venerdì, 29 Marzo 2024

Sgozzato perché gay. In Iran come in Italia muore il diritto di amare

Mentre in Iran un ragazzo omosessuale viene decapitato dalla sua stessa famiglia, in Italia il Ddl Zan a difesa dei diritti civili giace in Parlamento aspettando di essere discusso

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Alireza Fazeli-Monfared, un ragazzo iraniano di 20 anni, è stato decapitato dalla sua famiglia perché era omosessuale. Per il fratellastro e i cugini l’esonero dal servizio militare per “depravazioni sessuali” ha gettato su di loro l’onta del disonore. Trovato il foglio con cui il ragazzo era stato esonerato, la famiglia è venuta a conoscenza del segreto di Alireza, secondo quanto hanno raccontato IranWire e Bbc Persia.  

Non si sa se Alireza si sia accorto che la famiglia fosse a conoscenza del suo orientamento sessuale; secondo la BBC, il ragazzo ha trascorso gli ultimi giorni della sua breve vita nel terrore della famiglia, almeno stando ai messaggi vocali che l’emittente dice di avere. Terrore che lo ha portato a voler scappare da quello che avrebbe dovuto essere il suo porto sicuro, per salpare verso la Turchia, dal fidanzato. Ma la sua nave non è mai partita. Il suo ultimo viaggio lo ha fatto a bordo della macchina del fratellastro, il 4 maggio, quando il sangue del suo sangue lo ha portato con una scusa dai cugini. Insieme lo hanno ammazzato come un agnello sacrificale, con una specie di cerimonia catartica da delitto d’onore, decapitandolo.

Alireza aveva paura. E a confermarlo è stato il suo migliore amico Aghil Abyat, che a IranWire ha dichiarato: “Martedì sera Alireza ha avuto una conversazione telefonica con la madre per l’ultima volta. A quel punto il fratellastro, con il pretesto che suo padre voleva vederlo, lo ha fatto salire in macchina e portato fuori città. Non ci sono state più sue notizie fino a mercoledì scorso, quando il fratellastro di Alireza ha chiamato la madre e le ha detto di averlo finito”.  Il cadavere di Alireza è stato scaricato sotto un albero poco fuori città, come fosse un rifiuto di cui disfarsi.   

È solo l’ultimo di millemila episodi di barbarie ai danni della comunità Lgbtq+ in Iran, dove l’omosessualità è punita con la morte. E, quando non ci pensa lo Stato, garantisce la famiglia.  

Orribile. Ma non abbastanza da farci riflettere; non abbastanza, perché questo episodio non ci fa soffermare sul problema: sembra solo una storia terribile, così lontana dalla nostra dimensione civile. E invece in ogni momento, anche in questo magari, nella civilissima Italia un omosessuale o una disabile potrebbe essere attaccato, sottoposto a discriminazioni e potrebbe non vedere riconosciuti i propri diritti, esattamente come è accaduto a Alireza. 

È precisamente questo il motivo per il quale ogni giorno che passa il Ddl Zan ha un’urgenza sempre maggiore di essere approvato. Il Ddl è stato più volte considerato un bavaglio liberticida in questi lunghi mesi di gestazione, ma nulla è meno liberticida del tutelare e salvaguardare i diritti degli individui. Di tutti gli individui. E ciò che non fa di noi un Paese civile e che ci equipara di fatto all’Iran, è che su una questione come questa, di tutela di diritti, restiamo impalati, fermi in un’altra epoca. E a quanto pare, a poco servono le iniziative a sostegno del Ddl, a partire da quelle derivanti dagli esponenti del mondo dello spettacolo, per finire all’ultima, in ordine cronologico, che consente di avere uno sconto al botteghino a Milano se ci si scrive sulla mano “DDL ZAN”. Peccato che i fatti della politica si discostino dalle campagne di sensibilizzazione: da novembre scorso si continua a discutere anche all’interno del Pd stesso, sulla legittimità del disegno di legge, che ad oggi ancora non passa. A dimostrare quanto tanto civili poi non siamo, anzi. Siamo anacronistici, esattamente come la morte di Alireza. 

Questo ragazzo di 20 anni non c’è più e il suo sogno di speranza è stato sgozzato brutalmente, come i suoi diritti. È vero, per quanto faccia male, è solo una delle tante storie finite in tragedia che colpiscono la comunità Lgbtq+. Solo una sì, ma non bisogna mai stancarsi di raccontare, di portare alla luce, di urlare a pieni polmoni la propria indignazione: è un urlo che serve ad aiutare tanti altri Alireza senza volto che, un giorno speriamo non troppo lontano, potranno avere la libertà, la dignità, la vita che a lui invece sono state portate via senza un briciolo di umanità.

 

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