L’ufficio, i colleghi, i rituali di svago, il prima e il dopo di un turno di lavoro. Tutto perduto per coloro che lavorano da remoto.
Il cambiamento dei ritmi dei lavoratori costretti a casa a causa della pandemia da Covid 19 è stato oggetto di una ricerca della Fondazione studi dei consulenti del lavoro effettuata su un campione significativo di occupati. I dati evidenziano un 48,3% che paga un conto ‘salato’ sul fronte psico-fisico per “l’utilizzo di sedie e scrivanie improvvisate” tra le mura domestiche.
Colpisce, poi, nell’analisi dei professionisti, la differente reazione tra uomini e donne, rispetto agli incarichi svolti da remoto: in termini relazionali e di carriera, la componente maschile pare averne patito maggiormente (il 52,4% contro il 45,7% delle donne), guadagnando, tuttavia, in produttività e concentrazione.
Non vale lo stesso per le donne, che hanno sofferto l’allungamento dei tempi di lavoro (il 57% contro il 50,5% degli uomini) e l’inadeguatezza degli spazi casalinghi (42,1% contro 37,9%), evidenziando un maggior rischio di disaffezione verso le proprie mansioni (44,3% rispetto al 37% dei colleghi).
Cambiano anche i consumi: il 71,1% degli ‘smart workers’ dichiara di aver “diminuito le spese per spostamenti, vitto e vestiario, investendo in consumi legati al tempo libero (nel 54,7% dei casi)”
In definitiva si può affermare che quasi la metà degli italiani ‘bocci’ il lavoro da casa, almeno per ora, in assenza di una regolamentazione più puntuale e stringente.