martedì, 19 Marzo 2024

Cliniche dell’orrore per “curare” l’omosessualità. Il vero male è l’omofobia

L'omofobia è un contenitore di paura, ostilità, rabbia e intolleranza. La cura c'è: liberarsi dai pensieri automatici negativi, dalle credenze intermedie, dagli schemi disfunzionali, dai pregiudizi e dalla paura del diverso.

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Esiste una cura per l’omofobia? Per gli eterosessiti, per gli intolleranti, per chi odia, per gli incapaci di accettare, di amare, di rispettare? Omofobi non si nasce, lo si diventa. Attraverso l’educazione, la famiglia, la chiesa, i media, la politica che trasmettono valori ritenuti universalmente “giusti”. Come “giusto” sarebbe credere che essere omosessuale, bisessuale, transgender, sia qualcosa di sbagliato, di insano, una malattia.

Una malattia da curare sottoponendosi a “terapie di conversione” che promettono di cambiare l’orientamento sessuale o l’identità di genere di un individuo con isolamento, elettroshock, psicofarmaci, cure ormonali, digiuni forzati, preghiere ed esorcismi.

Alcuni non sopravvivono. Altri muoiono dentro. Perché le conseguenze della terapia sono devastanti. Depressione, sensi di colpa, ansia, vergogna, disfunzioni sessuali, pensieri suicidi.

Il report di OutRight Action International descrive uno scenario raccapricciante. Sono 80 i Paesi che in tutto il mondo accettano e praticano le terapie di “conversione” o “riparative”. Guidate principalmente da comunità ultra-religiose e società con pregiudizi radicalizzati. Pochi Stati le vietano. Malta, Germania, alcune regioni della Spagna, Ecuador e Brasile. L’Italia non è tra questi.

In Africa orientale, ad esempio, dove le identità lgbt sono criminalizzate e la sodomia è punita con il carcere, i “pazienti” vivono per mesi, a volte anche anni, in isolamento. Vivono in stanze senza finestre nelle periferie di Nairobi, di Kampalapur, costretti a subire violenze fisiche e mentali. Costretti a guardare foto di membri “martioriati” sotto la minaccia di ricevere lo stesso trattamento se non smettono di essere gay.

In Cina, la terapia di conversione si pratica negli ospedali, nelle cliniche e nei reparti di psichiatria. Negli Stati Uniti, secondo uno studio condotto nel 2018 dal William Institute della Ucla School of Law, 698mila persone, tra i 18 e i 59 anni, si sono sottoposte alla terapia di conversione. La maggior parte di loro viene costretta ad entrare in questi centri dai propri parenti. Una minor parte, decide “volontariamente” di sottoporsi alla terapia, per il semplice desiderio di essere accettati.

“Avrei fatto qualsiasi cosa per diventare normale” racconta John, ora sessantenne. “Quando avevo quindici anni, ho capito di essere come chi si diceva omosessuale. Per questo, la società in cui sono cresciuto mi insultava. È stato un grande shock per me. Mi sentivo totalmente solo”.

La società, la famiglia, la fede: sono le prime a condannare. Ciò spiega perché l’omofobia e la transfobia siano ormai interiorizzate. Sono, cioè, arrivate al punto tale che alcuni omosessuali provano disprezzo e avversione nei confronti della propria omosessualità e di quella altrui.

È la paura del diverso all’origine degli atti oppressivi, dispregiativi e omofobi. Una paura radicata nell’animo umano. Una paura che deriva da pregiudizi alimentati da messaggi sbagliati e negativi nei confronti degli omosessuali. Frutto dell’educazione ricevuta dalla propria famiglia, dalla realtà in cui si nasce, cresce e vive.

Da una chiesa che considera l’omosessualità “una disfunzione relazionale” per la quale occorre una comunità cristiana “che non benedica delle situazioni esistenziali all’insegna del peccato, ma che accompagni tutti i peccatori verso il pentimento, la conversione e la guarigione”. Come recita il Documento elaborato dalla Commissione etica e teologia dell’Alleanza Evangelica Italiana.

Da una politica italiana che non prevede un divieto alle terapie di conversione, nonostante un disegno di legge sia stato portato in Parlamento nel 2016. E pone continuamente ostacoli al cammino parlamentare del disegno di legge Zan contro l’omotransfobia, sommerso da emendamenti e continuamente rinviato nel calendario dei lavori. Dimostrazione di quanta resistenza ci sia nel contrastare gli atti di pregiudizio, violenza e discriminazione a danno delle persone omosessuali.

Da un sistema scolastico che si rifiuta di introdurre l’educazione sentimentale e sessuale per insegnare, fin da piccoli, a non aver paura delle proprie emozioni. A non aver paura di se stessi e delle differenze con gli altri. Che insegni la tolleranza e il rispetto respingendo l’omofobia.

Tutte queste attitudini e messaggi negativi di disprezzo alimentano false convinzioni e plasmano quelle che in psicoterapia si chiamano credenze intermedie. Cioè gli atteggiamenti con cui ci approcciamo al mondo, le regole con cui viviamo, le assunzioni che abbiamo. Sono l’insieme delle convinzioni e dei pregiudizi che noi stessi creiamo sulla nostra persona, sugli altri o sul mondo. Talvolta possono essere disfunzionali, e quindi possono distorcere la realtà delle cose, attivarsi in modo chiuso, rigido, intollerante e generare pensieri automatici negativi, omofobi.

La vera malattia da curare, l’unica, è l’omofobia: un contenitore di paura, ostilità, rabbia e intolleranza. La cura c’è: liberarsi dai pensieri automatici negativi, dalle credenze intermedie, dagli schemi disfunzionali, dai pregiudizi e dalla paura del diverso.

Non esiste alcun modo, invece, per modificare e curare l’orientamento sessuale di una persona. Perché essere omosessuali, bisessuali, lesbiche non è una malattia. È una varianza di genere, una delle tante espressioni della diversità umana e per questo va rispettata. Perché dobbiamo opporci alle scelte di vita delle altre persone?

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