giovedì, 25 Aprile 2024

Alfredino Rampi, 40 anni dopo. Il circo del dolore non ha fine

Il 13 giugno 2021 saranno trascorsi 40 anni da quando, nel 1981, abbiamo detto addio ad Alfredino Rampi. Un dramma che segnerà per sempre la storia del giornalismo e la vita degli italiani.

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Mercoledì 10 giugno 1981. Una data che segna sul calendario delle vite di chi c’era un “prima” e un “dopo”. Chi eravamo noi prima della vicenda di Alfredino? Cosa è cambiato dopo la sua morte? Quanto quel tragico incidente ha segnato le vite delle future generazioni?

Cambia il modo di fare comunicazione

Se parlassimo di mera ‘condivisione’, nel pieno della rivoluzione tecnologica del decennio in cui viviamo, ci verrebbe subito in mente il mondo social. Un clic, un post, un like, e ciò che vogliamo portare agli occhi del mondo virtuale è lì dove vogliamo che arrivi.

Ma se avessimo pensato a una tale rapidità di scambio delle informazioni 40 anni fa, ci sarebbe apparso subito impossibile. Eppure, sono trascorsi 40 anni dall’evento degli eventi, quarant’anni da qualcosa che è riuscito a unire l’Italia intera. Da Nord a Sud, ricchi e poveri, socialisti e democratici: uniti dietro gli schermi per molti ancora in bianco e nero.

Un terrificante Reality Show‘, anche questo è stata la tragedia di Alfredino Rampi, 6 anni. Il 10 giugno 1981 comincia un circo mediatico intorno al caso del piccolo Alfredo, caduto in un pozzo lungo 60 metri e dal quale uscirà solo 31 giorni dopo, l’11 luglio 1981, ormai privo di vita. Sono trascorsi 40 anni da quel giugno del 1981. E Franca Rampi, madre del piccolo Alfredino, ce la ricordiamo tutti. Una mamma che ha fatto da sfondo e protagonista inconsapevole di uno dei momenti più tragici nella storia dell’Italia unita. Spettatrice e attrice involontaria di un “reality show del dolore” che la mise in prima linea, per quasi tre giorni, mostrando alla Nazione intera il dolore composto e soffocato di una madre.

I fatti

Vermicino, Roma. È un mercoledì di giugno quando Ferdinando Rampi passeggia tra le campagne in compagnia di suo figlio. Il bimbo chiede di tornare a casa da solo, sono solo pochi metri a separarlo dal porto sicuro. E invece, Alfredino, a casa non tornerà mai più. Mezz’ora e scatta l’allarme. Alle 21 la famiglia informa i Carabinieri. Alle 24 un agente sente alcuni versi provenire da un pozzo artesiano. Alfredino è in quel pozzo. Da quel momento l’Italia resterà col fiato sospeso per 60, interminabili ore. Pierluigi Pini, giornalista del Tg2, venuto a conoscenza per caso del fatto, si reca sul posto. Quattro ore dopo comincia il macabro spettacolo.

Giovedì 12 giugno, ore 13, l’ora dei tg. La vicenda di Alfredino entra prepotente nelle case degli italiani. L’audio del piccolo che chiama “mamma”, il grido soffocato di dolore, entra nelle case e nelle coscienze di tutti. Nessuno sapeva che non le avrebbe più abbandonate. La notizia faceva eco, nel mondo dell’informazione era un fatto che funzionava. Getterà le basi per il teatro del dolore a cui oggi ci siamo amaramente abituati.

L’Italia, unita nel dramma

Dopo i vari tentativi di soccorso rivelatisi inutili se non dannosi, tutti gli italiani sono a casa col fiato sospeso. Molti vogliono essere lì, nei pressi di quel pozzo. Con l’illusione che quel circo si sarebbe trasformato a breve in un urlo di gioia.

Venerdì 12 giugno accade un fatto straordinario, in una delle edizioni del Tg del mattino, in una diretta viene raccolto lo sfogo della mamma di Alfredino. Un momento simbolico che racchiude in sé quanto ciò che le telecamere volevano riprendere non fossero i crudi fatti, ma il dolore che ne proveniva: un giornalista cinge la vita della donna e la ruota a favore di telecamera mentre è in lacrime. La sofferenza è utile allo share.

La morte di Alfredino

Celebre il tentativo di salvataggio da parte di Angelo Licheri, un uomo di piccola statura che riuscì a resistere ben 45 minuti sottoterra a testa in giù, l’ultimo che comunicò con il piccolo ormai stremato. Una discesa che lo segnerà a vita, per le cicatrici riportate sulla pelle, e per quelle dell’anima. Impossibile dimenticare il Presidente Sandro Pertini chino su quella fessura di terra nel tentativo di parlare al piccolo. Fu tutto inutile.

Sessanta ore dopo la tragica caduta, non viene più rilevato il battito di quel piccolo cuore impaurito. Alfredino Rampi viene dichiarato morto. Poche ore dopo il campo è deserto: lo spettacolo è finito. Da quel momento, da quel 13 giugno dell’81 molte cose cambiarono. Cambiò il clima di disincanto delle mamme dell’epoca, cambiò l’atteggiamento di fiducia nei confronti del mondo esterno. Alfredino passeggiava con suo padre quel giorno. Alfredino aveva chiesto di tornare a casa da solo, perché negli anni ‘80 ancora si poteva fare. Si poteva giocare per strada, si poteva uscire e andare in giro senza aver paura di non fare più ritorno a casa.

La morte di Alfredino segnò per sempre le famiglie italiane. Diede loro un forte scossone morale e su più ampia scala, pose le basi a un nuovo approccio di gestione delle emergenze. Nonostante nessuno venne posto sotto processo, piovvero critiche nei confronti di chi avrebbe dovuto condurre le operazioni di salvataggio. I ritardi, causati dal clima di confusione di quei giorni, avrebbero potuto decretare un finale differente.

Nella tragedia di Vermicino la difficoltà di coordinamento dei soccorsi fu palese e decisiva. Il Presidente Sandro Pertini, pochi anni dopo, informò Franca Rampi che era stato istituito un nuovo ministero: la morte di Alfredino gettò le basi di ciò che è oggi la Protezione Civile.

Porteremo per sempre i segni che quella vicenda ha lasciato nella nostra storia. I segni di un modo nuovo di fare informazione: ce lo hanno dimostrato negli anni, Annamaria Franzoni, Rosa e Olindo, Sara Scazzi, Yara Gambirasio, Meredith Kercher. Questi e tanti altri nomi impressi nella nostra memoria, protagonisti di tragedie, e loro malgrado, dello show del macabro che vuole sapere i dettagli. Il 13 giugno del 1981 moriva Alfredino Rampi, e insieme a lui il senso del pudore e del rispetto per il dolore altrui. Ancora non lo sapevamo, ma venivano gettate nuove basi al modo di fare giornalismo e alle fondamenta dell’informazione, con una sola parola d’ordine: condividere, a tutti i costi.

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