sabato, 27 Aprile 2024

Arezzo Wave 2023, l’energia coivolgente dei Rumba de Bodas: qui l’intervista

La formazione jazz-afrobeat di ritorno da un lungo tour internazionale approda ad Arezzo Wave 2023. Qui l'intervista dove si raccontano, dal passato busker ai palchi in giro per tutto il mondo

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i Rumba de Bodas sono una formazione jazz-afrobeat di Bologna attiva da 15 anni che conta presenze al Montreaux Jazz Festival, al Boomtown Fair, al Fusion Festival, all’Edinburgh Jazz Festival e perfino alla Seoul Music Week. A marzo 2023 è uscito il nuovo album YEN KO, per l’etichetta indipendente italo-tedesca Rubik Media, in concomitanza con l’inizio del loro tour mondiale che, dopo essere partito dall’Estragon di Bologna, è arrivato fino al Womad a Santiago del Cile passando per Spagna, Germania, Inghilterra e Messico.

Il disco prosegue il percorso della band alla scoperta delle macchie sonore che colorano il sempre vivido fronte musicale sperimentale e indipendente, che continua a combattere le dinamiche del music business più mainstream. Il titolo dell’album (che significa “let’s go” in lingua Twi ghanese) rappresenta l’inizio di un viaggio musicale in giro per il mondo, in cui la band esplora nuovi territori che legano world music, reggae, latin, afrobeat e sonorità contemporanee, sfruttando diverse codificazioni linguistiche, abbracciando italiano, inglese, francese e portoghese, in una combinazione di elementi che crea un’atmosfera global e multiculturale. Le tematiche affrontate si intrecciano in un discorso ampio e colorato che giunge a una conclusione: la musica è mezzo attraverso cui si può raccontare la vita, cantandola, ballandola e celebrandola.

Nel 2008 vi incontrate a Bologna perché siete compagni di scuola. Sarà anche un luogo comune, ma, in questo caso, proprio la scuola sembra essere l’ambiente che ha creato dei legami indissolubili nel tempo. Vi ricordate un po’ com’è’ cominciato tutto?
Non eravamo tutti nella stessa scuola, ma grazie ad amicizie comuni ci siamo incontrati. La voglia di dare un senso preciso alle nostre vite pero’ era tanta ed è stata quella a fare da collante. Prima avevamo un altro nome “Blue chair”, poi, fra la seconda e la terza superiore, abbiamo deciso il nome attuale e, quando è successo, si è creato il legame.

La vostra gavetta è stata lunga e ho l’impressione che vi siate divertiti molto durante i vari tour che avete organizzato in giro per il mondo. Quando siete fra di voi menzionate ancora un concerto in particolare che vi ha segnati a livello artistico e umano?
Sicuramente uno dei primi concerti all’Arterìa, la nostra prima volta. Eravamo piccoli e non potevamo sapere cosa volesse dire stare in un locale e far ballare la gente. Lì abbiamo pensato che fosse davvero possibile fare ciò che facciamo. Poi, in 15 anni di numerosi viaggi abbiamo suonato ovunque: dal Montreux Jazz Festival al concerto in India e persino in Russia…

Com’è’ il pubblico russo? Gelido?
No no, (ride, ndr). Anzi, è stato bellissimo. Ci piacciono le situazioni con una nomea difficile. Se troviamo l’energia giusta, è sempre fantastico suonare.

Just Married, Carnival Fou, Superpower. Questa escalation di album racconta un cambiamento graduale, ma decisivo nel vostro far musica. Ci spiegate perché questo eclettismo di generi?
La musica è fatta di generi e, a dire il vero, a noi piacciono tutti. Perché limitarsi? Finora non abbiamo trovato un solo genere che ci possa descrivere appieno. Va detto, però, che questo rappresenta  un’arma a doppio taglio. A volte, chi organizza eventi preferirebbe inserirci in un genere ben definito, ma la cosa bella è che al tempo stesso riusciamo a piacere a un sacco di gente e a suonare in tanti posti diversi, perché la scaletta del concerto può accontentare tutti i gusti. E’ strano, sicuramente, ma ci rappresenta bene.

