venerdì, 19 Aprile 2024

Festa delle donne, la storia di Flavia: “Con l’endometriosi ho perso adolescenza e amicizie”

L'8 marzo è un modo per omaggiare le donne, anche quelle che lottano ogni giorno per la sopravvivenza, contro malattie incurabili, invalidanti, per affermare la propria identità femminile anche quando esistono patologie, come l'endometriosi, che portano via tutto ciò che ci rende donne.

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Ho 30 anni e ho passato metà della mia vita, 14 anni, a curarmi. Ho perso l’adolescenza, la mia spensieratezza, molte amicizie lungo la strada. Spesso non sono stata compresa, ma questa condizione mi ha portato a lottare, anche attraverso l’attivismo“. È così che Flavia, nel giorno della festa delle donne, ci racconta la sua alla lotta contro l’endometriosi.

Sì, spesso pensiamo che l’8 marzo simboleggi, attualmente, solo una giornata per alzare la testa e dire “no” a soprusi e violenze, oppure per vivere una libertà che nel resto dell’anno si ha difficilmente. Va bene tutto, è tutto giusto, ma l’8 marzo è anche un modo per ricordare e omaggiare tutte le donne che lottano quotidianamente per la sopravvivenza, contro malattie incurabili, invalidanti, per affermare la propria identità femminile anche quando esistono patologie, proprio come l’endometriosi, che portano via tutto ciò che ci rende donne. La voce di Flavia, con l’associazione ALICE odv, urla per far valere i propri diritti e per far conoscere la dolorosa realtà di chi combatte contro questa malattia.

Endometriosi, una vita tra dolori infezioni e sale operatorie

“Ho sviluppato molto presto. Il primo ciclo mestruale è insorto all’età di 8 anni. Per tutti è stato un evento bellissimo perché qui al Sud, a Bari, diventare donna è una cosa meravigliosa. Per me no, perché da quel momento in poi ho iniziato a soffrire di gravissimi dolori e costante anemia, che veniva curata con pastiglie di ferro e vitamina C ma non è mai migliorata. A questo si aggiungevano continue infezioni, scambiate erroneamente per cistiti e curate con abbondanti e diversi antibiotici, al punto da farmi diventare intollerante”.

Flavia: “Una massa di 13,5 centimetri di diametro. Endometriosi”

“All’età di 16 anni ho avuto un forte rigonfiamento alla pancia, paragonabile a un pallone da calcio. L’ho fatto vedere ai miei genitori e ci siamo rivolti a un medico di famiglia nostro amico che palpandomi ha sentito una massa. Ha affermato che sicuramente poteva essere un problema intestinale e che sarebbe stato il caso di sottopormi a un’ecografia, ovviamente sovrapubica perché ero giovanissima. La settimana successiva l’ecografista, che il caso ha voluto fosse un ginecologo, durante l’esame ha chiesto la consulenza del primario del reparto. Insieme mi hanno dato la ‘bella’ notizia: avevo una massa di 13,5 centimetri di diametro all’interno del mio addome. La conformazione era quella tipica di una malattia all’epoca poco conosciuta e poco trattata, l’endometriosi”.

Flavia: “Al primo intervento 70 punti di sutura. Avevo 17 anni”

“Mi hanno imposto un ricovero immediato in ospedale per operarmi. Purtroppo quel primo intervento non è andato bene. Dopo un tentativo in laparoscopia, con cui non sono riusciti a raggiungere la cisti, mi hanno aperto con un taglio laparotomico, simile a quello del cesareo, da cui mi è rimasta una cicatrice molto grande, visti i 70 punti di sutura. Era sotto Natale, ho passato le feste in ospedale con punti e dolori. Avevo solo 17 anni. Dopo essere tornata finalmente a casa, ho iniziato a stare peggio. Non riuscivo a muovermi, non riuscivo a stare in piedi, non avevo energie”.

Flavia: “Stavo molto male, nessuno mi ha creduta”

“Mi sono rivolta a un altro medico che mi ha fatto eseguire le analisi per controllare i markers tumorali. I miei valori superavano di migliaia di unità i valori standard. Il dottore ha chiesto allora i vetrini del materiale asportato durante l’intervento, iniziava a pensare che si trattasse di un cancro. Dopo solo sei mesi mi hanno portata in sala operatoria d’urgenza, proprio nei giorni del mio 18° compleanno. Durante l’intervento mi hanno asportato anche una parte di intestino. Ho subito così la mia prima resezione intestinale. Ventuno giorni di digiuno, poi dieta liquida, poi mi hanno detto che avrei iniziato a stare meglio una volta ricominciato a mangiare, perché ero molto debole. Tuttavia, questo non è successo. Ho continuato ad andare dai medici dicendo che stavo molto male, nessuno mi ha creduta“.

