sabato, 27 Luglio 2024

Strage di Erba, la difesa vuole dimostrare l’errore giudiziario

Sono trascorsi più di 17 anni dalla strage di Erba del 2006, ora la difesa degli ergastolani Rosa Bazzi e Olindo Romano vuole dimostrare il più grande errore giudiziario della storia.

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Sono passati più di 17 anni da quando Rosa Bazzi e Olindo Romano sono stati condannati all’ergastolo per la strage di Erba del 2006, una sentenza che ha retto tutti e tre i gradi di giudizio. La difesa dei due, ora, ha una missione: dimostrare il più grande errore giudiziario della storia.

Rosa e Olindo sono riuscita a richiedere la revisione del processo, oggi saranno presenti in aula nella seconda sezione della corte d’appello di Brescia,l ‘udienza si preannuncia lunga e probabilmente non definitiva. Gli avvocati sono Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Patrizia Morello e Luisa Bordeaux proveranno a mettere in ordine l’elenco di nuove prove che potrebbero cambiare la verità giudiziaria della strage che tuttia Italia ricorda.

L’11 dicembre 2006, nella palazzina di via Diaz a Erba (CO), sotto colpi di spranga e coltelli morirono Raffaella Castagna, il figlio Youssef di soli due anni, la nonna del bambino Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini, moglie di Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto.

A più di 17 anni dall’accaduto, la difesa tenta di ribaltare un verdetto che ha retto per ben tre gradi di giudizio mettendo in ordine nuove prove, evidenziando le criticità dell’indagine e mettendo in discussione i tre pilastri dell’accusa: le confessioni degli imputati, il ricordo dell’unico testimone oculare e la prova scientifica. L’analisi di un gruppo di avvocati esperti è arrivata a conclusioni ben precise: le confessioni sono “false”, piene di “errori” e “discrepanze”.

I racconti sulla strage da parte della coppia “risultano pieni di errori, molti elementi della scena del crimine vengono ‘sbagliati’ (tra il 50 e il 70%)”. Le versioni “non sono dettagliate, non sono sovrapponibili, non sono combacianti, non sono coerenti e non sono costanti e dunque hanno tutte le caratteristiche delle false confessioni“.

Olindo colleziona “centinaia” di ‘non lo so’, ‘non mi ricordo’, ‘mi sembra’, ‘questo adesso mi sfugge’, lo stesso vale per Rosa. “Quelle che vengono definite confessioni sono, in realtà, una serie di ‘sì’ a suggerimenti”. E “incontrovertibilmente falsa” è anche la ricostruzione sull’omicidio di Valeria Cherubini che, a dire della difesa, è stata finita nella sua mansarda.

Non convince i legali neppure il racconto di Mario Frigerio, morto nel 2014, sopravvissuto alla strage del 2006 solo per una malformazione alla carotide. All’epoca venne ricoverato in rianimazione all’ospedale Sant’Anna di Como, fu ascoltato solo dopo 86 ore dai fatti. Dal 15 al 26 dicembre del 2006 venne ascoltato otto volte, prima riferiva di un killer sconosciuto con la pelle olivastra, dal 2 gennaio 2007 invece parlava di Olindo come del suo aggressore. Un racconto poco veritiero, che venne giustificato da un’intossicazione da monossido di carbonio. Gli assassini appiccarono il fuoco nell’appartamento di Raffaella Castagna per cancellare le tracce della strage, atto che “ha determinato il decadimento di funzioni cognitive importanti, come alterazioni della memoria, della capacità di ricordare e della capacità di orientamento”.

La difesa lamenta anche “la mancanza di circa il 60% delle audio registrazioni” e insiste su un punto: le dichiarazioni dopo il 15 dicembre “sono da considerarsi non idonee in quanto esito di centinaia di domande suggestive” che “hanno attecchito facilmente nel testimone in una condizione di vulnerabilità psichica” e che ha determinato la creazione di una “falsa memoria in merito a Olindo Romano quale aggressore”.

Desta inoltre incredulità la presenza (contestata) di una sola macchia di sangue, una traccia di Valeria Cherubini, trovata sul battitacco dell’auto dell’ex netturbino visionata a poche ore dalla strage, poi nuovamente la sera del 26 dicembre. Le operazioni di ispezione, repertazione e verbalizzazione dei carabinieri avvengono con tempi e modalità ritenute non trasparenti. Le foto scattate e catalogate con approssimazione tolgono forza all’unica prova scientifica. Tre prove a cui le sentenze dedicano decine di pagine – ben 70 per le confessioni, 23 per il riconoscimento e 21 per la macchia di sangue – e rispetto alle quali la difesa prova a insinuare il dubbio per smontare una verità giudiziaria che regge da più di 17 anni.

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