mercoledì, 24 Aprile 2024

Raiz degli Almamegretta presenta il suo esordio su carta: “Il bacio di Brianna”- VIDEO

Scrivere mi ha dato l’occasione di immergermi in questo liquido amniotico che mi nutre dalla prima infanzia, con il quale ho un rapporto di affetto tale da concedermi qualche piccola libertà, e dove sono a mio agio.

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Abbiamo raggiunto Raiz per parlare del suo esordio, questa volta non musicale ma su carta. Scherzando lo abbiamo definito “un testo un po’ più lungo di una canzone”, dove il noto cantante racconta e si racconta attraverso i luoghi ma soprattutto i personaggi de “Il bacio di Brianna”.

Un bambino apprende la grammatica del vivere sullo sfondo di una Milano periferica, barbarica e violenta. Un ragazzo dà un bacio innocente a una ragazza e gli si apre davanti l’orizzonte di una nuova età. Carico di speranza, Yusuf arriva a Napoli dal Senegal per precipitare nell’abisso del male. E poi c’è una Londra che somiglia a una ragazza da conquistare e da lasciarsi alle spalle. E poi c’è Tel Aviv, c’è il Mediterraneo, e poi c’è la vita che preme. Sempre e comunque, come un ritmo, come una preghiera. Ci sono donne, uomini, luoghi, ruvide speranze, un mondo che brucia ricchezza e memoria. Fra autobiografia e invenzione, fra realtà e rabbia, Gennaro Della Volpe, in arte Raiz, muove un quadro di storie vive, mette nella sua voce di narratore avventure che lasciano sulla pelle la magia e la passione di esistere.

Gennaro Della Volpe nasce a Napoli nel 1967. Cresce in provincia di Milano, dove si era trasferita la sua famiglia, e fa ritorno a Napoli da adolescente. Con lo pseudonimo di Raiz è la voce inconfondibile degli Almamegretta, band che raccoglie grandi consensi negli anni Novanta con album quali Sanacore (ripubblicato con grande successo nel 2020) e Lingo. Realizza diversi album da solista e collabora con artisti come Pino Daniele, Stewart Copeland, Massive Attack, Bill Laswell. Appare come attore al cinema e in serie tv.

“Per me che ho scritto prevalentemente in napoletano, questa avventura narrativa è stata anche una riappropriazione dell’italiano. Per cantare ho sempre quasi usato la lingua della città: perché la sua duttilità si sposa molto bene con la musica ritmica della band di cui ho fatto parte per molti anni; perché è evocativa, sensuale e ieratica, mediterranea, semitica nella vocalizzazione e indoeuropea nell’etimologia; perché serviva molto bene il concetto di locai e global molto in voga negli anni in cui abbiamo realizzato i nostri dischi più popolari.

L’italiano non è la lingua in cui mi parlavano mia madre e mia nonna, ma è la lingua in cui mi hanno parlato i libri che mi hanno formato e i docenti di cui sono stato allievo. Scrivere mi ha dato l’occasione di immergermi in questo liquido amniotico che mi nutre dalla prima infanzia, con il quale ho un rapporto di affetto tale da concedermi qualche piccola libertà, e dove sono a mio agio. Da quando ho messo la parola fine all’ulti-mo di questi racconti, altre storie sono venute a trovarmi. Ormai ho imparato il trucco. Lasciandole libere, si scriveranno da sole e quando arriverà il momento, saranno loro a chiedermi di essere messe nero su bianco. Non vedo l’ora.”

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