martedì, 19 Marzo 2024

Aborto e legge 194, la bioeticista Caterina Botti: “Via obiezione di coscienza. Politiche nataliste sulla pelle delle donne” – VIDEO

La violenza contro le donne è un pozzo pesto senza fondo. Quel "buco nero" è tappezzato di libertà monche come il diritto all'aborto, sancito in Italia dalla legge 194 del 1978, ma minato dall'obiezione di coscienza. Ne abbiamo discusso con Caterina Botti, docente di Filosofia morale all'Università La Sapienza di Roma.

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Lo scorso 25 novembre, nella Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne, abbiamo sentito le voci ancora incrinate dal trauma di chi è stato violentato fisicamente, sessualmente, psicologicamente, verbalmente, ucciso da ominicchi, direbbe Sciascia, che usano come scudo le loro frustrazioni e l’ambiente sterile in cui sono cresciuti. Ma la violenza sui corpi e le anime delle donne è un pozzo pesto senza alcun fondo, in cui i soprusi e le persecuzioni inferte dall’essere maschile sono solo una delle tante infiltrazioni che logorano il tessuto sociale, politico e culturale. Quel “buco nero” è tappezzato di diritti negati, libertà monche architettate come Boeing robusti, ma senza ali. Basti pensare alla condizione di precarietà in cui vivono ancora le donne che scelgono volontariamente di ricorrere all’aborto, pratica medica legittima e lecita in Italia dal 1978, grazie all’entrata in vigore della legge 194. Se da un lato, però, la norma ha riscritto la storia della libertà riproduttiva nel nostro Paese, introducendo di fatto il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione, dall’altro ha sempre presentato voragini che non hanno contribuito all’autodeterminazione della donna.

Così, 44 anni fa ci siamo sentite per la prima volta padrone del nostro corpo, del nostro utero, della nostra fertilità, del nostro futuro di persone capaci di decidere quando e se sia il momento di diventare madri, o magari scegliere di non esserlo mai, senza sentirci sbagliate, incomplete, assassine. Eppure lo Stato ha continuato a tenerci il fiato sul collo, mostrandosi oscurantista ieri, come oggi, non pubblicando i dati sulla 194 e occultando le reali condizioni di salute in cui versa questa legge. Le criticità della norma sono troppe e sul territorio italiano continuiamo ad avere ospedali in cui non vi sono medici disposti a praticare l’aborto, in cui l’obiezione di coscienza sancita riflette l’ipocrisia di una politica secolare, di una classe medica apatica che preferisce non avere problemi, né dover fare il sangue amaro con aziende sanitarie che non offrono mezzi e professionisti per effettuare in sicurezza l’Ivg.

Persino la Repubblica di San Marino è riuscita a fare meglio di noi, depenalizzando quest’anno per la prima volta l’aborto, ma rendendo obbligatoria l’attivazione di contratti a convenzione con professionisti non obiettori. Un barlume di speranza che si affievolisce se, però, ci ricordiamo per un attimo del colpo di grazia inflitto all’universo femminile il 24 giugno scorso dalla Corte Suprema degli Stati Uniti con l’abolizione della sentenza Roe vs Wade, che nel 1973 rendeva legale il diritto all’aborto in America. E ancora, ci cederanno le già fragili ginocchia pensando al fatto che in Ungheria dal 15 settembre è diventato obbligatorio per i medici fornire alla gestante in procinto di abortire la prova della vita del feto, mediante il traumatico ascolto del battito cardiaco prima dell’Ivg, facendo sadicamente leva su insani sensi di colpa.

Qualcuno penserà che tutto questo sia parte di un processo involutivo, quel corso e ricorso che è solo un infausto ritorno al passato, invece no, si tratta di una vera e propria paralisi della storia, uno stato vegetativo dell’umanità che fa raggelare il sangue letto anche alla luce del disegno di legge firmato ultimamente dal senatore Maurizio Gasparri in cui si propone di “riconoscere la capacità giuridica del feto“. Una bozza che preoccupa e paventa direzioni d’estremo conservatorismo anche in Italia. Pericoli di cui abbiamo discusso con Caterina Botti, professoressa di Filosofia morale presso l’Università La Sapienza di Roma, dove insegna Bioetica, Filosofie femministe e studi di genere, in occasione del convegno tenutosi al Campidoglio per celebrare i trent’anni di Bioetica Rivista Interdisciplinare. Nella stessa circostanza abbiamo intervistato Maurizio Mori, presidente della Consulta di Bioetica e del periodico,  Mario Riccio, anestesista che aiutò a morire Welby, seguendo da vicino tra l’altro i casi Englaro, Dj Fabo e Ridolfi fino al suicidio assistito di Carboni, e Beppino Englaro, padre di Eluana e attivista per il fine vita.

