorgere nel ragazzo quegli atteggiamenti di possesso e gelosia che ella stessa aveva visto in Ivano all’inizio della loro relazione. Se per lei ormai la scelta era irreversibile, Delia sa che la figlia può ancora salvarsi e il suo istinto materno la spingerà a tutto pur di non permettere che Marcella si ritrovi nel suo stesso incubo. Quell’incubo che oggi ancora esiste, che per molte famiglie e molte donne- fortunatamente- non è altro che il fantasma di una cultura antica, mentre per altre è ancora tragicamente reale. La Cortellesi riesce a ricordarci proprio questo: che non possiamo concederci il lusso di credere che quelle scene siano vecchi cimeli nei racconti delle nostre nonne, che il dramma si nasconde nei segnali più sottili– come le parole che Giulio rivolge a Marcella, quando le impone di non truccarsi e di smettere di lavorare, perché “tu sei solo mia”. Un campanello di allarme che al pubblico- e a Delia- suona fin troppo chiaro, ma che proprio Marcella, la quale più volte nel corso del film critica e disprezza la madre per lasciare che suo marito la tratti come “una pezza da piedi”, non coglie affatto. Perché? Perché è innamorata, perché è convinta che Giulio tenga a lei e che rappresenti la porta di ingresso verso una nuova vita, dove la miseria, la fatica e il sopruso resteranno solo un lontano ricordo. Una speranza che la acceca e rischia di farle commettere il più grande errore della sua vita.

DONNE CHE CAMBIANO LA STORIA

Tuttavia, sarebbe riduttivo dire che “C’é ancora domani” è un film di denuncia della violenza sulle donne. La verità è che è proprio il contrario: è un film di celebrazione dell’intelligenza e della forza delle donne, che nonostante quella violenza, quell’umiliazione, quell’etichetta secondo cui valgono e varranno sempre meno degli uomini, sanno compiere gesti rivoluzionari. Uno su tutti: recarsi in massa alle urne, quando i seggi del referendum apriranno domenica 2 e lunedì 3 giugno 1946. Come ricordano le fotografie storiche a conclusione del fil, i votanti furono 25 milioni, di cui 13 milioni di donne, l’89% delle aventi diritto. E così la narrazione cambiò, senza bisogno di parole, ma della consapevolezza del proprio ruolo all’interno della società. Paola Cortellesi riesce a mostrarcelo con lucidità e sensibilità, senza romanticizzare e al tempo stesso senza spietatezza, ma semplicemente con la potenza della verità– combinata con una misurata dose di comicità, attentamente intrecciata nelle parole e nelle circostanze che i personaggi vivono. Centodiciotto minuti che sanno strappare lacrime e risate, al termine del quale non si riesce a non applaudire. Soprattutto, un film che parla a ognuno di noi– uomini e donne, figli e genitori, giovani e adulti- e allo stesso tempo non parla a nessuno, perché i veri protagonisti non siamo noi, ma le italiane e gli italiani di 80 anni fa, che ci hanno lasciato un compito: restare integri, avere coraggio e fare meglio di loro. Trasformare quel mondo in bianco e nero in un mondo a colori.

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