“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, così recita l’articolo 32 della Costituzione italiana che prevede il diritto alla salute quale pilastro fondamentale del sistema Paese; pilastro per il quale da 12 anni i cittadini dell’Alto Jonio cosentino stanno lottando dopo la chiusura dell’Ospedale G. Chidichimo di Trebisacce in provincia di Cosenza.
Sanità in Calabria
Da quasi 14 anni la sanità in Calabria è allo sfacelo; organici carenti, cure negate, liste d’attesa infinite che spesso vanno anche oltre un anno per un semplice controllo. È dal 2008 che i ministeri della Salute e dell’Economia hanno messo sotto la lente d’ingrandimento la gestione della sanità calabrese e in questi sono stati stanziati fondi per oltre 1miliardo di euro per il restyling delle strutture spesso fatiscenti e malandate e per risanare i debiti accumulati. Dal 2010 ad oggi si sono susseguiti 4 presidenti di Regione e molti commissari ad acta e sub commissari alla sanità, ma i soldi stanziati non sono mai stati investiti nell’ambito sanitario e i calabresi non hanno mai visto miglioramenti. E proprio per via del piano di rientro sanitario che nel 2010 la Regione, oltre a operare tagli nei reparti che hanno comportato la diminuzione di quasi il 15% del personale e a bloccare il turnover, ha chiuso 18 ospedali su 42; tra questi anche il nosocomio di Trebisacce, lasciando i cittadini dell’area nord della Calabria senza una struttura sanitaria. L’attuale governatore della regione Calabria, Roberto Occhiuto, nei vari interventi sull’annoso problema della sanità ha affermato che in questi anni di commissariamento non sono state fatte nuove assunzioni di personale sanitario, in vasti territori mancano le prestazioni essenziali e che gli interventi strutturali necessitano di molto tempo, ma i calabresi non possono più aspettare. Proprio per dar un po’ di ossigeno a un sistema al tracollo e aiutare i medici costretti a turni massacranti, che quasi 500 sanitari cubani arriveranno in soccorso alla Calabria; il presidente Occhiuto ha fatto ricorso alla Società di stato cubana così come avvento durante il periodo di emergenza sanitaria dovuta alla pandemia quando, in base all‘articolo 6 bis del decreto legge 105 del 2021, i medici cubani sono arrivati in aiuto alla Lombardia e al Piemonte.
Il caso dell’Ospedale di Trebisacce
Il Chidichimo di Trebisacce, punto di riferimento per l’Alto Jonio cosentino, nel 2010 ha subito un declassamento: da Ospedale è diventato “casa della salute“, vedendo così sparire i reparti di chirurgia, medicina, cardiologia e utic, ginecologia e ostetricia, dialisi; più di 100 posti letto soppressi e trasformati all’improvviso in lungodegenza. Stessa sorte per il Pronto Soccorso trasformato in “Punto di Primo Intervento rafforzato“, dove il paziente dovrebbe ricevere le prime cure prima di essere trasferito presso l’Ospedale di Corigliano che dal primo paese sulla costa jonica della Calabria dista 69 chilometri, a più di un’ora di distanza. Quello di Trebisacce è diventato un vero e proprio caso nella sanità calabrese, infatti dopo il decreto di chiusura, tre provvedimenti del Consiglio di Stato, uno giudiziario arrivato nel 2015 con la sentenza n° 2151, e due amministrativi nel 2018 e nel 2020, ne hanno sancito la riapertura. “Il piano di riordino della rete ospedaliera non ha tenuto del bacino di utenza dell’Ospedale “Chidichimo, costituito non solo dalla fascia costiera ma anche dalle aree montane dell’Alto Jonio, nonché la conformazione oro-geografica e le condizioni di viabilità e i tempi necessari per arrivare agli ospedali vicini che rendono impossibile un efficace trattamento di una emergenza sanitaria partendo da Trebisacce o dai Comuni del suo distretto”, è quanto si legge nella sentenza del 2015; entro 60 giorni da quel pronunciamento l’Ospedale sarebbe dovuto essere di nuovo attivo, ma così non è stato e a 12 anni dalla chiusura il Chidichimo continua ad essere una Casa della salute.
Per capire il disastro nella gestione della sanità calabrese bisogna prendere in mano una cartina geografica; chiudere un ospedale significa costringere i cittadini a percorrere strade dissestate per chilometri prima di raggiungere il presidio più vicino. Sul litorale jonico calabrese, infatti, non ci sono autostrade e l’unica via di collegamento è la statale 106, nota come la “strada della morte“. Se alla mancanza di strutture, al pericolo della strada, alla distanza per raggiungere la struttura sanitaria più vicina, aggiungiamo anche la carenza di unità del 118, il presidio di Trebisacce ne possiede solo una per l’intera area nord della Calabria, è facile capire perché i cittadini si riversano nella vicina Basilicata per i trattamenti sanitari, facendo lievitare il deficit regionale; secondo i dati della Fondazione Gimbe, infatti, ogni anno 300 milioni di euro vanno ad arricchire, sotto forma di rimborso, le altre regioni dove i calabresi vanno a farsi curare.
Dopo 7 lunghi anni dalla sentenza di riapertura del 2015 non si vedono ancora all’orizzonte prospettive concrete; la speranza di rivedere attivo il nosocomio di Trebisacce è affidata, oggi, al nuovo commissario ad acta, nominato a ottobre 2022, per cercare di sfatare ciò enfatizzava ironicamente Otello Profazio, noto cantastorie calabrese: “Non capisco con quale causale in ogni città ci fanno un ospedale. Tutta roba inutile… qua si campa d’aria”.