venerdì, 19 Aprile 2024

Giornata Mondiale del Rifugiato: l’Europa conta i morti e si dispiace

L'umanità viene ancora divisa tra una maggioranza dotata di diritti e una minoranza alla quale vengono negati, tra persone e non-persone. Esigere il rispetto dei diritti umani, è questo il cambiamento politico di cui l'Europa ha bisogno. Il resto sono chiacchiere e soldi gettati per non vedere.

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Non-refoulement: nessun rifugiato può essere respinto verso un Paese in cui la propria vita o libertà potrebbero essere seriamente minacciate. È il principio alla base della Convenzione di Ginevra approvata il 20 giugno del 1951 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Da quel 20 giugno, ogni anno si celebra la giornata mondiale del Rifugiato.

Eppure, all’Europa questo principio deve essere sfuggito, perché negli ultimi quattro anni, più di 50.000 migranti, 10mila solo nel mese di gennaio, fuggiti dai loro paesi per cercare condizioni di vita migliori, sono stati respinti in Libia e riportati nei centri di detenzione. Luoghi in cui, come denunciano le agenzie internazionali, non vengono assolutamente rispettati i diritti umani.

Episodi di violazione di questi diritti inalienabili si sono verificati anche negli ultimi giorni. Il governo maltese ha respinto un’imbarcazione con 86 migranti e, pochi giorni prima in acque internazionali, la ONG Sea Watch ha riferito che alcuni dei 200 migranti intercettati dalla guardia costiera libica, si sarebbero gettati in mare pur di sfuggire all’incubo di essere nuovamente rinchiusi nei centri di detenzione in Libia.

Quanti, fra i morti nel Mediterraneo erano meritevoli di asilo?

I soli immigrati meritevoli di attenzione sono quelli definibili Refugees dalla Convenzione Internazionale che regola il diritto d’asilo. Ossia chi fugge da guerre e dittature persecuzioni e conflitti nel paese d’origine. Quelli si, l’Europa potrebbe pure accogliergli.

Ma stiamo facendo qualcosa per capire se la condizione di rifugiato può essere riconosciuta anche ai migranti presenti ora in Africa? Per sapere se alcuni di loro avrebbero diritto d’asilo, se sono in fuga da qualcosa? Se vedono violati nel proprio Paese diritti e libertà previsti dall’ordinamento giuridico dell’Unione europea o dalla Costituzione italiana?

Quanti di loro, quanti fra le centinaia di migliaia di morti o carcerati nel deserto e fra gli oltre ventimila morti nel Mediterraneo negli ultimi sette anni, erano i meritevoli di asilo?

Le azioni di respingimento in Libia sono lo specchio di una politica dell’accoglienza sempre più inaccogliente da parte di un’Europa che, invece, ha invaso, sfruttato e distrutto l’Africa senza chiedere permesso a nessuno. Un’Europa dove, ancora oggi, dall’Africa, arrivano oro, diamanti, petrolio, e gas naturale, cotone, rame, il platino e coltan.

Ma le persone no. La merce attraversa il Mediterraneo lungo rotte sicure e legali. Le persone no. Non possono fuggire dalla miseria e dalla povertà causata dai dominatori europei in quasi un secolo di colonizzazione.

Colonizzazione che ha stravolto i loro Stati e istituzioni, identità culturali e modi di vita. Interrompendo quella che era l’evoluzione del continente in corso prima della conquista. La società africana è stata distrutta e le popolazioni condannate a vivere in una condizione di sottosviluppo.

Oggi, nonostante il lungo processo di indipendenza si sia concluso nei primi anni del ‘900, i nuovi confini artificiali stabiliti senza tener conto di dati etnici e geografici, hanno isolato parti di uno stesso popolo e mischiato popoli di etnia diversa.

Per questo motivo, gli stati sono deboli, ancora fortemente dipendenti dalle politiche commerciali degli antichi dominatori, incapaci di un autonomo sviluppo economico e minati da contrasti interni e minacce terroristiche come in Burkina Faso, in Mali, in Nigeria.

La Libia non è un porto sicuro

Queste sono le cause che spingono le persone ad attraversare il Sahara per ritrovarsi nel caos libico. I migranti fuggono dai loro paesi in cerca di sicurezza, di lavoro, di una vita migliore.

