martedì, 19 Marzo 2024

Protezione Civile, Piano di Emergenza e patto sociale: l’importanza della popolazione

Il Piano di Emergenza di Protezione Civile regola i comportamenti da adottare in caso di catastrofi naturali, come terremoti, alluvioni e altri disastri ambientali. Ne abbiamo parlato con Sergio Achille, presidente dell'Assodima, e Fabio Chiaravalli, esperto in geologia.

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“La popolazione è fondamentale per la riuscita e l’attuazione del Piano di Emergenza di Protezione Civile, così come fondamentali sono le autorità competenti, che devono informare adeguatamente i cittadini, e i volontari”. Il PEC – Piano di Emergenza Comunale è un documento essenziale per la società; è quello che detta le norme per i comportamenti da adottare in caso di catastrofi naturali, come terremoti, alluvioni e altri disastri ambientali. Eppure c’è molta disinformazione sull’argomento, per questo abbiamo deciso di intervistare il dottor Sergio Achille, presidente dell’Assodima – Associazione Nazionale Disaster Manager, che domenica 19 giugno, durante la festa della Protezione Civile a Canale Monterano, ha tenuto una conferenza intitolata, non a caso, ‘Il Piano di Emergenza come patto sociale’.

“Quando stiliamo il piano di Protezione Civile, al di là degli studi che mettiamo in campo per la conoscenza del territorio, dobbiamo anche disegnare quello che è il modello di intervento. Questo modello è bene che abbia la partecipazione e che sia realizzato insieme alla popolazione, che deve conoscerlo e deve sapere quali sono le azioni da svolgere, perché i comportamenti dei singoli cittadini spesso sono più importanti di quelli che vengono indicati dal piano. La gente deve comprendere profondamente cosa deve fare durante un’emergenza” ci racconta.

“Dobbiamo avere la partecipazione di tutti, cosa che avviene in diverse fasi, come per esempio attraverso le assemblee, spesso disertate perché la cultura sulla Protezione Civile, e quindi sulla sicurezza, è ancora bassa nel nostro Paese. Alcuni comportamenti sono molto pericolosi, invece bisognerebbe sapere quali sono quelli da attuare. Come istituzione di Protezione Civile dobbiamo stringere un patto con la popolazione, non solo per dare degli elementi di apprendimento, ma anche per acquisire delle sensibilità che i cittadini possono comunicarci; all’interno del tessuto sociale c’è la conoscenza diffusa del territorio, per questo i cittadini possono evidenziare situazioni che magari la Protezione Civile disconosce”.

“Il coinvolgimento della popolazione non solo rafforza l’efficacia dei Piani di Emergenza, ma aumenta la cultura sulla Protezione Civile e sulla sicurezza. Innanzitutto è un dovere per i cittadini informarsi e conoscere il PEC, diventa quindi un dovere da parte dell’amministrazione e degli enti locali informare correttamente la popolazione”.

La figura del “disaster manager”

Il dottor Achille, in quanto presidente dell’Assodima, ci ha spiegato esattamente il ruolo del disaster manager: “È una figura si occupa di Protezione Civile, è il direttore delle catastrofi, delle emergenze ecc., significa che ha una formazione che gli consente di dare consulenza su tutte le attività, sulla pianificazione e sulla gestione delle emergenze alle autorità di Protezione Civile sul territorio, i sindaci in primis. Si tratta di una nuova professione riconosciuta. L’Italia è stata la prima a riconoscere questo ruolo come professione, visti i numerosi rischi che il nostro territorio ha da sempre. Per diventare disaster manager è necessario avere una laurea in qualsiasi ambito, perché ha una formazione interdisciplinare, quindi qualsiasi laurea va bene. Poi bisogna seguire i corsi di specializzazione per conoscere le materie segnalate sulla normativa tecnica. L’Assodima organizza i corsi proprio seguendo la tabella B della normativa, e la formazione si sviluppa su tre livelli. L’associazione è nazionale, non ci sono sedi autonome, ma sedi con referenti”.

L’importanza degli studi sul territorio

Presente alla conferenza, è stato possibile anche intervistare il dottor Fabio Chiaravalli, esperto in geologia e volontario del gruppo di Protezione Civile di Canale Monterano, che ha spiegato come avvengono gli studi per stilare il Piano di Emergenza. “Il PEC è un documento che ha la sua ragion d’essere e la sua struttura. È regolato da specifiche tecniche ben precise, che individuano gli elementi da inserire al suo interno e l’articolazione che tali parametri devono avere nel suo sviluppo. Di base gli elementi sono comuni a tutti. Andando a studiare il territorio, vengono individuati e sviluppati solo alcuni dei componenti, secondo l’approccio dall’alto verso il basso, individuando i problemi maggiori e scendendo progressivamente nei dettagli necessari“.

“Fatta salva una conoscenza di base che è comune, gli studi sul territorio in genere vengono impostati e poi eseguiti in conformità con gli obiettivi che devono perseguire. In alcune zone ci sono tematiche che vanno approfondite e in altre zone no. I piani vanno a individuare delle aree di raccolta della popolazione, le cosiddette zone sicure, dove i cittadini possono ricoverarsi in modo organizzato in caso di fenomeni di una certa gravità e si debba ricorrere all’evacuazione. Il rischio più grande è che le persone non sappiano cosa fare in caso di emergenza, infatti le leggi sul PEC prevedono forti e importanti attività di formazione e informazione della popolazione e dei volontari”.

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