venerdì, 29 Marzo 2024

Giustizia per Duccio Dini, 29enne investito a Firenze nel 2018: condanne da 7 a 25 anni attesa per altri 4 imputati

La Corte di Cassazione ha confermato tre delle sette condanne per l'omicidio volontario di Duccio Dini, il 29enne fiorentino travolto e ucciso il 10 giugno 2018 nel quartiere Isolotto a Firenze da un'auto impegnata in un inseguimento tra nomadi. Alla base di tutto ci fu una vicenda amorosa a cui la vittima era del tutto estranea.

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La Corte di Cassazione ha confermato tre delle sette condanne per l’omicidio volontario di Duccio Dini, il 29enne fiorentino travolto e ucciso il 10 giugno 2018 nel quartiere Isolotto a Firenze da un’auto impegnata in un inseguimento tra nomadi. Possono finalmente tirare un sospiro di sollievo sulla giustizia del figlio i familiari e parenti della vittima, che hanno accolto la sentenza fuori dal tribunale. Confermata la condanna a 25 anni per Remzi Mustafa, che era alla guida della Volvo che travolse la vittima. Lo stesso vale per Kole Amet ed Emin Gani, condannati a 7 anni dopo l’assoluzione in primo grado per il tentato omicidio di Bajram Rufat, l’uomo che stavano inseguendo quella notte. Questi ultimi parteciparono solo in un primo momento all’inseguimento.

Ci sarà da attendere per conoscere la sorte gli altri quattro nomadi coinvolti, la loro sentenza verrà infatti ricalcolata sulla base dell’articolo 116. Si tratta di Kjamuran AmetRemzi AmetDehran Mustafa Antonio Mustafa, condannato il primo a 25 anni e 2 mesi, gli altri a 25 anni. L’articolo in questione del codice penale prevede una riduzione della condanna laddove si compia un reato diverso da quello voluto dai concorrenti. In serata, i tre condannati sono stati presi e portati in carcere, a Sollicciano, dai Carabinieri.

La ricostruzione dei fatti

I motivi dell’inseguimento in cui è morto Duccio Dini, e un altro motociclista ha rischiato la vita, erano inerenti a una vendetta amorosa. A raccontare cosa accadde, durante il processo in Corte d’Assise svolto nel 2019, fu Bajram Rufat, l’uomo oggetto della spedizione punitiva. Dopo due anni di separazione dalla moglie per dissapori, Rufat pretese da lei un giuramento di fedeltà, che filmò con il telefonino. Quest’ultimo gesto mandò su tutte le furie il padre e i fratelli della donna, che fu riportata casa loro, al campo rom del Poderaccio, e poi mandata da alcuni parenti in Belgio. Due giorni prima dell’inseguimento ci fu una colluttazione tra Rufat e il padre della donna, Remzi Mustafa, seguita poi dall’inseguimento e dal tragico epilogo.

Duccio Dini era in motorino, fermo a un semaforo rosso in via Canova quando fu travolto da una Volvo che andava a oltre 100 km/h. La velocità fu ricostruita nel corso delle indagini da un agente della Polizia Municipale, in base ai video ripresi dalle immagini delle telecamere di sorveglianza cittadine. Inoltre, una donna affermò di aver visto le auto impegnate nell’inseguimento passare ad alta velocità sotto le finestre di casa sua, e poco dopo di aver udito la frase “io ti ammazzo” e il rumore di tre colpi di pistola, definendole “scene da far west”. Seguirono giorni di tensione tra i residenti della zona del Poderaccio e gli abitanti del campo rom.

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