Flavia: “Dolori a schiena e gambe. Quasi paralizzata totalmente”

“In quei due anni mi hanno dato psicofarmaci e prescritto una terapia del dolore molto forte tramite la consulenza di un anestesista. Dopo quel periodo ho deciso di rivolgermi a un centro di eccellenza che si trova ad Avellino. Il medico mi ha fatto una semplice ecografia: ero piena di endometriosi, non si sa se a causa di una recidiva molto veloce o per l’intervento precedente poco accurato. Sono stata sottoposta quindi a un nuovo intervento a Salerno: sotto i ferri per 4 ore, lontana da casa e da tutti. Tornata a Bari, sebbene sperassi in una soluzione definitiva, si sono susseguiti altri sei interventi. I dolori erano forti, non li riuscivo nemmeno a spiegare perché iniziava a farmi male anche il petto. Quando si avvicinava il periodo della fine della pillola e quindi l’arrivo del ciclo fittizio (pseudo-ciclo), non riuscivo a respirare bene e mi insorgevano dolori alla schiena e alle gambe, fino quasi a paralizzarmi totalmente“.

Al Negrar di Verona: endometriosi gravissima

“Ho continuato ad andare dai medici. Mi ripetevano che mi avevano operata tante volte e che ormai ero guarita totalmente. Nel 2019 ho preso coraggio e sono andata al Nord perché non ce la facevo più, io volevo morire. A Verona c’è un centro di eccellenza riconosciuto a livello mondiale, il Negrar. Il medico mi ha chiesto come mai fossi lì da Bari, quasi mille chilometri da casa. ‘Dottore, ho bisogno di aiuto. Non ho più motivi per vivere, perché questa non è una vita! Non esco, non cammino, passo quasi tutto il mio tempo a letto, non sono più autonoma nell’andare di corpo, nel fare pipì, ho costanti infezioni e mi riempio di farmaci‘. Dopo una visita completa, palpazione, esplorazione ecc., e senza l’ausilio di un’ecografia, il medico era sconvolto: mi trovavo in una situazione di endometriosi gravissima. Avrebbe dovuto portarmi in sala operatoria, innanzitutto per fare una mappatura del mio corpo (dopo tanti interventi avrebbe avuto un assetto completamente sfasato), e poi per comprendere tutte le localizzazioni in cui la malattia si è riformata”.

Intervento sotto il Covid: un mese sola e lontana da casa

“È arrivato il Covid, e sono stata chiamata per l’intervento a marzo 2020. È stato bruttissimo: Verona era zona rossa, non potevo avere nessuno con me, ero sola e lontana da casa. L’operazione è durata 9 ore e ho dovuto passare gli 11 giorni successivi in terapia sub-intensiva. I medici mi hanno detto che l’endometriosi era talmente aggressiva che aveva colpito non solo tutti gli organi e le strutture dei vari apparati (reni, vescica, ureteri, diaframma, intestino, polmoni…), ma anche muscoli e legamenti. Sono stati costretti a rimuovere sette linfonodi e sono dovuti intervenire anche sui nervi e su tre vertebre. La ripresa è stata tremenda: avevo sempre febbre, che non si abbassava, e sono dovuta rimanere in ospedale per quasi un mese”.

Endometriosi, danni irreversibili e invalidità

“Tornata a casa, ho iniziato la mia riabilitazione. Purtroppo, a causa dei danni subiti dalla malattia, riporto una serie di condizioni gravi e irreversibili che mi hanno condotto all’invalidità. Sono stata aiutata dal personale della riabilitazione del Negrar e la mia qualità di vita è migliorata. Non ero più autonoma nemmeno nell’andare in bagno, grazie a loro ho riacquisito l’uso delle gambe e piano piano ho ripreso le mie funzioni fisiologiche. Si tratta di una riabilitazione che dovrò fare per tutta la vita: se mi fermassi mi troverei nuovamente nelle condizioni iniziali. Avendo infiltrazioni endometriosiche nel sistema muscolare, i muscoli non si contraggono e rilassano normalmente. Questo provoca periodicamente delle grosse emorragie che mi portano a una forte anemia”.

Endometriosi, la realtà nel Sud Italia

“Interfacciarsi con questa malattia per molti è facile, trovandosi dal Centro Italia in su. Da Napoli in giù non esiste diagnosi precoce, non ci sono centri di eccellenza e, sebbene siamo nel 2023, non si conosce ancora bene questa patologia. Nel Sud siamo ancora con l’idea che l’endometriosi è solo una mestruazione molto dolorosa che passa facendo un figlio. Il mio attivismo con ALICE odv è nato per informare tutti gli utenti, bambini, ragazzi, colleghi e familiari, ma anche personale medico-scientifico. Qui a Bari, per esempio, un consultorio non è in grado di indirizzare verso gli specialisti pur conoscendo i sintomi, ed è gravissimo”.

ALICE odv, la marcia pacifica per la consapevolezza

Per tutto questo, per evitare che altre donne debbano patire quello che ha passato Flavia, l’invito è quello di prendere consapevolezza della gravità, e soprattutto dell’esistenza, di questa malattia. L’informazione è il primo passo verso la conoscenza. A questo scopo l’associazione ALICE odv ha organizzato sabato 25 marzo 2023 l’EndoMarch a Roma, una marcia pacifica per far conoscere questa malattia e lottare insieme per i diritti delle donne che ne soffrono.

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