giovedì, 25 Aprile 2024

XXII Festival dei Tacchi, la vita intima di Gramsci, l’odissea di Pennacchi e un viaggio nella scienza

Alla settima giornata della XXII edizione del Festival dei Tacchi a Jerzu, gli organizzatori del Cada Die Teatro, offrono al pubblico un omaggio a uno degli uomini più preziosi del Novecento.

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Alla settima giornata della XXII edizione del Festival dei Tacchi a Jerzu, gli organizzatori del Cada Die Teatro, offrono al pubblico un omaggio a uno degli uomini più preziosi del Novecento. Lo spettacolo in programma oggi  9 agosto alle 21.30 alla Cantina Antichi Poderi, Gramsci, Antonio detto Nino di Francesco Niccolini e Fabrizio Saccomanno che è anche protagonista in scena (Ura Teatro di Lecce), racconta frammenti della sua vita. Vita assolutamente privata: sullo sfondo, e solo sullo sfondo, il tormentoso rapporto con il PCI e l’internazionale socialista, le incomprensioni con Togliatti e Stalin. E l’ombra di Benito Mussolini. In primo piano invece la feroce sofferenza di un uomo che il fascismo vuole spezzare scientificamente, che vive una disperata solitudine, e in dieci anni di prigionia, giorno dopo giorno, si spegne nel dolore e nell’assenza delle persone che ama: la moglie Julka, i figli Delio e Giuliano. Il primo lo ha visto piccolissimo, il secondo non lo ha nemmeno mai conosciuto. Proprio le bellissime lettere ai suoi figli sono state il punto di partenza: tenerissime epistole a Delio e Giuliano, ai quali Gramsci scrive senza mai nominare il carcere e la sua condizioni fisica e psichica, dando il meglio di sé come uomo genitore e pedagogo. Ma accanto a queste, le lettere di un figlio devoto a una madre anziana che lo aspetta in Sardegna e non capisce. Le lettere di un fratello. Di un marito. Il corpus delle lettere di Antonio Gramsci ai familiari è un capolavoro di umanità, etica, onestà spirituale e sofferenza, un romanzo nel romanzo, che apre a pensieri, dubbi, misteri che raccontare in teatro è avventura sorprendente. 

Alle 11 nell’Aula consiliare del Comune di Jerzu la scienza irrompe nel Festival per un appuntamento dedicato ai più giovani, ma che si rivelerà molto interessante anche per gli adulti. Il filosofo, accademico, evoluzionista e straordinario divulgatore scientifico Telmo Pievani intervistato dalla giornalista Claudia Carta, presenterà il suo libro Sulle tracce degli antenati, sottotitolo L’avventurosa storia dell’umanità (Editoriale Scienza) l’evoluzione dell’uomo raccontata ai bambini. Pievani spiega: «Il protagonista è un giovanissimo “investigatore”, un novello Sherlock Holmes, che deve trovare un colpevole. In questo caso il colpevole da rintracciare è un antenato comune che ha vissuto sei milioni di anni fa, tra noi e gli Scimpanzé. Andando a ritroso nel tempo, il ragazzo si accorge che nel frattempo sono vissute moltissime specie umane, tantissimi nostri cugini che oggi sono estinti. L’evoluzione è un’esplorazione di possibilità, non un binario unico. Raccontiamo dieci interviste, dieci incontri ravvicinati di tipo preistorico. Troverà il giovane investigatore l’antenato comune?». 

Alle 17.30 alla Cantina Antichi Poderi sarà la volta dell’esito scenico dei Cuori di Panna Smontata, i giovani allievi attori del Cada Die Teatro che, diretti da Jonathan Frau saranno i protagonisti dell’esito scenico Tribù, risultato di uno dei laboratori teatrali che per tutta la settimana si sono svolti durante il Festival.

Alle 19 Andrea Pennacchi (Teatro Boxer), accompagnato dai bravissimi musicisti Giorgio Gobbo (chitarra e voce), Annamaria Moro (violoncello) e Gianluca Segato (lap steel guitar), torna a calcare il palcoscenico della Cantina con Una piccola Odissea, un racconto intimo e biografico con il quale Pennacchi ci accompagna tra i ricordi della sua gioventù: «Sono venuto in possesso di una copia dell’Odissea abbastanza presto: quand’ero alle medie, mio padre gestiva lo stand libri alla festa dell’Unità del mio quartiere, mentre mia mamma regnava incontrastata sulle fumanti cucine. La pioggia aveva danneggiato una versione in prosa della Garzanti, e mio papà me la regalò. Non c’era differenza, per me, tra Tolkien e Omero, era una grande storia, anzi una storia di storie, in cui non faticavo a riconoscere le persone che amavo: mio padre che torna dal campo di concentramento, mia madre che aspetta, difendendosi dagli invasori, i lutti, la gioia. E ho sempre desiderato raccontarla. L’Odissea è stata definita “un racconto di racconti”, una maestosa cattedrale di racconti e raccontatori, attraversata da rimandi ad altre storie, miti, in una fitta rete atta a catturare il lettore. Proprio il suo essere costruita mirabilmente per la lettura, però, la rende difficile da raccontare a teatro, ricca com’è. Abbiamo pensato di restituirne il sapore di racconto orale proponendone una versione a più voci, che dia il giusto peso anche alla ricca componente femminile e al ritorno vero e proprio. Pochi si ricordano, infatti, che gran parte della storia si svolge nell’arco di pochi giorni, tra la partenza di Odisseo da Ogigia, il suo trionfo contro i proci e il ricongiungimento con moglie, figlio e padre. Il resto della storia, la parte più conosciuta, è raccontata, da aèdi (il cantore nell’epica greca), dai suoi vecchi compagni, da Telemaco e Penelope, e da Odisseo stesso. Partiremo dalla capanna dei racconti, quella capanna del chiaro Eumeo, principe e guardiano di porci, in cui inizia la vera e propria riconquista di Itaca da parte di Odisseo. Così vicina alla mia infanzia, nucleo rovente da cui nacque il mio amore per il racconto».

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