Ma non ci sono vie sicure per raggiungere l’Europa, e in Libia, luogo di passaggio obbligatorio, i trafficanti di esseri umani li attendono per ridurli in schiavitù, picchiarli, torturali, stuprarli nei centri di detenzione prima di spedirli in mare. “La Libia è un inferno”la Libia è un inferno, solo chi ci è passato lo sa. Perché gli altri non ci credono.

Nei centri di detenzione si consuma una terribile violazione dei diritti fondamentali delle persone. Rapporti delle Nazioni Unite e testimonianze di chi riesce a lasciare il Paese raccontano di un vero e proprio sistema di commercio degli schiavi.

I migranti vengono comprati e venduti all’asta come bestiame, nei parcheggi delle auto. Gli uomini vengono picchiati e torturati a morte, le donne ripetutamente stuprate, bambini e bambine, sottoposti a forme di violenza di ogni tipo. In centinaia sono ammassati in piccole celle senza nemmeno lo spazio per stendersi. Deboli e denutriti per evitare che possano ribellarsi ai loro carcerieri e fuggire.

La Libia è una terra di nessuno. In preda a guerre civili e politiche che, dal 2011, dopo la morte di Mu’ammar Gheddafi vede scontrarsi da un lato, l’autoproclamato governo dell’esercito nazionale libico con a capo il generale Haftar. Dall’altro, il governo sostenuto dall’Onu di Fayez al-Serraj.

La trattativa Stato – Libia

In questa situazione instabile, per bloccare il flussi di migranti l’Italia e l’Europa hanno ben pensato di stringere accordi proprio con questo Paese dove lo Stato di diritto è completamente assente. La trattativa consiste nel pattugliare i confini marittimi del Mediterraneo allo scopo di impedire ai migranti di sbarcare in Europa.

Ma come si può accettare che donne, uomini, bambini, continuino a essere riportati in un Paese con un conflitto in corso, dove permangono continue violazioni dei diritti umani e dei diritti dell’infanzia? La Libia è questo, e anche peggio.

Molto spesso, i responsabili di queste azioni sono proprio i funzionari libici. Gli stessi che dovrebbero garantire l’incolumità dei migranti. Quei funzionari ai quali l’Italia, grazie all’accordo Italia – Libia del 2017, proposto da Minniti durante il governo Gentiloni, ha regalato 200milioni per creare di fatto uno sbarramento all’immigrazione.

In base all’accordo, l’Italia ha, inoltre, addestrato ed equipaggiato i libici che pattugliano le coste e i deserti per fermare rimpatriare o arrestare i migranti prima che tentino la traversata in mare. Il nostro Paese ha inviato decine di navi, diversi elicotteri, fuoristrada e attrezzature per le comunicazioni per favorire il pattugliamento da pare dei libici.

“Impediremo ai barconi di salpare dalla costa e ai migranti di attraversare il territorio libico” aveva dichiaro Ahmed Safar, l’ambasciatore libico in Italia. Le persone fermate saranno trasferite nel centro di detenzione più vicino.

L’intesa avrebbe dovuto anche monitorare i centri di detenzione in Libia, per garantire che i migranti siano trattati in modo umano. Ma l’instabilità e l’insicurezza della situazione politica del paese non permette un reale monitoraggio internazionale.

O forse, non c’era nemmeno la reale intenzione di farlo. E molti prigionieri continuano ad essere detenuti e torturati nei centri per mesi dai carcerieri trafficanti mentre le famiglie sono costrette a versare ingenti somme di denaro per liberarli.

Anche l’Europa, nel 2017, ha inviato 90 milioni di euro al governo di unità nazionale di Tripoli per affrontare il problema, per migliorare condizioni dei centri ma che in realtà, finiti in mano ai corrotti dello stato maggiore della Dcmi – direzione per la lotta contro l’immigrazione illegale – non sono serviti a nient’altro se non a costruirne altri.

La doppia faccia dell’apparato statale libico emerge dall’atteggiamento della Guardia Costiera, dei funzionari dello Stato e degli amministratori locali che partecipano al contrabbando e al traffico di essere umani. Poi, ufficialmente, affermano di fare tutto per lottare contro il traffico di essere umani lamentandosi della scarsità dei mezzi a disposizione.

