giovedì, 18 Aprile 2024

Fine vita, Mario Riccio l’anestesista di Welby: “Medici italiani non si schierano come non fecero sull’aborto” – VIDEO

Il medico aiutò a morire Welby, seguendo da vicino i casi Englaro, Dj Fabo e Ridolfi fino al suicidio assistito di Federico Carboni. Mario Riccio, già responsabile del reparto di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Casalmaggiore, è membro della Consulta di Bioetica e consigliere dell'Associazione Luca Coscioni.

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«Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Morire mi fa orrore, ma purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio… è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti. Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c’è pietà». Sono passati 16 anni da quel settembre 2006, quando Piergiorgio Welby, giornalista, artista e attivista del Partito Radicale affetto fin da giovane da distrofia muscolare in forma progressiva, scrisse una lettera aperta all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedere che gli venisse finalmente riconosciuto il diritto di morire.

Piergiorgio scelse di porre fine alla sua esistenza mediante eutanasia passiva, per riprendersi ciò che la malattia gli aveva tolto: la sua libertà. Nel dicembre di quello stesso anno, al suo capezzale, c’era Mario Riccio, l’anestesista che, dopo aver combattuto al suo fianco una lotta politica, sociale e giudiziaria interminabile, gli somministrò i sedativi per lenire profondamente i suoi ultimi dolori, spegnendo e staccando il ventilatore meccanico. Il medico assecondò la volontà del suo paziente, fu il Caronte che traghettò e aiutò al trapasso il corpo e l’anima di Piergiorgio, sotto lo sguardo commosso di sua moglie Mina, sua sorella Carla, Marco Pannella, Marco Cappato e Rita Bernardini, i suoi compagni di lotta dell’Associazione Luca Coscioni, di cui Welby era co-presidente. Riccio, ex responsabile del reparto di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale Oglio Po di Casalmaggiore, ora in pensione, già all’epoca membro della Consulta di Bioetica Onlus, fu processato a causa di quell’eutanasia e accusato di omicidio del consenziente, prosciolto poi dal Giudice dell’udienza preliminare di Roma perché il fatto non costituiva reato secondo l’articolo 51 del codice penale sull’adempimento di un dovere.

Da quel momento sono tantissime le storie di fine vita che il dottore si è ritrovato a seguire da vicino, dalla vicenda di Eluana Englaro a quella di Fabiano Antoniani, per tutti Dj Fabo, Fabio Ridolfi, fino al suicidio medicalmente assistito di Federico Carboni, il primo caso in Italia, morto il 16 giugno 2022 dopo essersi autosomministrato un farmaco letale sotto la sua supervisione. Abbiamo incontrato Mario Riccio, anche consigliere dell’Associazione Luca Coscioni, in occasione del convegno tenutosi il 18 novembre al Campidoglio per il trentennale di Bioetica Rivista Interdisciplinare. L’importante summit ci ha permesso di intervistare Maurizio Mori, presidente della Consulta di Bioetica e direttore del periodico, Beppino Englaro, papà di Eluana e attivista, e Caterina Botti, professoressa di Filosofia morale all’università La Sapienza di Roma.

Dottore cosa è cambiato in Italia dal caso Welby ad oggi?
«Sedici anni fa la vicenda Welby, che poi andò a intersecarsi con quella Englaro, ha cambiato tutto in Italia nei confronti del fine vita. Gli italiani hanno scoperto con grave ritardo cosa vuol dire morire e come morire oggi sia di fatto mutato in maniera importante rispetto al passato».

Quest’anno in Belgio è stato permesso di morire a Shanti De Corte, 23enne depressa e traumatizzata dall’attentato Isis a cui è scampata nel 2016. È giusto dare la possibilità a pazienti psichiatrici di accedere all’eutanasia?
«È un argomento estremamente delicato. Voglio solo ricordare che la Corte Costituzionale italiana nel caso Dj Fabo ha sentenziato che l’aiuto al suicidio può essere dato a chi ha una sofferenza fisica, ma anche psichica. Ecco, a me basterebbe partire da lì per fare un ragionamento. Poi i casi dei pazienti psichiatrici sono al momento abbastanza limitati, però si tratta di un argomento che dobbiamo necessariamente affrontare».

Il 15 febbraio 2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum sull’eutanasia promosso dall’Associazione Luca Coscioni. Vista l’aria che tira in Parlamento cosa dobbiamo aspettarci?
«Quello è stato un momento sicuramente negativo. Non mi hanno convinto le motivazioni che ha dato non tanto la sentenza, io non sono un giurista e non mi permetto di giudicarla, ma quanto il presidente della Corte Costituzionale nel corso di una conferenza stampa; poi già il fatto che il presidente abbia pensato di fare una conferenza stampa è abbastanza originale. Non c’è stato alcun caso fuori dalla legge. Ma al di là della polemica politica dell’approvazione o meno del referendum, rimane in questo momento in mano nostra la possibilità di accedere al suicidio assistito. C’è un altro caso ora molto importante che immaginiamo sarà giudicato ed è l’aiuto che Marco Cappato ha dato a una donna che non era legata a forme di sostegno vitale (Elena, affetta da un cancro polmonare irreversibile con metastasi e morta il 2 agosto 2022 in Svizzera, mediante suicidio medicalmente assistito, ndr). Vedremo come andrà giuridicamente e speriamo bene, ci appelliamo alla clemenza delle Corti».

Tra i vaticanisti dichiaratamente contrari all’eutanasia e al suicidio assistito e i medici che preferiscono non esporsi sul tema chi sceglierebbe?
«La classe medica purtroppo devo registrare che non si è mai schierata su questi temi. Ai tempi non lo fece per l’aborto, oggi non l’ha fatto sul fine vita. La classe medica italiana sta perdendo progressivamente l’occasione di intervenire su questi argomenti, di diventare protagonista come dovrebbe fare. È una categoria che accetta passivamente il cambio dei costumi, accetta passivamente le sentenze, pare che non voglia intervenire, facendo sembrare quasi che un tema pregnante per il medico non voglia essere interpretato».

Mario Riccio, Beppino Englaro, Caterina Botti, Adriana Pannitteri, Lucia Craxì, Karina Elmir, Gianluca Gennarelli, Fabrizio Rufo, Sebastiano Serafini, Palma Sgreccia al convegno di Bioetica Rivista Interdisciplinare

 

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