mercoledì, 24 Aprile 2024

Libertà di stampa, detenzione solo nei casi gravi: “Carcere per diffamazione è incostituzionale”

Dopo l'ultimatum dello scorso anno al Parlamento, la Corte Costituzionale dichiara illegittimo l'articolo che puniva con la detenzione i giornalisti accusati di diffamazione. La norma è incostituzionale e contrasta con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

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Una sentenza storica. Dopo aver esaminato le questioni sollevate dai tribunali di Bari e Salerno in merito alla legittimità costituzionale della pena detentiva prevista per la diffamazione a mezzo stampa, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 13 della legge sulla stampa n.47 del 1948. La norma prevedeva infatti “la reclusione da uno a sei anni in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato”, oltre al pagamento di una multa.

La voce in questione contrastava con la Costituzione stessa che, all’articolo 21, non solo afferma il principio della libertà di manifestazione del pensiero, ma anche l’impossibilità di assoggettare la stampa ad autorizzazioni o censure; principi ribaditi dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Titolo I articolo 10).

Diversamente, è stato ritenuto compatibile l’articolo 595, terzo comma, del Codice Penale, il quale prevede la reclusione da sei mesi a tre anni, o una multa non inferiore a 516 euro, nel caso di offesa arrecata a mezzo di stampa, in atto pubblico o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. La norma, dunque, consente di punire con la detenzione i giornalisti solo nei casi di eccezionale gravità.

La Corte Costituzionale ha tuttavia rimarcato la necessità di un intervento per assicurare un equilibrio tra il diritto di libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione individuale. Interventi essenziali, vista la progressiva e repentina evoluzione dei mezzi di comunicazione e informazione, per i quali, tuttavia, la Corte afferma di non avere i mezzi per eseguirli.

La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane, ma la palla passa ora al Parlamento, che avrà il compito di definire una normativa di riordino. La questione era già stata sollevata lo scorso anno, il 9 giugno del 2020, quando, con l’ordinanza 132, la Corte Costituzionale aveva dato un ultimatum al Parlamento: 12 mesi di tempo per riscrivere la norma sulla diffamazione.

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