Abbiamo ben chiaro il fatto che voi volete farci ballare. Il nome della band suggerisce proprio questo: che la vostra missione è quella di energizzare, svegliare, animare in tutto e per tutto chi vi ascolta. C’è’, secondo voi, un brano che più vi rappresenta?
Difficile dirlo. Forse ci sono due brani dell’ultimo album: “Krabu” e “Todo mundo”. In questo momento siamo molto legati a questi pezzi; ci rappresentano di più. Ad ogni modo, abbiamo fatto  4 album e tutti molto diversi fra loro, quindi scegliere diventa veramente arduo. 

Gli artisti solitamente sono persone difficili, emotive, con equilibri instabili e mutevoli. Voi siete molto uniti e, in quanto gruppo, vi percepite come un unicum. Ma fra di voi fate mai “rumba”?
Direi che fa parte del percorso. Hai detto una cosa giustissima e molto bella: siamo una cosa sola.  Fortunatamente, il nostro progetto ha inglobato gente che non ha bisogno di dirlo, cioè’ sappiamo tutti che viene prima la banda del singolo. Questa è la grande motivazione al perché riusciamo a stare così bene insieme: noi mettiamo in ultimo piano il nostro nome individuale, perché c’è un bene supremo. Questo non significa che non ci mettiamo spesso in discussione. In realtà, ci  auto critichiamo molto, poi ci confrontiamo, ma sempre nell’ottica di aiutarci l’un l’altro.

Il vostro nome è legato a quello di un’attrice italiana ormai famosissima: Matilda De Angelis. Leggendo qualche intervista che avete rilasciato, si intuisce che avete assecondato e compreso bene la sua scelta di lasciare il microfono per la telecamera. Questo suo abbandono cosa ha comportato fra di voi e nella vostra musica?
É stato un periodo di transizione. Dopo Matilda se ne sono andati altri due componenti molto importanti. Ci siamo interrogati un po’ su come poter fronteggiare questo cambiamento, ma poi la fortuna ci ha assistiti perché abbiamo inserito altri membri che hanno creduto alla grande al progetto. Rachel ha preso il posto di Matilda più che degnamente: a livello vocale lei spacca. Dopo un’iniziale sofferenza, abbiamo incassato, poi, comunque, reagito bene. Abbiamo tracciato un percorso nuovo, diverso, ed è quello che è oggi. Ne siamo fieri.

Avete un passato da “buskers”, cioè da artisti di strada. Questo significa che, almeno agli inizi, per raggiungere l’obiettivo vi siete dovuti piegare a un tipo di vita faticoso e scomodo. Sicuramente avete vissuto anche momenti di sconforto e di dubbio. Ecco: avete mai pensato di abbandonare tutto e tornare a casa?
Il musicista ogni tanto sperimenta una crisi, perché il suo percorso è sempre ostico. Quello che stiamo vivendo adesso  è un momento storico in cui fare musica live è davvero molto difficile. L’artista singolo che pensa solo a se stesso vede più egoisticamente, sicuramente si gestisce in una maniera diversa. Quando sei in un gruppo, pero’, è un’altra faccenda. La strada, sicuramente, ci ha dato una grande mano.  10 anni fa avevamo meno date, ce ne andavamo in giro in un furgone con degli strumenti da strada, nelle piazze, vivendo un contatto diretto con la gente. É un’esperienza diversa, ma bellissima perché ciò che vivi per strada è forte, non lo ritrovi sul palco e viceversa. La voglia di fare quel che facciamo, comunque, è la stessa con la differenza che ora siamo consapevoli che la nostra storia rappresenta un background che è parte di noi.

Ultima domanda: I Rumba de bodas hanno qualche scaramanzia o qualche motto?
No, abbiamo un abbraccio prima di ogni performance. Ad alta voce diciamo “3, 6, 7”, perché’ siamo in 7 e questa grande famiglia noi la omaggiamo così.

 

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