venerdì, 19 Aprile 2024

Migranti, la vera emergenza è in Occidente: se ne infischia

Quella dell'immigrazione non è un'emergenza. Lo sono le morti in mare, i respingimenti e l'assenza di corridoi umanitari e di politiche migratorie nel mondo Occidentale. I governi sono al bivio e spesso scelgono l'indifferenza a favore del profitto.

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“Non venite, vi respingeremo”. “Chiudiamo i porti”. “Aiutiamoli a casa loro”. Sono alcune delle frasi che si ripetono come un leitmotiv quando si parla di immigrazione. Negli ultimi anni i processi migratori si sono notevolmente intensificati in tutto l’Occidente. Oggi, però, la politica deve scegliere quale strada del bivio imboccare, quella dell’aiuto e dell’accoglienza, o quella ai limiti dell’umanità. Tuttavia, sembra i governi da fin troppo tempo abbiano optato per quest’ultima. Foto come quella di John Moore, vincitrice del World Press Photo Contest del 2019, che ritraeva una bambina messicana in lacrime per essere stata separata dalla sua famiglia al confine con gli Stati Uniti, o quella degli occhi disperati di Josefa, salvata dalla Open Arms nel luglio del 2018, sembrano non tormentare le coscienze di chi si occupa di politiche migratorie.

Secondo dati forniti da Sea Watch, nel 2021, da gennaio a settembre, sono annegate nel Mediterraneo centrale 1.103 persone, sotto lo sguardo inerte di chi stringe patti con chi ha le mani sporche di sangue. Il report di luglio dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) contava un aumento del 130% dei morti nel Mediterraneo rispetto allo scorso anno. Nel Continente americano, solo a marzo di quest’anno, 17.445 migranti erano stati registrati alla frontiera sud del Messico e di questi ben 3.139 erano minori. Il 22 settembre erano 19mila i profughi, in maggioranza haitiani, in attesa di raggiungere Panama per poi varcare la frontiera statunitense. Lo scorso anno, più di 20mila persone hanno attraversato la Ruta Canaria per raggiungere le isole dell’arcipelago.

Le possibilità di migrazione legale verso i Paesi dell’Unione europea si contano sulle dita di una mano. In pochi casi, chi cerca di trasferirsi in Europa riesce a farlo come turista o studente, prolungando la permanenza dopo la scadenza del visto regolare o il permesso d’ingresso. Tutti gli altri affidano il loro destino a rotte sempre più pericolose nel tentativo di raggiungere una vita migliore.

Perché le persone migrano?

Guerre

Sarebbe riduttivo dare un’unica motivazione. Quando si parla di migrazione, infatti, si usa solitamente l’espressione drivers of migration, cioè i fattori che spingono le persone ad abbandonare il proprio Paese. Quello più noto è certamente legato all’instabilità del luogo dal quale si fugge, guerre civili e terrorismo. Basti pensare al Burkina Faso, da decenni sfondo di inaudite violenze non solo da parte dei gruppi terroristici affiliati ad Al Qaeda e Isis, ma persino delle forze di sicurezza. Dal 2011, con l’avvio dei conflitti civili e la caduta del regime di Muammar Gheddafi, la Libia è diventato il principale Paese di transito per i migranti provenienti dall’Africa subsahariana. Una situazione che continua ad aggravarsi nonostante la recentissima costituzione di un governo di unità nazionale che fa tirare un sospiro di sollievo agli alleati europei, ma non rincuora chi sta ancora disseppellendo i propri familiari dalle fosse comuni di Tarhouna, per anni sotto il giogo della milizia al-Kani, i fedeli di Gheddafi e poi del generale Haftar.

Il numero dei sepolcri rinvenuti nel piccolo centro della Tripolitania continua a crescere di mese in mese. Secondo l’Associazione delle famiglie degli scomparsi, a scavarle sono stati i migranti richiusi nei centri di detenzione per i quali c’è chi in Europa ringrazia le autorità libiche. Ne hanno trovati decine chiusi a chiave nelle celle quando hanno liberato la città. Negli anni Medici Senza Frontiere ha raccolto le testimonianze da chi è riuscito a scappare da quei lager. Donne e bambine spogliate dalle guardie per assicurarsi che non ci fossero armi nascoste nella biancheria e poi stuprate; uomini picchiati, frustati e stipati in stanze strette e buie, come animali da macello. Chi riesce a salvarsi deve superare la prova di Zuwara, poi quella del Mediterraneo centrale, l’unica via per la salvezza. Almeno fino a quando la cosiddetta guardia costiera libica non riesca ad intercettare le imbarcazioni e riportare forzatamente a Tripoli i fuggitivi, come accaduto ai 70 profughi recuperati il 12 ottobre. Sarebbero oltre 25mila le persone che dall’inizio del 2021 sono state individuate e sequestrate dalle forze marittime.

