venerdì, 29 Marzo 2024

La violenza è negazione dell’aborto: l’arbitrio mutilato delle donne

Violenza non è solo una moglie picchiata dal marito; la brutalità ha tante sfaccettature: una forma di violenza socialmente accettata come essere contrari all'aborto è forse anche peggio di una condannabile all'unanimità come un maltrattamento fisico.

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Eccolo qui, il 25 novembre, giornata in cui tutti gli anni, da ogni profilo social, da ogni messaggio pubblicitario, da ogni trasmissione televisiva fanno capolino schiere di scarpette rosse. Sporche, ammaccate o tirate a lucido per l’occasione, come le parole, piene di buonismo e retorica, spese in questo giorno a fiumi, che ci pervadono per lasciarci poche ore dopo.

Per carità, in questo momento storico si discute molto più che in passato della violenza sulle donne. Si parla, però, di una violenza che nella percezione comune risiede solo nell’immagine della moglie o della fidanzata picchiata dal marito o dal fidanzato geloso di turno. La violenza, invece, ha tante sfaccettature ed è impossibile da incasellare, ma assuefatti, non ce ne rendiamo neanche conto. Pochi giorni fa, per esempio, siamo stati spettatori, diretti o indiretti, di una violenza epocale per un Paese che si definisce civile. Per quanto ormai obsoleto nel mondo velocissimo del web, il discorso di Alfonso Signorini della scorsa settimana durante la diretta del GF Vip, ha lasciato una eco profonda; basti pensare alla potenza delle parole scelte: “NOI siamo contrari all’aborto“. NOI. Noi, come se l’aborto o la privazione di esso fosse un argomento su cui poter fare tifo da spalto.

Dentro quel “noi” c’è un mondo sottointeso e forse, a voler essere magnanimi, anche inconscio, frutto di una società profondamente misogina; c’è un “noi” che rappresenta quelli contrari alla libertà di una donna di autodeterminarsi, di essere padrona del proprio corpo. Un noi che esercita una violenza infinita nei confronti dell’arbitrio femminile, a cui non è concesso scegliere, contro cui si punta il dito per accusare e giudicare.

Se proviamo ad ampliare lo sguardo sull’argomento, possiamo accorgerci che persino nella civilissima Europa ci sono Paesi in cui l’aborto è diventato legale cinque minuti fa, come San Marino o Gibilterra o addirittura luoghi in cui è ancora vietato, come Andorra e Liechtenstein. Anche in Italia, dove da oltre 40 anni esiste la legge 194 che dovrebbe garantire alle donne la possibilità di interrompere volontariamente la gravidanza, spesso è difficilissimo vedere tutelato questo diritto. Ci sono ospedali in cui il 100% dei medici sono obiettori e ci sono regioni in cui di fatto è impossibile ottenere questa prestazione dal SSN. Nonostante questo, nessuno, al netto degli attivisti, si preoccupa davvero di tutelare e garantire questo diritto, un diritto non certo cadutoci dal cielo, ma frutto di lotte e fatiche.

La violenza ha, come dicevamo, molti aspetti, da quelli più manifesti a quelli più invisibili, che si ammantano di sacralità e rispetto dei più alti valori umani. Così, celati dalla maschera di cittadini virtuosi, i finti perbenisti puntano il dito per negare diritti conquistati 40 anni fa, esercitando violenza. L’obiettivo è evidente: impedire che le donne trovino il senso della propria vita in se stesse, e non nell’essere al servizio o in funzione dell’altro, nel rifiuto di conformarsi a modelli che contrastano coi loro desideri, a essere, come sono sempre state, un mezzo per un fine, nella sessualità come nella procreazione. L’obiettivo è creare sensi di colpa in una donna che non sente, per millemila ragioni, di voler portare in grembo un’altra vita e quindi potrebbe non voler perseguire il compito che le è stato assegnato come destino naturale o obbligo procreativo: essere madre. Madre sempre e comunque, anche quando è solo moglie, figlia, sorella, compagna di vita; snaturata se non fa figli o se li uccide allo stato embrionale. Viene così creato dalla società quel senso di colpa ridondante, che richiama forte quel “se l’è cercata, detto alle donne vittime di violenza fisica che però quel giorno indossavano una minigonna.

Va da se quindi, che se si osserva la questione da quest’angolazione, l’aborto diventa un problema. Perché l’aborto è un diritto squisitamente femminile, che va perseguito, conquistato e difeso in una società che a livello mondiale si basa su una mentalità patriarcale dalla notte dei tempi, una società abituata alla violenza, che non ne viene scalfita ma che la pratica come difesa. Per questo è possibile, nel 2021, dire in prima serata che l’aborto non ci piace. È possibile perché, in fondo, di questo diritto non importa a nessuno, perché riguarda le donne, e spesso neanche a molte di loro importa. E per capire la radice del problema, bisogna inquadrarne il fulcro. L’oggetto della discussione non è il feto da seppellire, ma la libertà della donna di disporre del suo corpo e, al contrario, la violenza che si esercita sulle donne quando questo diritto non viene garantito.

Una forma di violenza socialmente accettata come essere contrari all’aborto è forse anche peggio di una condannabile all’unanimità come un maltrattamento fisico. Questa violenza si esercita, magari anche in buona fede, non solo nel senso di colpa o inadeguatezza instillato nella donna, ma anche nel giustificare alcuni aborti piuttosto che altri. Non esistono aborti legittimi e altri illegittimi. Se l’aborto è un diritto, lo è a prescindere dalla natura del rapporto che è alla base di quel concepimento. E questo diritto bisogna difenderlo; ciò non significa attaccare il Signorini della situazione. Significa lottare per sradicare questa concezione anacronistica dalla nostra civiltà. Significa rendersi conto che quel “noi“, è un noi pieno di violenza, in cui una grossa fetta della nostra società si sente ancora riconosciuta. Perché mutilare una donna della propria libertà di scelta fa male come picchiarla. O forse di più. Perché non essere libere di autodeterminarsi è un dolore che non passa e si riflette su tutte le donne come un effetto domino nello stesso modo e con la stessa potenza, annientando, di fatto, tutte.
Se gli uomini potessero restare incinti, l’aborto diventerebbe un sacramento”.
Florynce Kennedy

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