venerdì, 19 Aprile 2024

Nemmeno la guerra ferma il razzismo

Gli ucraini si affrettano a lasciare il Paese, accolti a braccia aperte dai vicini di casa nel momento del bisogno. Ma non è così per chi ha la pelle nera. Molti studenti e cittadini di origine africana non riescono né a partire né a varcare la frontiera.

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Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, anche la parte più smemorata del Vecchio Continente ha scoperto cosa significhi fuggire dalla propria terra, abbandonare tutto per salvare la pelle. Ci siamo riscoperti solidali e abbiamo nascosto come la polvere sotto al tappeto tutti i muri di cemento, filo spianto e acqua che abbiamo usato fino a pochi giorni fa per difenderci da un nemico immaginario. Ma l’immagine degli europei brava gente è durata poco, da Natale a Santo Stefano.

La pelle è il rivestimento più esterno del corpo; negli esseri umani, sancisce chi merita di passare una frontiera per sopravvivere e chi no. Anche in Ucraina vivono persone provenienti da Stati terzi, come quelli del continente africano. Nelle ultime ore sui social rimbalzano video che testimoniano quanto nemmeno una situazione d’emergenza riesca a fermare il razzismo. Nelle stazioni ferroviarie, le guardie ucraine non permettono alle persone nere di salire a bordo dei treni, gli stessi su cui salgono i cittadini bianchi per raggiungere la frontiera; al confine, la Polonia impedisce loro l’ingresso istituendo un vero e proprio accesso selettivo dei profughi.

Isaac, un uomo nigeriano che cerca di scappare in Polonia, ha riferito alla BBC che il personale di frontiera gli ha detto che “non si prendevano cura degli africani”. Inoltre, sembra che i nativi africani vengano addirittura inseguiti e colpiti dalla polizia con dei bastoni. Koko, una studentessa inglese afrodiscendente, ha postato su Twitter alcuni video in cui un uomo ucraino, girando insistentemente attorno alla sua auto, intima a lei e agli altri passeggeri di andarsene e non entrare in Romania. “I militari hanno appena bussato al nostro finestrino e ci hanno detto di andare subito, quindi spostiamo l’auto. La gente del posto si lamenta di noi con i militari e loro li supportano. Ci stiamo adeguando per rimanere al sicuro”, cinguetta ai suoi follower.

Sempre alla BBC, Osemen, dalla Nigeria, ha raccontato di aver cercato di salire su un treno a Leopoli per raggiungere la frontiera polacca, ma gli è stato detto che solo gli ucraini sarebbero stati ammessi a bordo.

A Hrebenne, al confine fra Polonia e Ucraina, moltissimi dei profughi accampati nei pressi del checkpoint non sono nativi del luogo; molti di loro provengono da Camerun, Nigeria e Kenya. Alla stampa, la Polizia ha detto che proprio lì, in quella bozza di campo profughi, stanno intensificando i controlli per evitare infiltrazioni pericolose. Il doppio standard, un’altra volta. L’Ucraina sta sperimentando sulla sua pelle gli effetti del governo dispotico del suo vicino di casa (bianco), ma teme il colore di quella di chi è in fuga come i suoi figli e le sue figlie.

Ruqqaya, una studentessa universitaria nigeriana che stava studiando medicina a Kharkiv ha detto alla BBC che dopo aver camminato di notte per 11 ore per raggiungere Medyka, al confine polacco, le guardie armate le hanno detto di aspettare il suo turno perché prima dovevano passare i cittadini ucraini. Solo una manciata di africani veniva selezionata dalla coda per poter salire sugli autobus che stanno portando i profughi in salvo. Asya, un’altra studentessa di medicina originaria della Somalia, dopo aver raggiunto la Polonia è stata allontanata da un hotel poiché “l’alloggio era solo per gli ucraini”.

Il razzismo è duro a morire, nemmeno un potenziale conflitto mondiale è riuscito a fermarlo. Pensavamo che il fondo fosse stato raggiunto con le parole di Matteo Salvini o con il doppio standard della politica open border di Polonia e Ungheria, la settimana scorsa è stato ritrovato il diciannovesimo corpo congelato di uno dei tantissimo profughi che da agosto tenta di entrare nell’Unione Europea. Invece, a quanto pare, c’è ancora da scavare.

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