La riforma delle pensioni è legge e il governo di Elisabeth Borne è salvo. Subito dopo il voto, in tutto il paese è scoppiata la protesta. Il paese non accetta la decisione del Parlamento e la riforma che dovrebbe aumentare l’età minima per la pensione da 62 a 64 anni.
Scoppiano manifestazioni. Notte di rabbia e incendi, centinaia di fermi
Gli studenti sono pronti a scendere in piazza. I trasporti, la sanità e tutti i settori sono pronti a dare battaglia “fino al ritiro” della riforma. Alcuni hanno cominciato da subito i soliti scontri con la polizia: lancio di sassi, cariche, lacrimogeni, in fiamme i cassonetti pieni di immondizie causa sciopero. Hanno raccolto l’invito dei sindacati e delle opposizioni, “con questo voto non cambia nulla”.
A Parigi almeno 142 persone sono state fermate, 11 feriti fra poliziotti e gendarmi; oltre alla capitale, diverse manifestazioni sono avvenute a Digione, dove circa 200 persone hanno manifestato, alcune col volto coperto e incappucciate, gridando “odiamo la polizia. A Lione, circa 500 manifestanti intorno alle 20:30 si sono radunati e hanno attaccato la polizia lanciando oggetti. Due fermi a Saint-Etienne, mentre a Voiron, nell’Isère, è stata vandalizzata.
Governo salvo per nove voti
Aurore Bergè, presidente del partito Renaissance di Macron, ed Elisabeth Borne si sono presentate in aula parlamentare a difendersi da sole davanti alle dichiarazioni di voti ostili della sinistra, dell’estrema destra e dal centro di Liot. A sostenere le due rappresentanti della maggioranza non c’erano neppure i deputati di Renaissance perché hanno preferito lasciare vuoti i loro banchi. Sono stata presentate due mozioni di sfiducia: quella del partito Liot, che non ha raccolto i 287 voti necessari, e quella del partito di Le Pen, che ha raccolto solo 94 voti.
Si attende la decisione del presidente Macron per ritrovare sintonia con i francesi. Ma da Macron non si aspettano promesse, parole, aggiustamenti. Il presidente riceverà nella giornata del 22 marzo prima Elisabeth Borne poi tutti i parlamentari della maggioranza. Intanto, la sinistra ha già presentato un ricorso al Consiglio costituzionale per problemi di legittimità della legge di riforma e propone di intraprendere il percorso del cosiddetto “referendum di iniziativa condivisa”, una forma di consultazione varata nel 2015 che prevede l’iniziativa di un quinto dei parlamentari e di un decimo degli elettori.