martedì, 19 Marzo 2024

La sparatoria in Texas che non lascia indifferente l’Nba: duro discorso di Kerr, il coach di Golden State

La sparatoria in una scuola di Uvalde in Texas non ha lasciato senza parole lo sport americano. In particolare l'Nba, l'associazione nazionale di pallacanestro, sempre sensibile ai problemi sociali negli Stati Uniti, ha alzato la voce nei confronti dell'ennesima strage che ai coinvolto innocenti.

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La strage avvenuta nella notte italiana in Texas ha già fatto il giro del mondo ed è giusto che chiunque rifletta sull’ennesima folle sparatoria avvenuta negli Stati Uniti. A farne le spese sono stati 19 bambini innocenti e due insegnanti a due giorni dalla fine dell’anno scolastico. La sparatoria perpetrata dal Salvador Ramos è avvenuta in Uvalde, capoluogo della Contea che porta lo stesso nome.

Intanto a poco meno di 800 chilometri, nella più famosa Dallas, si stava per giocare gara 4 della finale Ovest di Conference fra i Mavericks, padroni di casa, e i Golden State Warriors di San Francisco. Il match, nonostante il solito e ormai “inutile” minuto di silenzio, si è disputato e, per la cronaca, ha vinto Dallas tenendosi così in vita in questi play off, evitando il 4-0 e allungando di fatto la serie. Serie che potrà chiudersi in California con i Warriors che si giocheranno il secondo match point fra le mure amiche del Chase Center.

Ma ritorniamo a noi. Abbiamo parlato di “tenersi in vita” in ambito sportivo, anche se forse questo termine negli Stati Uniti può sicuramente essere usato per qualcosa che va oltre lo sport. Può essere usato riferendoci ad un problema sociale, e culturale, che il paese “delle opportunità” non riesce a debellare. A ragione si parla di tenersi in vita nel caso di alcuni malati o anziani, per vecchiaia o patologie, nel caso di coloro che vivono in povertà, esclusi dalla vita sociale,

Ancor più triste è quando a “tenersi in vita” devono essere bambini di 10 anni dentro una scuola. Sì, quella scuola che deve dare un’istruzione e soprattutto trasmettere quei valori che dovrebbero accompagnare i bambini nella loro infanzia, i ragazzini nel corso della loro adolescenza. Quei valori che possono e devono formare la coscienza, dando a questi ragazzi un futuro. Un futuro che possa aprire loro le porte ad una Vita con la V maiuscola.

Ecco, dopo l’ennesima strage, non si può stare zitti, non si riesce più a sopportare; è inutile mostrare di essere dispiaciuti e dedicare un minuto di silenzio alle vittime. Quei colpi assordanti sparati nella Robb Elementary School fanno rumore, troppo rumore se confrontati con il silenzioso rispetto tributato a chi perde la vita.

Il silenzio ora sa tanto di ipocrisia. Ne sa qualche cosa l’allenatore Nba, Steve Kerr, ex campione Nba coi Chicago Bulls di Micheal Jordan e poi coi San Antonio Spurs nel 2003, e in seguito tre volte campione Nba come capo allenatore dei Golden State. Come per Jordan, anche il padre di Steve Kerr fu ucciso in seguito ad una sparatoria. Malcom Hooper Kerr, papà di Steve, era un professore universitario specializzato in Medio-Oriente e, in particolare, nel mondo arabo. Cittadino americano nato a Beirut, in Libano; città in cui è nato anche suo figlio. Nel 1984, perde la vita a causa di diversi colpi sparati da due uomini. Anche se Malcom svolgeva il proprio ruolo all’università, la relazione fra ambito scolastico e armi non è sfuggita a Steven Kerr che per un attimo ha rivisto nei suoi occhi, nella sua mente la storia ripetersi.

