giovedì, 28 Marzo 2024

Un “inchino” agli eroi sconosciuti della Costa Concordia

Tanti dettagli ancora impressi nei rLa storia di questa nave di 290 metri di lunghezza con 4229 persone a bordo ha dimostrato l'efficienza del Paese di riuscire a collaborare per riportare in asse la nave. Le colpe di quella notte vanno divise. Storie italiane di eroi sconosciuti che quella tragica notte del 13 gennaio 2012 hanno salvato tante altre vite.icordi dopo dieci anni

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Il tempo è puntuale tanto quanto i ricordi che tornano a bussare alla finestra di tante case affacciate sul mare, alcune più nascoste altre più esposte; da entrambe lo scenario di 10 anni fa fu lo stesso: l’imponente Costa Concordia arenata.

Tutta colpa dell’inchino, manovra azzardata ma tradizionale, chiesta dal maître, Antonello Tievoli, per sua madre, Mamiliana Rossi, che oggi ricorda ancora ciò che ha visto. Tutto è iniziato con una telefonata da parte del figlio: “Mamma, stasera passo”, l’aspettava da dietro la sua finestra ma -come racconta a processo- “la sera del naufragio vidi le luci che si spensero, una cosa diversa dal solito“.

La tragedia della Concordia ha unito tutti, tante persone che avrebbero potuto chiudere un occhio e non scendere in mare per salvare anche solo una vita; invece, tanti si sono precipitati per riparare il danno. Questa nave, coperta per metà dal mare e a pochissima distanza dall’Isola del Giglio che sembra essere stata posizionata in modo magistrale, ha portato via con sé 32 persone tra i passeggeri e i membri dell’equipaggio, ma ha anche restituito il racconto di tante altre persone soprattutto tra i soccorritori.

Il primo a salire è stato Mario Pellegrini, vicesindaco del Giglio. Si è precipitato sulla nave cercando disperatamente di salvare più vite possibili mentre la prepotenza dell’acqua si faceva sentire, mentre si mischiavano al gelo di quella notte le urla, la disperazione dei passeggeri in bilico tra la vita e la morte. Anche Mario ripensa a quei momenti e si chiede se avesse fatto il possibile e  “alla fine mi sono detto che sì, non potevo fare di più“. I ricordi non li lava via l’acqua, tutto è indimenticabile, continua “Le scarpe. Erano centinaia, fluttuavano nell’acqua. Le mani segate dalle corde. La paura negli sguardi vuoti dei passeggeri. Il terrore nei volti dei bambini indifesi”. I dettagli che vengono raccontati fanno capire che nella sua mente è tutto tangibile, limpido. Pellegrini sembra avere il sangue freddo come il relitto della Concordia che se ne sta lì, gelida, inerme. Gli è stato chiesto: “Hai avuto paura di morire?“, “Quando la nave si è ribaltata e le luci si sono spente ho avuto paura, sì” però si è aggrappato alla lucidità e alla speranza, ha pensato di aspettare il passaggio dell’acqua e poi di nuotare.

Il vicesindaco non era solo, tra i primi soccorritori c’è stato anche il capo dei Vigili del Fuoco di Grosseto, Ennio Aquilino. Si è precipitato, non aveva una linea d’azione, è salito. “Cercavamo la linea di comando, ma non c’era, era saltato tutto”; Ennio con la sua squadra sapeva benissimo la sorte di quella nave, “quello che faceva paura è che non c’era un piano B”, ma ancora oggi avrebbe fatto la stessa scelta di quella notte, “la sensazione era come quella che devono aver provato i pompieri entrati nelle Torri Gemelle. A noi è andata meglio“.

Tra le tante storie di eroi, spicca inevitabilmente quella del capitano, Francesco Schettino, oggi sta scontando la condanna di 16 anni nel carcere di Rebibbia. L’inchino è opera sua ma non una sua invenzione, è tradizione, tutti sapevano che l’avrebbe fatto. Ciò che gli va imputato è anche il ritardo nel dare l’abbandono nave: un’ora e nove minuti dopo l’impatto, senza tralasciare le varie scuse utilizzate per spiegare perché avesse lasciato la nave: “sono scivolato su una scialuppa“. Arrivato sulla terra, senza un briciolo di senso di colpa, annulla la lezione alla Sapienza sulla gestione del panico e, come fosse un turista, partecipa ad un white party ad Ischia dove viene fotografato abbronzatissimo mentre centinaia di persone lavoravano al Giglio.

Le colpe di quella notte vanno divise, Schettino non è l’unico a non aver svolto il proprio dovere, altri ufficiali e membri della Costa hanno patteggiato le pene ammettendo le loro responsabilità. Tra questi c’è il capo dell’unità di crisi a Genova, Roberto Ferrarini, con il quale Schettino parlò più volte dopo lo schianto e il timoniere Jacob Rusli Bin: non capì gli ordini, girò a sinistra invece che a destra come fosse alle prime armi. Tra tutti c’è anche chi non si è arreso come il medico di bordo, Sandro Cinquini, e il cartografo, Simone Canessa. Quest’ultimo non voleva assolutamente scendere, stava adempiendo al suo ruolo di ufficiale col grado più alto. Pellegrini racconta: “Era quasi in ipotermia, sono riusciti a convincerlo alle 5 del mattino ma hanno dovuto faticare“.

La storia di questa nave di 290 metri di lunghezza con 4229 persone a bordo ha dimostrato l’efficienza del Paese di riuscire a collaborare per riportare in asse la nave. C’è Nick Sloane accompagnato in questa impresa da Sergio Girotto, ingegnere della Micoperi, e Franco Porcellacchia, della Costa; le aziende che hanno lavorato al progetto, la Tecon di Assago, la Spline di Venezia, la Ceccarelli Yacht design di Ravenna. C’è anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Franco Gabrielli, allora Commissario per l’emergenza, che è riuscito a coordinare pubblico e privato.

Il Giglio aspetta di celebrare l’anniversario, sembra si sia cristallizzato nel tempo, è deserto. Arriveranno tutti: autorità e naufraghi. Tornerà anche Kevin Rebello, il fratello di Russel che il mare ha deciso di restituire a questa terra dopo 100 giorni. Kevin è taciturno, non ha mai incolpato nessuno nonostante la perdita così grande: “Ho cercato sempre di essere neutrale, di non giudicare, non sono e non ero in grado di farlo, spetta ad altri“, poche parole ma pungenti, continua “tutto questo dolore poteva essere evitato se non ci fosse stato l’inchino. Senza quello, io e te non saremmo qui a parlare“. L’unico inchino, col capo più basso possibile, va rivolto agli eroi silenziosi, sconosciuti, che hanno salvato vite mettendo a repentaglio la propria.

 

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