Chi cerca di scoraggiare al ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza si pone secondo lei l’obiettivo di abolire la legge 194?
A parole mi sembra che chi cerca di scoraggiare all’aborto dica di non voler minacciare la 194, però in questo modo la vuole svuotare completamente, il che è possibile dato il testo della legge medesima. Chi vuole scoraggiarla forse si pone l’obiettivo anche di superarla, questo non lo so, ma direi sicuramente che cerca di usarla contro stessa, sfruttando quei punti di debolezza presenti nella 194. D’altronde fu una norma di compromesso e quindi già ampiamente svuotata attraverso la questione dell’obiezione di coscienza. Secondo me tra quest’ultima e altre tematiche che il testo legislativo rende possibile, diventa immaginabile quasi annullarla. Se poi ci sarà un tentativo di abrogarla vorrà dire che si lavora anche sul simbolico e sarebbe un gesto molto potente. Credo, purtroppo, si stia lavorando anche in quella direzione e quindi bisogna stare molto attente e attenti.

Cosa andrebbe migliorato della legge 194?
Andrebbe eliminato l’articolo che riguarda l’obiezione di coscienza, in quanto scritto in un momento storico specifico, quando c’erano dei medici, ginecologi e ostetrici che avevano già scelto la professione prima che venisse approvata la legge e, quindi, veniva consentito loro di continuare a lavorare pur avendo un’opinione diversa sulla possibilità di un aborto libero e gratuito per tutte le donne. Oggi questa è legge dello Stato e chi intraprende tale professione medica dovrebbe sapere è che tra i suoi doveri permettere l’interruzione volontaria di gravidanza alle donne e quindi quell’articolo lì ha fatto il suo tempo. Dopodiché, dal mio punto di vista, anche se questo ci renderebbe la cosa abbastanza complicata, si potrebbe ripensare anche la questione per cui attualmente è necessario ancora un avvallo medico dopo 7 giorni per la donna che nel primo trimestre denuncia una sua difficoltà a portare avanti la gravidanza.

Pensa che in Italia potrà mai essere legalizzata la maternità surrogata?
Lo auspico in qualche modo, ma il clima mi sembra decisamente poco favorevole, anzi, mi pare che si stiano affilando i coltelli già per annullare dei diritti conquistati, figuriamoci per dei diritti da conquistare assolutamente sacrosanti come la libertà di fare famiglia. Questi ultimi mi sembrano al momento abbastanza difficili da pensare come oggetto di un progresso immediato. Certo, però, non necessariamente la classe politica, ma la popolazione va avanti. I giovani hanno una percezione della sessualità e della famiglia completamente diversa e che include le coppie dello stesso sesso, quindi anche la possibilità di dare loro figli attraverso la maternità surrogata.

Chi cavalca l’onda antiabortista sostiene sia un modo per risolvere il problema del calo demografico. Che ne pensa?
Le politiche nataliste sono sempre state fatte fondamentalmente sulla pelle delle donne, invitate a fare i figli quando c’erano le guerre o c’era poco da mangiare. Penso che la libertà di riprodursi sia una libertà fondamentale e quindi questi allarmi, che poi generano politiche oppressive, sono discutibili. Dopodiché c’è un’emergenza natalità in un mondo che è arrivato a festeggiare 8 miliardi di persone e ciò mi sembra veramente risibile, perché siamo decisamente troppi. Oltre al fatto che dietro quest’idea della natalità c’è anche la visione della nascita di cittadini italiani puri, quando invece se siamo pochi potremmo accogliere tanta gente che ha bisogno di vivere in un Paese in cui non si soffre la fame, non c’è la guerra e dove poter fare liberamente dei figli.

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