giovedì, 28 Marzo 2024

L’ultimatum a Saddam, vent’anni fa l’invasione americana dell’Iraq che cambiò per sempre il Medio Oriente

La vita quotidiana e la geopolitica nel Medio Oriente sarebbero cambiate per sempre, sotto i colpi di una guerra che, tanto quanto non ha avuto risalto mediato, è stata fondamentale nel disegnare il mondo di oggi. Le truppe occidentali arriveranno nella capitale irachena il 9 aprile: fu l'ultimo capitolo del regno di Saddam Hussein, alla guida del Paese dal 1979.

Da non perdere

My fellow citizens, events in Iraq have now reached the final days of decision“. Così iniziò, nel marzo del 2003, il discorso alla nazione George Walker Bush, 43º presidente degli Stati Uniti d’America, concedendo a Saddam Hussein un ultimatum di 48 ore per lasciare il potere in Iraq. Qualche mese prima il dittatore venne accusato davanti alle Nazioni Unite di possedere armi di distruzione di massa; per sapere se sia vero, possiamo solo appellarci alla storia, e questa dice che delle armi non è mai stata trovata traccia. Nella notte tra il 19 ed il 20 marzo, cominciarono i bombardamenti su Baghdad. La vita quotidiana e la geopolitica nel Medio Oriente sarebbero cambiate per sempre, sotto i colpi di una guerra che, tanto quanto non ha avuto risalto mediato, è stata fondamentale nel disegnare il mondo di oggi. Le truppe occidentali arriveranno nella capitale irachena il 9 aprile: fu l’ultimo capitolo del regno di Hussein, alla guida del Paese dal 1979.

Sullo sfondo dell’11 settembre

Il 29 gennaio 2002 il presidente Bush tenne un discorso davanti ai membri del Congresso definendo alcuni Paesi “Stati canaglia” e cardini dell'”Asse del Male“: l’Iran islamico, la Corea del Nord, e l’Iraq di Saddam Hussein. Questi furono accusati di perseguire la ricerca di armi chimiche, biologiche e nucleari oltre a detenere campi di addestramento per terroristi. Il senatore democratico Joe Biden, oggi presidente, appoggiò la causa del Governo. L’obiettivo di tutta la durata dell’amministrazione Bush divenne il disarmo di questi Paesi; per ottenerlo, però, gli USA avevano bisogno di consenso e sostegno militare da parte dell’Occidente. Tutto questo, lo ricorderanno le generazioni non più giovanissime, si inseriva sullo sfondo della guerra al terrorismo generata dai fatti dell’11 settembre 2001, quando aerei dirottati da membri di Al-Qaeda si abbatterono contro le Torri del World Trade Center di New York.

Venne scoperchiato l’otre dell’odio

Dall’invasione americana l’Iraq uscì a pezzi. Saddam Hussein rappresentava, per così dire, il coperchio dell’otre che conteneva i venti delle divisioni religiose e militari del Paese. Con la deposizione del dittatore, la coalizione internazionale scoperchiò l’otre e da esso uscirono fuori tutte le fazioni che Hussein, pur con metodi inaccettabili, aveva contribuito a mantenere nell’ordine. Il problema maggiore divenne, per le autorità irachene come per l’Occidente, lo sradicamento di Al-Qaeda dal Medio Oriente; i gruppi terroristici, tuttavia, potevano ora contare sull’appoggio delle tribù locali e del sostegno del mondo islamico. I principali alleati degli Stati Uniti furono i ribelli sunniti, stanziati nel nord di Baghdad, sulla sponda del Tigri e dell’Eufrate. Negli ambienti più estremisti l’odio restava ben radicato. Nonostante figure eminenti del mondo occidentale sostenessero che l’Iraq era finalmente un Paese democratico, i governi dovettero fare i conti con i gruppi islamici più estremisti. “La mia visita a Bassora è stata di breve durata, ma non occorre molto tempo per capire che è una città senza legge” scriveva il 16 dicembre 2007 Marie Colvin, una giornalista statunitense.

Ed ecco, appunto, Mosul. Nel giugno del 2014 le milizie dell’Isis presero possesso della città irachena, antica capitale dell’impero assiro. L’esercito dell’Iraq, coadiuvato dalle forze di coalizione internazionale, liberarono Mosul nel 2017, al termine di una delle più importanti campagne militari del mondo contemporaneo. Nonostante siano stati fatti grossi passi in avanti verso una vera democrazia, Baghdad e l’intero Paese iracheno rimangono fortemente instabili. La popolazione non ha tratto grossi benefici dal nuovo quadro politico e la povertà non è stata abbattuta. Le tensioni sono aumentate quando gli Stati Uniti, il 3 gennaio 2020, hanno eliminato il generale iraniano Qasem Soleimani, capo di un’unità delle Guardie della Rivoluzione islamica durante un attacco all’aeroporto di Baghdad.

Cosa resta

Quando Saddam Hussein venne catturato dai soldati americani, aveva appresso una valigetta piena di documenti, simbolo del potere ancora saldo nelle sue mani. Quei documenti, però, confermarono che i capi della resistenza irachena stavano mentendo al dittatore. Il Paese stava letteralmente crollando e la disfatta del partito Ba’th e delle forze panarabiche in Iraq era soltanto questione di tempo. Al termine del processo, alla porta della cella del dittatore condannato a morte per impiccagione, bussarono poco prima delle sei del mattino, il 30 dicembre del 2006. Saddam è stato scortato al patibolo, nelle stesse stanze in cui agivano i suoi torturatori e carnefici. Quando furono in prossimità del cappio fecero per infilargli un cappuccio sulla testa: “Non ce n’è bisogno” avrebbe detto il condannato.

Della guerra in Iraq e della deposizione, condanna e uccisione di Saddam Hussein rimane ben poco sullo scenario mediatico, ma tanto è visibile nel mondo di oggi. Le generazioni post-invasione probabilmente non sono in grado di comprendere la portata di quegli eventi. Come le generazioni post-11 settembre non saranno mai in grado di capire quale influenza ha avuto quel giorno maledetto sul mondo che conosciamo oggi. Dell’invasione americana resta la vergogna della risoluzione contro armi chimiche mai trovate, di crimini di guerra mai puniti, ma anche una nutrita speranza che le cose nel Medio Oriente possano cambiare.

Ultime notizie