Ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sulla presunta mancata azione dell’esercito francese durante il genocidio dei Tutsi del 1994, in Ruanda, la Procura di Parigi. Secondo alcune fonti d’oltralpe (France Presse) la decisione finale è rimessa interamente ai giudici, mentre i cinque generali francesi facenti parte dell’operazione Turquoise, accusati di corresponsabilità nell’attuazione del genocidio, non risultano più indagati.
Questa decisione lascerebbe propendere per una volontà a non procedere da parte dei magistrati francesi, anche se non sembrano essere di questo avviso le diverse associazioni e i superstiti, soprattutto dopo la pubblicazione del dossier Duclert, finestra sul ruolo avuto della Francia in quei mesi di massacro.
A distanza di 26 anni, dunque, giustizia non è ancora stata fatta per le 800mila vittime ruandesi, definite, durante gli appelli all’odio lanciati per radio dalla fazione estremista degli Hutu, “scarafaggi” da eliminare. Furono brutalmente uccise a colpi di machete, asce chiodate, coltelli e armi da fuoco, forse anch’esse “vendute” ai ribelli dagli eserciti occidentali. Impossibile non ricordare anche l’attentato aereo, casus belli da cui ebbe origine il massacro, durante il quale il Presidente del Ruanda Habyarimana perse la vita.
A distanza di anni, infine, anche l’ONU porse le proprie scuse per non essere di fatto intervenuta. Queste le amare parole del 7 aprile 2004 dell’allora segretario generale, Kofi Annan: “La comunità internazionale ha abbandonato il Ruanda alla sua sorte e questo ci lascerà per sempre i più amari rimpianti e la più profonda tristezza. Se avesse reagito velocemente e con determinazione, avrebbe potuto impedire la maggior parte dei massacri. Ma la volontà politica era assente. Anche le truppe lo erano”.