sabato, 20 Aprile 2024

Napoli, chieste foto in costume da bagno per un posto da receptionist: multata l’azienda

I requisiti fondamentali sono pochi: automunita, meno di 30 anni, carattere solare, bella presenza e una foto a figura intera in costume da bagno o similari

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La legge in materia di discriminazioni sul lavoro parla chiaro eppure, in Italia, non tutti sembrano aver colto esattamente cosa si intenda per discriminazione. Così accade che martedì 25 gennaio, una società di Napoli pubblichi quell’annuncio di ricerca di personale che ha destato indignazione in tutta la penisola. Si tratta di un’inserzione rivolta esclusivamente a candidate di sesso femminile, il ruolo da ricoprire è quello di receptionist e non è necessario avere alcuna particolare esperienza nel settore. I requisiti fondamentali sono pochi: automunita, meno di 30 anni, carattere solare, bella presenza e una foto a figura intera in costume da bagno o similari.

La polemica, naturalmente e per fortuna, è dietro l’angolo ed è direttamente proporzionale al sessismo riscontrabile nelle richieste della società. L’annuncio rimbalza ovunque sul web, accompagnato da commenti di sdegno e disapprovazione. Il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Andrea Orlando decide di fare chiarezza e segnala la vicenda al Direttore dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, Bruno Giordano. Viene immediatamente attivato l’Ufficio di Napoli, che interviene per la rimozione dell’annuncio dal web.

Oggi all’azienda napoletana arriva la multa, comminata dall’Ispettorato nazionale del lavoro: 10mila euro, ridotti a terzo se si paga immediatamente. La sanzione amministrativa è quella prevista per la violazione del divieto di discriminazione nell’accesso al lavoro (art. 27 del D. Lgs. 198 del 2006 – Codice delle pari opportunità). L’amministratore della società ha ammesso l’errore e rimodulato il testo dell’inserzione, conformemente alla normativa vigente in materia di pari opportunità.

Caso risolto, quindi. Eppure che un’azienda si senta in diritto di esaminare e valutare delle candidature lavorative, per un ruolo per altro che poco ha a che vedere con la fisicità delle partecipanti, per mezzo di foto “in costume da bagno e similari”, dimostra quanto lavoro ci sia ancora da fare per ottenere una reale parità di genere nel lavoro. Sarebbe giusto, probabilmente, non pensare alla vicenda come un caso isolato, ma prendere coscienza che si tratti di una manifestazione di una problematica strutturale, che necessita di interventi seri volti a migliorare la situazione lavorativa femminile in Italia.

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