Negli ultimi anni, il numero dei migranti che cercano di arrivare in Spagna attraversando la Ruta Canaria è aumentato a livello esponenziale. I profughi arrivano soprattutto dal Marocco, dal Senegal e dalla Mauritania su piccoli barchini in legno. Altri partono da Dakhla, nel Sahara occidentale conteso dal Marocco e dal Fronte Polisario, il movimento per l’indipendenza dell’area. Soy una raya en el mar, sono una striscia nel mare cantava già nel 1998 Manu Chao quando raccontava le condizioni di chi era riuscito a sopravvivere alla traversata, un po’ meno alla nuova vita in Spagna. Sono passati 23 anni.

Il governo polacco ha dichiarato lo stato di emergenza. La vicina Bielorussia di Lukashenko sta giocando con le vite di afghani e iracheni in fuga dai talebani. Il muro di Andrzej Duda si è unito a quello di Ungheria, Grecia, Bulgaria, Austria e Croazia lasciando in un ombra senza stato di diritto i profughi della guerra per l’esportazione della democrazia. Venerdì 8 ottobre 2021, dodici Stati europei hanno chiesto all’UE di finanziare la costruzione di muri e recinzioni per fronteggiare i flussi migratori. Negli ultimi tre anni, le barriere fisiche nel Vecchio Continente si sono moltiplicate: il muro fra Turchia e Bulgaria ha raggiunto i 235 chilometri di lunghezza, e altri 40 chilometri misura quello fra il Paese della luna e della stella con la Grecia. Qui si era pensato persino di installare delle barriere sonore per sabotare i profughi.

Crisi climatica

Alcune persone non fuggono dalle armi puntate alla testa, ma dalla crisi climatica. Secondo il report Global Trends dell’UNHCR, nel 2020 ben 82,4 milioni di persone (il 42% dei quali minori) sono state costrette a lasciare il proprio paese d’origine a causa di desertificazione, innalzamento del livello dell’acqua e temperature estreme che portano a mancanza di acqua o inondazioni, carestie, incendi. Eppure, nonostante i numeri elevati e i dati ONU, non esiste una rilevazione quantitativa dei cosiddetti migranti ambientali e climatici, poiché queste figure non sono nemmeno riconosciute dalla legislazione internazionale. Secondo Legambiente, entro il 2050 i migranti climatici potrebbero essere 1 miliardo. Il 38% dei profughi arrivati in Italia via mare negli ultimi quattro anni proviene dall’area del Sahel, colpita dai conflitti di stampo terroristico, ma anche dalla desertificazione e da una conseguente corsa all’accaparramento delle risorse. La percentuale sale al 68% se si aggiungono Costa d’Avorio, Guinea, Bangladesh e Pakistan.

La crisi umanitaria ad Haiti, causata dal terremoto di magnitudo 7.2 del 14 agosto 2021, ha spinto più di 10 mila persone al confine tra Ciudad Acuña, in Messico, e Del Rio, in Texas. Ad accoglierli però non c’era il sogno americano, ma agenti di polizia a cavallo armati di frusta. Una scena da far west che il presidente Joe Biden ha definito “orribile da vedere”. Un commento orribile da ascoltare. Nei giorni scorsi infatti, i profughi sono stati deportati; dopo le frustate, le guardie di frontiera li hanno soccorsi e nutriti prima di metterli su autobus e aerei verso la patria devastata da cui fuggivano.

Abbiamo delle responsabilità

Negare la responsabilità dell’Occidente sarebbe ipocrita. Il colonialismo dei secoli scorsi ha solo cambiato faccia, le sigle delle organizzazioni internazionali hanno sostituito i nomi dei Paesi che hanno contribuito nei secoli all’impoverimento e all’esasperazione di intere nazioni, addirittura continenti. Ancora oggi, l’odore del petrolio conta più delle vite umane. Nel Mediterraneo ad occuparsi della sopravvivenza dei profughi sono prevalentemente le Organizzazioni non governative, mentre i parlamenti continuano a finanziare missioni utili al solo armamento dei boia. Alarm Phone, Sea Watch, SOS Mediterranee, resQShip, Open Arms, Emergency, Medici Senza Frontiere, Mediterranea. Quei taxi del mare che invece sono ambulanze nelle aree di ricerca e soccorso in cui i profughi sono invisibili agli occhi degli Stati. Sono scialuppe di salvataggio che strappano alla morte migliaia di persone ogni anno in nome della giustizia.

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