giovedì, 28 Marzo 2024

Emergenza baby gang: è l’ora della responsabilità

Il fenomeno delle baby gang è in rapida evoluzione; gli adolescenti sono sempre più aggressivi. Ogni giorno leggiamo notizie di risse tra bande o di accoltellamenti tra ragazzi. Eppure, secondo i dati l'emergenza non esiste. Famiglia, scuola e istituzioni devono tornare a camminare insieme per possibili soluzioni.

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Aggressioni sempre più violente e immotivate, perpetrate da ragazzi la cui età va progressivamente diminuendo, fino a coinvolgere bambini di età scolare, occupano sempre più spesso le pagine di cronaca dei giornali. Una piaga che colpisce tutte le zone d’Italia, da nord a sud, senza differenze rispetto al contesto sociale di appartenenza. Compagni di classe picchiati, con i video dei pestaggi postati su Telegram, rapine e violenze ai passantisono solo alcuni esempi del terrore seminato da questi gruppi. Eppure se si guardano i numeri ufficiali di Istat, Procure dei minori, Dipartimento per la Giustizia minorile, non si rileva nessuna emergenza “baby gang”, le denunce sono poche.

I dati: l’emergenza baby gang non esiste

Dai dati raccolti e presentati lo scorso giugno dalla cooperativa sociale Arimo, che dal 2003 gestisce servizi, comunità e spazi educativi, collaborando con gli Enti locali e con gli organi della Giustizia minorile, gli ingressi negli Istituti penali per minorenni in Italia nel 2020 sono stati solo 713 su circa 30mila denunce; per gli altri ragazzi sono scattate misure alternative alla detenzione, anche se il maggior numero di processi è stato archiviato per irrilevanza o tenuità dei fatti. Ma la presenza di queste bande, non solo nelle grandi città, è davvero preoccupante e richiede una urgente interrogazione delle coscienze. Ciò che preoccupa maggiormente è la violenza gratuita, diventata quasi una normalità per molti giovani che giocano a fare i grandi a spese degli altri, siano essi coetanei o anziani. Secondo l’Osservatorio Nazionale Adolescenza, su un campione di 7mila ragazzi sul territorio nazionale, il 6,5% fa parte di una banda, il 16% ha commesso atti vandalici e 3 ragazzi su 10 hanno partecipato a una rissa. Ogni occasione è motivo per misurarsi con se stessi e con gli altri, e la forza delle baby gang è proprio l’agire in gruppo.

L’effetto branco

Il branco rappresenta il porto sicuro per tanti giovani con personalità fragili e facilmente plasmabili; il gruppo garantisce accoglienza e protezione. Le baby gang ruotano intorno al meccanismo della deresponsabilizzazione e dell’effetto branco: aggressioni, rapine, risse, accoltellamenti, ma anche atti contro il patrimonio, vengono perpetrati perché lo fanno anche gli altri. Proprio la violenza e l’aggressività che gli adolescenti mostrano in questa fascia d’età, in cui normalmente si dovrebbe essere più spensierati, deve far riflettere. Forse il loro comportamento, in qualche modo, è il riflesso della società che li circonda, il riflesso di quello che vivono e respirano nel mondo degli adulti. Viene naturale, quindi, pensare che questo tipo di criminalità trovi un terreno più fertile nei contesti degradati, nelle periferie, caratterizzate da condizioni sociali critiche a livello economico, sociale, familiare e con un basso livello di scolarizzazione. Ma non sempre è così.

La devianza minorile è diventata una forma trasversale: non è solo una forma prettamente maschile, tante sono le ragazze che agiscono in gruppo utilizzando la forza fisica anche per futili motivi, e tanti sono i ragazzi appartenenti a famiglie benestanti, giovani forse troppo annoiati dal benessere che si servono di modalità devianti come ribellione e affermazione della propria esistenza. Noia, frustrazione e disvalore sociale sono gli ingredienti principali che fanno da collante in questi gruppi sui quali si fonda il senso di appartenenza.

I fattori di rischio

I sociologi hanno individuato fattori di rischio anche nell’utilizzo di videogiochi sempre più brutali e in alcune serie tv, come ad esempio Gomorra o Squid game; spesso gli adolescenti, identificandosi nei personaggi cattivi, emulano le scene di violenza, tanto da non distinguere la linea di demarcazione tra reale e virtuale. Ma davvero un personaggio e un serial possono essere la causa del male? O non sono altro che rivelatori di un disagio che esiste e che trova espressione nell’emulazione come affermazione di un’identità personale che non si riesce a formare in altri modi? Troppo spesso i minorenni vengono lasciati da soli davanti a questi dispositivi, senza le conoscenze e le competenze appropriate per decodificare i messaggi fuorvianti e negativi e porre confini tra cosa sia effettivamente giusto o sbagliato; tutto diventa un gioco, compresa la violenza. Ecco che il ruolo della famiglia è indispensabile: i genitori devono tornare a dialogare con i figli, a fare da filtro, a ristabilire e a far comprendere la differenza tra il bene e il male.

I social

Una grossa mano alla diffusione delle baby gang è arrivata anche dalla tecnologia e dall’utilizzo dei social. Condividere in rete tutti i soprusi, le vessazioni, le risse dà la possibilità di diventare virali, famosi, sfidare le autorità, acquisire popolarità e onnipotenza. È proprio sulle piattaforme social che ci si organizza, si litiga e ci si dà appuntamento in strada, e questo modo di fare è un vero e proprio specchio di quella che negli ultimi anni è diventata la società, incentrata principalmente sulla necessità e voglia di apparire a tutti i costi. Quello che va cambiata è la cultura che porta a vedere questi bulli come eroi o personaggi positivi perché, perso il sostegno sociale, buona parte della loro forza propulsiva andrà scemando.

Educazione emotiva: dal disagio alla rinascita

È necessario, quindi, favorire forme di prevenzione in tutti gli ambiti educativi, cercando di comprendere i segnali di sofferenza e disagio manifestato dai ragazzi, promuovendo relazioni in primis nel contesto familiare. Anche la scuola e il contesto sociale sono chiamati alla promozione di un’educazione emotiva e per questo dovrebbero creare più spazi di aggregazione e socializzazione in cui poter avere possibilità di crescita, esprimere se stessi, confrontarsi con gli altri. Gli educatori sono chiamati al gravoso compito di ridare fiducia e incoraggiare gli adolescenti ad appassionarsi, ad essere curiosi, per cercare di ridurre il rischio della noia e della perdizione. È arrivato il momento di affrontare, con urgenza, il problema perché riguarda il futuro delle nuove generazioni e la sicurezza dei luoghi urbani. Non possiamo più voltarci dall’altra parte.

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