Negli anni, la sensibilità del coach di Golden State su fatti di questo genere è aumentata sempre di più e forse il vaso è traboccato dopo la tragica notizia proveniente da Uvalde. Prima della partita, coach Kerr si presenta decisamente provato alla conferenza stampa in cui non ha voluto accennare per nulla al basket ma ha voluto esprimere tutta la sua rabbia per quello che è successo. “Non è successo niente con la nostra squadra nelle ultime sei ore… da quando sappiamo che 14 bambini e un insegnante (alla fine il bilancio sale a 19 bambini e 2 insegnanti, ndr) sono stati uccisi a 400 miglia da qui” – ribadisce coach Kerr alzando i toni e mostrando tutta la propria insofferenza – “Negli ultimi 10 giorni, abbiamo avuto anziani neri uccisi in un supermercato a Buffalo, fedeli asiatici uccisi nel sud della California, ora abbiamo bambini uccisi a scuola”.

L’allenatore dei Warriors continua rivolgendosi agli interi Stati Uniti: “Quando faremo qualcosa? Sono stanco. Sono così stanco da alzarmi da qui e porgere le condoglianze alle famiglie devastate che sono là fuori”. E a proposito di silenzio, Steve Kerr si esprime così: “Sono stanco dei momenti di silenzio. Basta”. Parole forti quelle del coach dei californiani ma che suggerisce come è il momento di muoversi, di fare rumore.

Non si ferma qui l’ex campione Nba e punta il dito contro il Congresso esortandolo ad accelerare sulla norma che impone controlli alle persone sui loro precedenti penali nel caso volessero acquistare un arma. Questa norma venne approvata dalla Camera ma dopo due anni ancora è ferma lì. “Ci sono 50 senatori”, continua coach Kerr, “in questo momento che si rifiutano di votare sulla regola del controllo dei precedenti che la Camera ha approvato… C’è un motivo per cui non lo voteranno: mantenere il potere”.

Steve si rivolge poi direttamente al senatore Mitch McConnel: “Chiedo a te, Mitch McConnel, a tutti voi senatori che rifiutate di fare qualsiasi cosa per la violenza, le sparatorie nelle scuole, nei supermercati, vi chiedo: mettete il vostro desiderio di potere prima della vita dei nostri bambini e dei nostri anziani? Perché è così che sembra. Sono stufo. Ne ho avuto abbastanza”. La mente torna certamente al suo passato. Il discorso continua e il coach lancia un monito per tutti: “Faremo la partita stasera, ma voglio che ogni persona qui, ogni persona che ascolta questo, pensi a suo figlio o nipote, madre o padre, sorella, fratello… Non possiamo diventare insensibili. Non possiamo sederci a leggere le notizie e andare”.

“Concediamoci un minuto di silenzio. Vai Dubs. Andiamo, Mavs andiamo. Questo è quello che faremo” – conclude Steve dicendo – “Andiamo a fare una partita di basket. Cinquanta senatori a Washington ci terranno in ostaggio”. Parole che partono dall’anima, parole difficili da commentare se non da accettare quelle di Kerr. Gli Stati Uniti stanno passando un momento socio-antropologico molto difficile ma la Nba, l’associazione nazionale di pallacanestro americana, non si è mai tirata indietro. Lo ha fatto nel caso George Floyd e lo fa ora dopo la strage provocata dalla folle sparatoria avvenuta nella scuola elementare di Uvalde; tramite le parole di uno dei personaggi e allenatori più importanti e più vincenti: Coach Steve Kerr.

Anche altri grandi protagonisti del mondo del basket a stelle strisce hanno espresso la propria vicinanza dopo l’accaduto. Lebron James, in un tweet, ha usato frasi simili a quelle pronunciate da Kerr in precedenza: “When is enough, enough man”, in poche parole, quando troppo è troppo. Un altro giocatore Nba, che sta disputando le finali di Conference ma ad est con i Boston Celtics, Jayson Tatum, ha descritto la situazione con un’espressione spesso usata in questi casi negli Usa: “This is devastating”, ovvero “questo è devastante”.

Lo sport americano, con la Nba su tutti, ha iniziato a lanciare messaggi, anche forti. È lo sport che può aiutare e che deve dare per primo un esempio al mondo e ai milioni di ragazzi che lo seguono. Non sempre è stato così ma da questo punto di vista gli Usa in questo ambito sembrano pronti a dare battaglia alle armi. L’unica speranza è che lo facciano anche quelli che governano il paese e che hanno un ruolo decisionale indubbiamente più influente.

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