venerdì, 29 Marzo 2024

“Spero tu venga sfregiata con l’acido”: donne del calcio vittime di uomini oltre ogni limite

Nessuno deve poter distruggere quello che più di 25 anni fa è stato conquistato con la legge sulla parità dei sessi utilizzando insulti e frasi sessiste come quelle rivolte negli ultimi anni a giornaliste sportive come Diletta Leotta, Chiara Ciurlia e Greta Beccaglia.

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Ad oggi c’è ancora chi pensa che le donne e il calcio siano due mondi talmente tanto distanti da rimanere, per sempre, paralleli. “Ma che capisci tu di calcio?” è una frase tanto diffusa tra le mura domestiche, tra fratelli e sorelle, tra fidanzati, ma è più che altro un tormentone pre o post partita. Si resta sul livello dell’ironia, dello scherzo, finché non diventa lo strumento per demolire le aspirazioni di una donna, per sminuirne le competenze, la professione o la passione.

Nel 2022 c’è ancora chi è profondamente convinto che donne e calcio non debbano incontrarsi mai. Dopo l’episodio di qualche mese fa della molestia in diretta tv nei confronti di Greta Beccaglia, gli uomini ci ricascano. Questa volta a ricevere insulti tanto inappropriati quanto sessisti è la giornalista Chiara Ciurlia, conduttrice della trasmissione streaming “Tutti in conferenza” per il “Il Leccese.it”, blog dedicato alla squadra di calcio del Lecce e a tutti i commenti post partita. In particolare, il fatto è avvenuto dopo la partita di Coppa Italia Roma-Lecce. “Vai a prostituirti”, “Speriamo tu venga picchiata”, “Muori”, “Meriti di essere sfregiata con l’acido”, “Stupida”, “Spero che tu smetta di parlare”: queste alcune delle offese da parte dei tifosi nei confronti di Chiara. Frasi che superano di gran lunga qualsiasi livello di tolleranza. Nessuno merita tutto questo, tantomeno chi si impegna e pretende di portare a termine il proprio lavoro. Chiara, purtroppo abituata negli anni a ricevere apprezzamenti pesanti e offese, e a rispondere con sorriso ed autoironia, questa volta non ce l’ha fatta. La chat è in tilt, lo sdegno anche, così da far intervenire l’editore. Va bene la rivalità nel calcio, tra squadre, tra tifosi, ma questo non giustifica la discriminazione e la violenza, seppur verbale, nei confronti di chiunque, in questo caso, di una donna. La giornalista, infatti, ha fatto quello che, in questi casi, dovrebbero fare tutte: denunciare. Ma chi è che decide quale sia il limite da non oltrepassare? Ovviamente, non ci sarà mai una risposta comune a tutti, bisognerebbe far fare alle coscienze. Peccato che, come dimostrato in questo caso e non solo, chi lo fa è perché coscienza proprio non ne ha. Ma farebbe veramente così se al posto di Chiara ci fosse stata sua figlia, sua nipote o sua sorella? Come dice la scrittrice francese Isabelle Alonso “La violenza verbale è la prima tappa della violenza generale contro le donne”.

Indimenticabile l’episodio che risale a quasi tre anni fa che vide protagonista il giornalista sportivo Giancarlo Dotto e la sua sconclusionata affermazione: “Una donna che parla di calcio smette di esistere”, con l’intento di prendere le difese, seppur inutilmente, del suo collega Fulvio Collovati. Durante la trasmissione “Quelli che il calcio”, Collovati si lasciò andare a frasi alquanto sessiste, motivo per cui è stato sospeso dalla Rai. In realtà la sua arringa non si esaurisce in quella frase, ma continua: “Vado più estremo. Una donna, ma diciamola femmina, che parla di calcio, non mi rivolta lo stomaco, smette di esistere l’attimo stesso in cui lo fa. Ma non perché sia inadeguata e blateri sfondoni, come insinua maldestro Collovati”. Partiamo dalla prima distinzione che il buon – si fa per dire – Dotto fa: “una donna, ma diciamo femmina”. Non c’è alcuna necessità di rimarcare una differenza che non esiste, a meno che non si voglia intenderla in maniera dispregiativa. In realtà nessuna che conosca l’etimologia di entrambe le parole deve prendersela: femmina dal latino fèmena “colei che procrea e allatta”; donna dal latino dŏmna “signora”. Una non esclude l’altra, anzi entrambe vanno bene, in qualsiasi contesto, perché la donna, o la femmina che sia, è fiera di ricoprire entrambi i ruoli. Anzi, col passare del tempo, ne ha aggiunti anche altri al suo carnet. Chissà se prima o poi “donna” diventerà il sinonimo di “uomo”, o forse no, perché da come vanno le cose potrebbe essere un’offesa per il gentil sesso. Senza discriminazioni, si fa per dire.

Ironiche ed educate allo stesso tempo, le parole della giornalista sportiva Diletta Leotta, in risposta a Dotto(re) di calcio, Giancarlo: “Da più di sei anni mi occupo di sport e di calcio in tv e non di botanica, cosmetica o astrofisica, né considero questi ultimi sei anni di lavoro il mio hobby del week-end. Né farei mai un lavoro senza averne la più pallida nozione, come Dotto sostiene. Faccio semplicemente il mio lavoro e lo faccio da anni con passione e puntualità e sì anche con un tocco di femminilità, che non guasta, e che per fortuna a volte mi fa prendere le distanze da certe situazioni paradossali che possono verificarsi a bordo campo o in uno studio, dove, ci sono personalità o giornalisti dai facili giudizi e dalle maniere da uomo non proprio moderno”. Ognuno è libero di scegliere quale lavoro svolgere, l’importante è farlo nel migliore dei modi. Chi lo ha detto che il “pallone” sia per soli uomini? E che tutto quello che ruota intorno ad esso deve essere capito, raccontato e urlato solo dal genere maschile?

E veniamo ad un altro tabù che le donne hanno di recente infranto: l’arbitraggio calcistico. Anche in questo caso, si ve ben oltre il classico epiteto di “arbitro corn..o” e si sfocia in reati ben più gravi ai danni di una donna arbitro vittima di revenge porn. È di pochi giorni fa la notizia, rimbalzata su tutti i social e i giornali, della giovane 22enne di Pescara Diana Di meo che ha denunciato pubblicamente, anche se con fatica, la diffusione di alcuni video per così dire “hot” su Whatsapp e Telegram e che la riguardano in prima persona. Il “Revenge porn”, lo ricordiamo, è l’atto di condivisione di immagini o video intimi di una persona senza il suo consenso. In questo caso il fatto che Diana fosse un arbitro oltre che una donna è abbastanza irrilevante, perché abominevole rimane il gesto dell’uomo che lo ha compiuto.

Che sia in ambito calcistico, lavorativo o familiare, nessuno ha il diritto di mettere in dubbio o far vacillare quello che il 1° luglio 1996 è stato ottenuto: la legge sulla parità dei sessi, uno strumento importante per promuovere la parità effettiva tra donna e uomo. Anche nel calcio.

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