venerdì, 19 Aprile 2024

“Ho avuto un aborto spontaneo. Vorrei essere madre. La Corte Suprema degli Stati Uniti sbaglia”

Gli Usa hanno fatto un salto indietro di 50 anni, permettendo ai singoli Stati di legiferare sul diritto all'aborto. La donna non può essere vincolata a una decisione del Governo sulla gestione della propria salute e della propria vita. La libertà e il diritto alla scelta sono inviolabili, che si voglia la maternità oppure no, o almeno così dovrebbe essere.

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“Ho provato sulla mia pelle la perdita di un bambino. Ero al quarto mese di gravidanza, le nausee non mi lasciavano un attimo, ma andava bene, mio figlio cresceva in me. Sono andata al controllo di routine e la dottoressa mi ha fatto vedere quella piccola creatura che si muoveva, incrociava le gambe… era un maschietto! Immediatamente ho immaginato il piccolo Gianmarco tra le mie braccia, poi sgambettarmi intorno e, in pochi minuti, l’ho visto adolescente. Pochi giorni dopo le nausee sono stranamente sparite”. Altro controllo: “Signora, non c’è più il battito“. “Incredulità, dolore, disperazione… Ho dovuto aspettare quattro giorni prima dell’intervento, con il feto morto che iniziava a deteriorarsi dentro di me e l’unico pensiero era di non recarmi in ospedale, di non lasciarlo andare. Nonostante ciò, non mi sento di colpevolizzare o giudicare una donna che decide volontariamente di interrompere una gravidanza: qualunque siano le sue motivazioni, deve essere libera di scegliere se diventare madre oppure no“.

Desiderare un figlio e non poterlo avere. Aspettare un bambino e sentire le maledette parole della ginecologa. Perdere una creatura, mentre il suo cuoricino un attimo prima batteva rapido e forte, è una tragedia. Ma non è forse una tragedia anche essere costretti a portare avanti una gravidanza indesiderata? A diventare genitori perché lo Stato ha deciso che è illegale interrompere una gestazione? Questo è successo negli Stati Uniti: un salto indietro di 50 anni, un ritorno al medioevo, dove la donna non ha potere su se stessa e sul proprio corpo. L’emancipazione femminile, il diritto di prendere decisioni sulla propria vita, la possibilità di scegliere per la propria salute fisica e psicologica, le donne come esseri viventi sono state prese a calci con la decisione di abolire il diritto all’aborto. Scegliere di diventare madri è un atto di giustizia, come lo è scegliere di non diventarlo.

Ci sono donne che desiderano fortemente la maternità e, per cause talvolta inspiegabili, sono costrette ad affrontare il dolore della perdita. Sulla cartella clinica compare la traumatica scritta “aborto spontaneo”, un marchio che una donna si porterà dentro per sempre; sapere che una vita cresce nel suo ventre e in un momento viene spezzata, come il suo cuore che all’improvviso sprofonda in un’incolmabile disperazione, seguita da una depressione che non sempre dà scampo. Eppure ci sono donne che vivono le stesse intense e tragiche emozioni esattamente per il motivo opposto.

In Texas l’aborto è concesso solo alle madri che rischiano la vita o in caso di gravi malformazioni del feto, per il resto viene considerato omicidio. Ma dov’è andata a finire la matrice psicologica dietro una gravidanza indesiderata? Si tende a considerarla un atto di incoscienza, ma se le precauzioni non avessero funzionato? La pillola anticoncezionale ha un’efficacia del 99%, ma c’è quell’1% di margine in cui può insinuarsi una gestazione non voluta, o bastano semplici disturbi gastro-intestinali per espellere dall’organismo una minuscola compressa che magari non aveva avuto ancora il tempo di sciogliersi ed essere assorbita. Oppure vogliamo parlare del preservativo? Il contraccettivo più gettonato ha una copertura teorica del 99,9%, ma la realtà è ben diversa: la percentuale di successo è dell’85% circa, nettamente più bassa quindi di quanto ci si aspetti. E quanto è alto il rischio che il condom si rompa, si sfili o, se non tenuto nelle giuste condizioni ambientali, sia difettoso?

Ancora più grave è non dare la possibilità di scelta alle donne che si ritrovano incinte dopo aver subito violenza sessuale. Già di per sé questo provoca un forte trauma: sentire addosso le mani di uomini indesiderati, vedere i vestiti che vengono strappati di dosso, le lacrime che scendono, le preghiere affinché gli aggressori smettano. E poi il triste scherzo del destino, il ciclo che non arriva, il test che risulta positivo, e via di nuovo la paura, la depressione e la ferita ancora aperta che riprende a sanguinare. E un gruppo di persone deve decidere che quel bambino, ricordo costante della violenza vissuta, deve nascere obbligatoriamente? Dov’è dunque la giustizia in tutto questo? La libertà e il diritto alla scelta sono inviolabili e la donna non può essere vincolata a una decisione dello Stato sulla gestione della propria salute e della propria vita.

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