giovedì, 25 Aprile 2024

Gravidanza, nascere in ospedale non è scontato. Gaetano e Martina: “Il parto in casa è una scelta naturale”

La sacralità della nascita spesso nelle strutture ospedaliere si perde per la mancanza di tempo, per le troppe gestanti da seguire o per l'automatica medicalizzazione. Molte coppie scelgono di partorire in casa, ma sono poche le Regioni che rimborsano parzialmente i costi, rendendo l'ospedale l'unica possibilità.

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“Con il parto in casa si restituisce alla nascita la sua sacralità. Il bambino nasce una volta sola, non può essere fatto di corsa”. Il parto è un momento fondamentale nell’esistenza di una donna, la consacrazione di un viaggio lungo nove mesi in cui il corpo si prepara a mettere al mondo una nuova vita, a donare la propria essenza a un altro essere vivente. Ogni nascita è diversa dall’altra, così come ogni esperienza dei neo-genitori che si approcciano ad affrontare questo passo. Al primo parto spesso ci si può sentire spaesati, si conoscono tutti i passaggi, ma non si sa realmente a cosa si va incontro. Si devono prendere decisioni, fare delle scelte, organizzare il piano del parto, affidarsi a una struttura ospedaliera sperando che il personale sanitario in turno al momento della nascita sia lo stesso che ha seguito tutta la gestazione. Alcune donne decidono di allontanarsi dalla sanità pubblica per affidarsi alla sanità privata o, addirittura, a un “ritorno alle origini”: il parto in casa. Sebbene possa sembrare qualcosa di altamente rischioso, molte coppie decidono di affrontare la nascita del bambino all’interno delle mura domestiche, un ambiente familiare e confortevole, come ci hanno raccontato Gaetano e Martina che hanno scelto di sperimentare questo percorso per la seconda figlia e, tra pochi mesi, per il terzo.

Esperienze a confronto: ospedale e casa

“Per la prima gravidanza abbiamo fatto un corso preparto e già da allora stava iniziando a nascere in me questo desiderio di avere un parto differente, di non dover dare mille spiegazioni ai sanitari su come volessi partorire. Forse i tempi non erano maturi e alla fine mi sono limitata a esprimere le mie preferenze, ma siamo andati in ospedale. Lì c’è la possibilità di fare il piano del parto e si esplicita ciò che si vuole e ciò che non si vuole ricevere come assistenza: ho potuto decidere se fare o meno l’epidurale, che le acque non mi venissero rotte artificialmente, ho potuto richiedere la presenza di una persona durante il travaglio e che l’ossitocina non mi venisse fatta in maniera automatica, perché si assiste spesso a una medicalizzazione quasi automatica del parto, anche quando non ce n’è bisogno, mentre la medicalizzazione è auspicabile quando c’è qualche problema, quando qualcosa non va, quando è realmente necessaria. Purtroppo per routine spesso viene fatta l’induzione del parto”, ci racconta Martina.

“Non voglio demonizzare l’ospedale, perché ogni luogo che fa sentire al sicuro la partoriente è ottimale per il parto, che sia una struttura sanitaria o casa. Io non ho avuto una bella esperienza in ospedale per la nascita della prima figlia perché, nonostante avessimo fatto il corso di preparazione e su tante cose fossi informata – continua Martina -, ho dovuto combattere su tanti punti e alcune scelte non sono state rispettate, o comunque non sono stata informata precisamente su ciò che mi stavano facendo. Alla fine non sono rimasta soddisfatta. Il dottore, mentre mi metteva i punti, ha dovuto fare l’anestesia locale e mi ha chiesto sbuffando perché non avessi fatto l’epidurale, sebbene ci fosse il piano del parto e la struttura sapesse le mie preferenze. Io immaginavo il mio parto in maniera diversa, e non l’ho potuto realizzare in ospedale. Tante ragazze si sentono accolte, dipende molto dal personale che si incontra. È tutta una questione di assistenza e io mi sono trovata sola, c’era Gaetano con me, ma durante tutto il travaglio, che è durato 13 ore, noi siamo stati soli”. “Probabilmente il problema a livello sanitario quella notte è stato che c’erano due ostetriche con circa una decina di partorienti, quindi non possono garantire un’assistenza costante per ognuna”, aggiunge Gaetano.

“Quando abbiamo scoperto di essere in attesa della seconda bambina, ho iniziato a informarmi sul parto in casa perché mi piaceva l’idea già dalla prima gravidanza. Avevamo un’ostetrica di riferimento, che poi ci ha seguiti insieme a un’altra – continua a raccontare Martina -, con cui abbiamo fatto incontri informativi, perché avevamo molte perplessità, soprattutto mio marito, non conoscendo tanti aspetti. Una cosa molto importante per me è il fatto che lui ha sempre avuto una grande apertura mentale, ha sempre pensato che il parto lo riguardasse in qualche modo, che non fosse solo una cosa mia e si è reso disponibile a informarsi sulla nascita in casa, nonostante i costi e le paure che possono esserci. Il suo supporto e il suo appoggio sono stati fondamentali per me. È stato presente e partecipe”.

