mercoledì, 1 Maggio 2024

“James is Back”, James Senese è tornato: intervista all’artista rivoluzionario

James Senese è tornato, un nuovo disco e finalmente in tour. Lo abbiamo raggiunto per scambiare qualche parola sulla sua musica ed il suo essere rivoluzionario

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Quando mi avvicino a James, lo confesso, sono un po’ agitata. Riguardare, pochi giorni prima dell’incontro, il film “Il caffè mi rende nervoso”, dove Lello Arena è nei panni di Michele, giornalista impacciato in un’intervista a Senese che interpreta Senese, beh, non aiuta. Arriviamo sul posto con il mio collaboratore Renato Leproux e attendiamo. Alla mia quinta sigaretta, eccolo che appare, Jamese Senese. Non parlo, neanche respiro, ma mi godo il momento, e anche il sound check.

Con lui sul palco riconosco Fredy Malfi il batterista e Rino Calabritto il bassista. E’ James che dirige le prove, parla con i fonici, e amorevolmente li “cazzeia”. Ultimo brano, è il mio momento, mi avvicino al palco e mi rivolgo a lui “Salve James, sono Talìa, Quotidiano Italiano, possiamo farle un’intervista?” e lui dal palco “Un’intervista? E jamm’. Sul palco però che là fa fridd”. Ha ragione, a Rutino faceva freddo, le luci del palco ci avrebbero tenuti caldi, ma a maggior ragione mi sono sentita proprio quel Michele del film sopracitato (chi non lo ha visto lo andasse a guardare e capirà).

James Senese, artista e musicista intellettuale e rivoluzionario…
“Più rivoluzionario che intellettuale, lo preferisco di più”.

Mi tronca subito e io continuo così: hai attraversato molte epoche, generi e mode, però sei rimasto quel James Senese, senza scendere a compromessi.
“Sono rimasto quello che non si fa prendere dal sistema, conosco bene come è fatto, e se tu ti arrendi e ti fai coinvolgere è finita. Fortunatamente con la mia musica continuo ad avere ottimi riscontri e a spopolare, rimanendo lì dove sto.

L’ultimo albumJames is Backche stai portando in tour è un meltin’pot di molti generi, ben amalgamati tra loro. C’è lo swing, il jazz, il soul, il blues, c’è il mediterraneo e Napoli. Come è nato il progetto?
“Tutti i miei progetti nascono sempre da un sentimento molto forte che nutro verso la mia gente, il mio pubblico. E’ anche un progetto questo, come altri, che nasce come lotta verso un sistema che fa di tutto per tenerci all’oscuro da ogni cosa. Poveri noi… Spero ci sia un risveglio da parte di tutti.

E attraverso la musica ci si può risvegliare…
“Ma la musica è quella che ti fa parlare e ti fa stare bene, nutre l’anima e poi ti fa capire quello che altrimenti non capiresti. La musica è tutto”.

C’è chi ha riconosciuto in te “il pianto nel canto e la rabbia nel sassofono”
“Ci sono tutt’e due le cose. Ma la rabbia non serve a niente contro il sistema, serve la dolcezza. Serve amore. Con il mio sax riesco ad essere al novanta per cento amorevole. Rimane poi l’altra parte di me, in piccola percentuale, estrema, che si ribella ed ogni tanto esce fuori per dare dei segnali a questi vigliacchi che ci tengono all’oscuro di tutto”.

Restiamo ancora sull’album “James is back”, sono nove tracce e tra queste c’è un brano “L’America” in cui si legge molta nostalgia. Quando dico America, cosa ti viene in mente, a cosa pensi?
“La mia è una nostalgia molto semplice. In America sarei stato in mezzo alla mia razza, sarebbe stato tutto più semplice e immediato nel dare il mio contributo musicale. Invece qua, ci sono ancora e detto legge, però ci ho messo troppo, tanto tempo per riuscire a venire fuori per quello che oramai faccio da 45 anni, ma lo facevo anche prima. Ci hanno messo tanto tempo a riconoscere chi fossi io e cosa facessi. Questo è.

A questo punto, riallacciandomi al discorso America nomino la Trap che nasce nei sobborghi di Atlanta per capire Senese cosa pensa della nuova musica in circolazione. (Mi tronca subito, non ne vuole sapere. Per James Senese la musica ha dei pilastri fondamentali, a cui tutti poi si sono ispirati e continuano ad ispirarsi)
“La cultura resta quella del passato, i grandi musicisti non sono stati superati. Ascoltiamo ancora la musica di ieri, non c’è nessuno oggi che possa superare quel battito di cuore che ci davano negli anni ‘40 e ‘50 e ’60 i musicisti americani. La razza nera, di quegli anni è quella che ha sofferto di più e ha saputo fare di quella sofferenza una musica che rimane eterna. Tutto quello che tu senti oggi, compreso forse me, passerà…Capito?! Quella rimane”.

Un esempio e un tuo modello di quegli anni rimane Coltrane…
“Coltrane, Miles Davis e tanti altri. E’ il groove che ci accomuna. Forse è quella marcia in più che ho, di essere per metà americano e per metà napoletano. Quando suonano loro è come se suonassi io, viene tutto da qui (e si batte un colpo sul petto), dal cuore. Gli americani quando sentono la mia musica mi dicono che sono americano, non sei napoletano. A Napoli invece mi dicono di essere napoletano, ho centrato il cerchio insomma”.

Prima hai citato la parola sofferenza, quanta sofferenza esprimi nella tua musica?
“Tanta. Io guardo molto quello che c’è fuori. Anche il malessere degli altri, poi arriva a me. Nella mia musica cerco di far sfumare questa sofferenza, per cui a volte ci gioco anche su per donare un respiro di sollievo a tutte quelle anime sofferte”.

James, hai un pensiero per quello che sta accadendo in Iran e alle proteste che si stanno verificando in questi giorni?
“Le violenze purtroppo non si fermano qua. Ci sono e ci saranno sempre le uccisioni, di donne e di bambini, è ‘nu casin’. E’ chiaro, la protesta io la farei, ma ti dico anche che non serve a niente perché sono sempre loro, i potenti che appartengono al sistema, a decidere per noi. Le proteste a cui stiamo assistendo oggi, ci saranno per un altro po’ poi sparirà tutto. Saranno finite”.

L’Umanità quindi non ha possibilità di salvarsi
“Sono in pochi a comandare il mondo, e loro decidono per tutti noi. Ci danno ogni tanto la caramella, o la “ciucculata” come dico io, e ci azzittiscono. Noi abbiamo una sfortuna, quella di dimenticare, e lo facciamo troppo spesso”.

 

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