sabato, 20 Aprile 2024

Guerra al giornalismo, fare informazione al tempo della crisi in Ucraina: il “Rapporto 2023”

Gli strumenti per mettere a tacere l'informazione scomoda sono sempre gli stessi, a Mosca come nei Paesi pro-Ucraina: corruzione, coercizione, hackeraggio, detenzione carceraria, ma anche eliminazione fisica. La lotta alla disinformazione è ormai diventata un simbolo della crisi nel Donbass.

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Fare informazione non è mai stato un lavoro semplice. Certamente, nell’era di Internet e della connessione informatica globale le notizie hanno diffusione immediata e riescono a raggiungere un numero elevatissimo di dispositivi in pochi minuti. Fare informazione, però, non è soltanto arrivare prima, ma arrivare alla verità. E quando il giornalismo arriva alla verità, spesso e volentieri incontra resistenze difficili da evitare. Nell’anno in cui la crisi in Ucraina ha subito una escalation senza precedenti, secondo il Consiglio d’Europa almeno 12 giornalisti e operatori media sono stati uccisi mentre svolgevano il proprio lavoro e 21 sono rimasti gravemente feriti. Ecco quali sono i rischi ed i pericoli (e gli ostacoli esterni come interni) dei reporter che stanno documentando la guerra in Europa, secondo il Rapporto Annuale 2023 della Piattaforma per la promozione e protezione del giornalismo.

Non soltanto in terra straniera, ma anche in casa propria. Gli operatori media devono fare i conti con i tentativi di oppressione del nemico, ma anche con le minacce che arrivano dalle autorità del proprio Paese. Sarebbero 11mila i giornalisti accreditati in Ucraina per documentare l’invasione russa. Nonostante severi protocolli di sicurezza, questi devono svolgere la propria funzione in mezzo a bombardamenti improvvisi, tagli di corrente, attacchi mirati alle infrastrutture e catture sul campo da parte dei soldati. Pochissimi reporter, tuttavia, sono stati ammessi in prima linea. Il giornalista francese Patrick Chauvel ha consigliato: “Chi va al fronte dovrebbe evitare il cartello con scritto stampa“.

In Russia, l’invasione è andata di pari passo con una brutale repressione del giornalismo indipendente” c’è scritto nel Rapporto Annuale 2023, secondo cui, inoltre, il Cremlino avrebbe imposto la censura totale sulla copertura della guerra (definita operazione speciale). Mosca ha varato anche una legge che condanna a 15 anni di prigione chi diffonde notizie false sulla guerra o strategicamente avverse alla causa russa. Gli ultimi media rimasti indipendenti, sempre secondo il Rapporto, avrebbero cessato l’attività o lasciato il Paese, come nel caso di Dmitry Muratov, leader di Novaya Gazeta. Nei primi mesi della guerra quasi 7000 siti sarebbero stati bloccati da Mosca.

Silenziare la stampa: non solo Mosca

Gli strumenti per mettere a tacere l’informazione scomoda sono sempre gli stessi: corruzione, coercizione, hackeraggio, detenzione carceraria, ma anche eliminazione fisica. La lotta alla disinformazione è ormai diventata un simbolo della crisi in Ucraina; Mosca, come Kiev, Washington, Pechino e tutte le parti in qualche modo interessate dal conflitto, si accusano reciprocamente di manipolazione e strumentalizzazione dei media. Il controllo poliziesco delle autorità contro gli operatori giornalistici è emblematico di una libertà di stampa ridottissima. Rispetto al 2021, il numero dei giornalisti reclusi sarebbe aumentato del 60%. Non succede soltanto in Russia, ma anche nei Paesi pro-Ucraina. In Lettonia, infatti, TV Rain sarebbe stata bloccata per presunto favoreggiamento della causa di Vladimir Putin. In seguito all’invasione del suolo ucraino da parte delle truppe del Cremlino, l’Ue ha sospeso le trasmissioni di Russia Today e Sputnik all’interno di tutti Paesi membri dell’Unione “fino a quando cesseranno di condurre disinformazione e azioni di manipolazione“.

Diversi Stati europei hanno utilizzato la magistratura per mettere a tacere, punire o spaventare i giornalisti” si legge nel Rapporto. Sarebbero 39 i casi di processo penale per presunti reati. La custodia cautelare è uno dei metodi più utilizzati per intimidire gli operatori. Alla fine del 2022 sarebbero 95 i giornalisti reclusi in carcere in alcuni Paesi europei: Georgia, Azerbaigian, Polonia, Turchia, Regno Unito e Russia. Una repressione contro la stampa significativa si è avuto in Bielorussia, che negli ultimi 12 mesi contava da sola 32 giornalisti detenuti.

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