Un piccolo passo per l’essere umano, un grande passo per l’umanità. L’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, prima in Italia, ha attivato un Dottorato di Ricerca in “Gender Studies”, gli studi di genere di cui, nel 2013, l’AIS-Associazione Italiana di Sociologia dell’Università di Roma Tre aveva evidenziato la disastrosa scarsità nel nostro Paese. Il corso, caratterizzato dalla trasversalità e dall’interdisciplinarietà care al femminismo intersezionale, è associato a tre atenei: quello barese, l’Università degli Studi di Macerata e Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa. Ne abbiamo parlato con la professoressa Francesca R. Recchia Luciani, coordinatrice del corso.
Professoressa, perché un Corso di Dottorato sui saperi di genere?
Innanzitutto, chiamiamolo Dottorato in “Gender Studies”. L’utilizzo della denominazione in inglese risponde a una scelta precisa, dato che nella cultura angloamericana gli studi di genere hanno una tradizione trentennale, mentre in Italia non sono un settore disciplinare. Come precisato nella descrizione del Corso, il riferimento è specificatamente agli studi di genere e intersezionali; abbiamo volutamente insistito che si tratti di un punto di vista che privilegia il genere come fonte di discriminazioni.
Negli USA e in alcuni Stati europei i corsi accademici dedicati ai saperi di genere sono attivi già da tempo; da qualche anno il GEMMA, a Bologna, si è fatto portabandiera di questi studi. Adesso, finalmente, Bari potrà dirsi un avamposto nel Meridione per i Gender Studies; ma quanto c’è voluto?
Il GEMMA è un Master Erasmus Mundus europeo, vale a dire una laurea specialistica, non un dottorato. Dunque, oggettivamente, quello di Bari è il primo dottorato italiano associato in Gender Studies. Siamo un’avanguardia. Certo, negli anni passati ci sono stati dottorati incentrati su questi temi, ma erano inseriti all’interno di corsi più ampi e sotto forma di curricula. Il Corso dell’Università degli Studi di Bari mostra fin da subito una vocazione e un’apertura ad ampio spettro, con un collegio docenti cui afferiscono non solo docenti di Bari, dell’Università degli Studi di Macerata e della Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa, ma anche di colleghe della Humboldt-Universität di Berlino e della Bergische Universität di Wuppertal.
Questo Dottorato, tuttavia, ha una storia: io stessa, nel 2012, ho impiantato un insegnamento di Filosofie contemporanee e saperi di genere nel Corso di laurea triennale in Filosofia (il primo dell’Università di Bari e d’Italia) e, per 10 anni, ho organizzato con un comitato scientifico afferente al Centro Interdipartimentale di Studi sulle Culture di genere – UniBA il Festival delle Donne e dei Saperi di Genere che ha consentito al nostro ateneo di ottenere il primo posto fra le università italiane per le attività in merito al genere in terza missione (l’impatto delle attività sul territorio, accanto alle missioni tradizionali di insegnamento e ricerca ndr). Ciò ha consentito a Uniba di raggiungere il primo posto in Italia e dodicesima nel mondo nella Times Higher Education Impact Rankings 2022, la classifica che monitora l’impatto degli atenei sul tessuto sociale utilizzando i parametri indicati nell’Agenda 2030 dell’ONU e dai Sustainable Development Goals (SDGs). Ce n’è voluto, ma da 10 anni siamo un’avanguardia.
Oltre al Festival delle Donne e dei Saperi di Genere, nella storia di Uniba ci sono anche due edizioni dello Short Master in Teorie didattiche delle differenze. Femminismi e saperi di genere; nel 2021 è stato attivato uno specifico corso di competenze trasversali per la valorizzazione delle differenze e, dall’8 marzo 2022, è stato avviato con CUG UniBA e APS Giraffa Onlus, il Corso per le Competenze Trasversali finanziato dalla Regione Puglia “Azioni di sistema per la prevenzione e il contrasto alla violenza di genere”. Lei intravede la possibilità di un intero corso di laurea dedicato in modo specifico a queste tematiche?
Non sono pienamente d’accordo con questa ipotesi. Trovo che le questioni legate a discriminazioni e violenze determinate da non accoglienza e non inclusione (in realtà è più opportuno parlare di rispetto delle differenze che di inclusione) debbano infiltrare tutti i saperi. Dobbiamo pensare “al contrario”: invece di recluderci in settori disciplinari, dobbiamo contaminare gli altri. In tutti gli ambiti ci sono discriminazioni; basti pensare che quella contro le donne è rinvenibile ovunque. Per questo, coltivare gli studi di genere è utile per ibridare tutti gli altri e costringerli a interrogarsi sulle discriminazioni e la loro spaventosa diffusione.