Nella realtà, queste non sono altro che strategie per pretendere altri finanziamenti e aiuti. Una vecchia abitudine che esisteva già ai tempi di Gheddafi, quando questi flussi migratori venivano bloccati o tollerati a seconda delle pressioni che si volevano esercitare sull’Europa.

L’emigrazione non può fermarsi

L’inefficienza di queste misure si dimostra non appena, con il clima caldo e il mare calmo, decine di migliaia di migranti disperati partono per l’Europa dalla Libia. Mettendo a dura prova le operazioni di salvataggio nel mar Mediterraneo e la capacità dell’Italia di affrontare la situazione.

I flussi migratori dall’Africa non si interromperanno di colpo. Probabilmente non si interromperanno mai. Tra gennaio e aprile 2021, infatti, i migranti che hanno attraversato il Mediterraneo sono più del doppio di quelli che hanno raggiunto l’Europa lo scorso anno (+157%).

L’immigrazione, dunque, resta al centro della crisi politica e sociale dell’Europa. L’instabilità in Africa e in altre parti del mondo, le guerre, la miseria e l’istinto dell’uomo di cercare una vita migliore in un posto più sicuro e accogliente sono tutti fattori che ci portano a pensare che la situazione difficilmente cambierà.

Ed è su questo aspetto che si deve intervenire. Bisogna interrompere i flussi migratori a monte. Questa idea può avere si senso, ma solo se si rispettano i diritti di quei migranti che hanno urgente bisogno di protezione umanitaria. Perché le strategie dell’Europa non possono limitarsi a mantenere lontano il problema dalle sue coste. Come se in realtà non esistesse.

I confini chiusi su cui sbraitano i partiti populisti di destra non sono la soluzione. Al contrario, aumentano l’immigrazione illegale, che a sua volta alimenta il senso di insicurezza della popolazione. Ma, soprattutto, ostacola l’integrazione dei nuovi arrivati.

L’Europa deve convincere i governi africani a contrastare le reti di trafficanti. A rafforzare i controlli alle frontiere e le loro istituzioni per salvaguardare lo stato di diritto e favorire lo sviluppo economico.

Il mese scorso, la ministra dell’Interno Lamorgese ha incontrato il presidente della Repubblica Tunisina, Kaïs Saïed allo scopo di trovare una soluzione per “aiutare concretamente la Repubblica tunisina ad affrontare sfide molto complesse. Prima tra tutte quella che riguarda il futuro dei giovani di questo Paese che legittimamente aspirano, come i loro coetanei europei, a soddisfacenti condizioni lavorative e di vita”.

È questa l’unica soluzione per affrontare il fenomeno in maniera efficace. L’unico modo per interrompere il circolo vizioso che sta danneggiando la democrazia europea e sta causando terribili sofferenze ai migranti. L’unico modo per evitare che l’Italia, Lampedusa e altri hotspot d’Italia si ritrovino nuovamente al collasso.

Esigere il rispetto dei diritti umani in Libia è fondamentale per eliminare uno dei fattori principali che spingono i migranti a partire. Oppure, permettergli di farlo legalmente, mettendo in piedi un meccanismo efficace per rimpatriare chi non può beneficiare dello status di rifugiato. È questo il cambiamento politico di cui l’Europa ha bisogno.

Nell’epoca della cosiddetta globalizzazione, l’uguaglianza di tutti gli essere umani e il loro diritto muoversi liberamente per il mondo per trovarsi un’esistenza decente, dovrebbe essere un principio ovvio.

Ma non è così. L’umanità viene ancora divisa tra una maggioranza dotata di diritti e una minoranza alla quale vengono negati.

L’umanità è ancora divisa tra persone e non-persone e concepisce solo l’espulsione, il contenimento, il confinamento dei migranti. Rifiutandosi di riconosce in loro degli essere umani in cerca di una vita migliore. In cerca di quello di cui sono stati derubati e privati da un’Europa che non può discutere in eterno, ma deve solo decidere. Decidere di non perdere altre vite umane.

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