venerdì, 26 Aprile 2024

2021 anno bianco per l’Italia: quello delle morti sul lavoro

Ad ogni tragedia, si rinnova, come una cantilena, il cordoglio delle istituzioni che sembrano incapaci di arginare un problema quasi endemico, e mentre famiglie piangono, di lavoro si continua a morire.

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Un anno segnato dal Covid-19, dalle varianti, i vaccini, le restrizioni e i cambiamenti, ma soprattutto un altro anno di diritti mancati per coloro che compiono il proprio dovere.
Nel 2021 sono oltre mille le persone che hanno perso la vita sul posto di lavoro, proprio quest’anno, che dopo i lock-down di quello precedente, doveva risvegliare il mondo produttivo e rilanciare il tema dell’occupazione. Secondo i dati INAIL, sono 1.017 gli uomini e le donne che, tra gennaio e ottobre, sono morti lavorando, una media di oltre 3 al giorno. Si muore in cantiere, nei campi, in fabbrica, per le strade, sulle gru. Si muore giovani, giovanissimi e anziani. A novembre hanno superato quota 1100. Il Quotidiano Italiano si è sempre impegnato a riportare e ricordare queste tragedie, ma soprattutto le sue vittime, pagine e pagine dedicate ad una cronaca che di anno in anno non cambia mai, peggiora e basta.

Il simbolo del tema di questo 2021 è stata Luana D’Orazio, morta schiacciata da un macchinario il 3 maggio mentre lavorava in un’azienda tessile di Montemurlo, in provincia di Prato. Luana viveva a Pistoia, aveva 22 anni ed era mamma di una bambina. Quel 3 maggio, verso le 10 del mattino, la sua vita si è fermata mentre utilizzava un’orditoio, è rimasta agganciata da un rullo, che ha finito per inghiottirla. Dopo la tragedia, è stato aperto un fascicolo, secondo la Procura infatti, l’orditoio sarebbe stato manomesso per velocizzare la produzione.

Anche prima di allora ci sono stati morti e feriti sul lavoro, ma la storia di Luana ha riacceso i riflettori su qualcosa che in un certo senso, dall’opinione pubblica, era ormai percepito come inevitabile e genetico nel nostro Paese, eccezion fatta per i soliti report annuali. La conta delle vittime è andata avanti inesorabile, tra operai precipitati dalle impalcature o agricoltori rimasti schiacciati da un trattore. Sette mesi dopo, quando si pensava che il peggio fosse ormai parte del passato nonostante i centinaia di morti “ordinari” che ordinari non sono mai stati, il 18 dicembre alle 10 del mattino, in via Genova all’altezza del civico 107 di Torino, è risuonato nell’aria solo un forte boato.

Una gru è precipitata su un palazzo di sette piani, causando la morte di 3 operai. Roberto Peretto, 52enne originario di Cassano d’Adda (Milano), Marco Pozzetti, 54 anni di Carugate (Milano), e Filippo Falotico, 20enne di Coazze (Torino). I primi due sono morti sul colpo, il terzo poche ore dopo in ospedale, al Cto di Torino. Sono rimasti feriti anche un altro gruista, Mirzad Svrka, 39enne bosniaco e residente a Chivasso, e due passanti, un uomo di 33 anni e una donna di 61. Una vera e propria tragedia, causata da negligenza, travestita da un cedimento strutturale alla base della gru.

E ad ogni incidente, ad ogni tragedia, si rinnova, come una cantilena, il cordoglio delle istituzioni che sembrano incapaci di arginare un problema quasi endemico, e mentre famiglie piangono, di lavoro si continua a morire. L’augurio è che il 2022 renda l’articolo 4 della Costituzione Italiana un diritto davvero e non una semplice frase. “La Costituzione Italiana riconosce a tutti i cittadini il diritto di lavorare e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”; uno Stato democratico deve permettere ad ognuno di svolgere la propria attività lavorativa tutelandone la salute e assicurandone lo svolgimento nella completa sicurezza, solo così sarà un diritto realmente garantito.

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