Gaetano: “In casa mi sono sentito coinvolto”

“Il discorso del parto in casa non si ferma al giorno in cui nasce il bambino, ma è un percorso in cui le ostetriche ti seguono prima e fino a 10 giorni dopo la nascita – ci dice Gaetano -. In ospedale sono stato 12 ore con lei in travaglio e mi sono sentito totalmente escluso, sono stato messo lì in un angolo e non capivo neanche cosa stesse accadendo. Durante il parto in casa, il travaglio è stato sempre di 12 ore, ma le ostetriche mi spiegavano passo passo cosa stava accadendo ed è stato un modo di vivere in maniera molto più naturale e da protagonista la nascita. Spesso si pensa che il parto sia una cosa in cui la donna è l’unica protagonista, invece non è così. Il parto in casa ci ha permesso di vivere questo momento non solo come un momento legato al puro discorso medico, ma anche come momento di intimità, è stato come sposarla una seconda volta. Le ostetriche mi avevano insegnato alcune manovre che l’avrebbero potuta aiutare e mi sono sentito coinvolto completamente”.

I rischi del parto in casa: sfatiamo i miti

“La selezione della gestante che vuole partorire in casa è molto rigida – spiega Martina -, ci sono delle linee guida basate sugli studi a riguardo: la gravidanza deve essere fisiologica, il bambino deve stare bene, così come la mamma, la vicinanza alla struttura sanitaria ecc. Ero tranquilla, le ostetriche che seguono i parti in casa sono formate per gestire e stabilizzare in caso di complicanze o emergenze. Loro hanno tutta l’attrezzatura necessaria e possono anche mettere i punti. Le ostetriche monitorano continuamente e, se vedono che qualcosa non va, si procede al trasferimento immediato in ospedale e il bambino viene fatto nascere lì, non si arriva a raggiungere il limite della pericolosità“. “Io sono diffidente di natura – aggiunge Gaetano – e ho fatto ricerche su dati e cose varie. Ho notato che il tasso di mortalità tra il parto in casa e in ospedale è uguale, non ci sono grandi differenze. I motivi che ci hanno spinto a questa scelta è di offrire al nascituro la possibilità di nascere a casa sua”.

Parto in casa: i costi

In Puglia noi siamo stati seguiti da due ostetriche libere professioniste e quindi le abbiamo pagate – racconta Martina -, circa 1.800 euro. Le abbiamo trovate tramite un’associazione di professionisti sanitari che si occupano della gravidanza e si è instaurato un rapporto di completa fiducia, tanto che le ho contattate immediatamente appena abbiamo saputo della gestazione. Sono molto preparate e disponibili, infatti ci incontriamo una volta al mese per monitorare la situazione. Quando ho messo al mondo la seconda figlia, ho voluto un parto in acqua. Loro hanno montato la piscina, preparato l’acqua calda, allestito con l’aiuto di mio marito. Poi, dopo la nascita, io sono andata a dormire e loro hanno sistemato, smontato e ripulito. Tolti i panni da lavare, era come se in quella stanza non fosse successo nulla, tutto perfettamente in ordine. In alcune Regioni, come nelle Marche, è previsto il rimborso per le spese del parto in casa. Più si va al Nord, più il parto in casa diventa una routine. Ci sono Paesi dell’Europa settentrionale dove si partorisce in ospedale solo in caso di gravidanza patologica o a rischio”. Sono davvero poche le regioni italiane che prevedono il rimborso, per giunta parziale, del parto a domicilio. Molte coppie ricorrono quindi alla scelta quasi obbligata dell’ospedale, non potendosi permettere economicamente l’alternativa della nascita in casa.

“Mi ricordo della prima figlia che, sebbene le linee guida raccomandano il contatto con la mamma, la bambina mi è stata poggiata sul petto quattro secondi, giusto il tempo che mi guardasse, e me l’hanno tolta per fare il bagnetto. Anche questo non è necessario farlo subito – sostiene Martina -. La mia seconda figlia ha fatto il primo bagnetto dopo una settimana, perché i bambini quando nascono non sono sporchi, ma si deve dar loro il tempo di assorbire la vernice caseosa. La nostra ostetrica dice sempre che è stata tolta al parto la sacralità ed è stato trasformato in una manovra medica. Non sono i medici o le ostetriche a far nascere i bambini, ma sono le mamme supportate dai professionisti sanitari”.

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