martedì, 19 Marzo 2024

Veganesimo e ristorazione, il futuro del Pianeta nasce in cucina

Eurispes rende noto che sono sempre di più gli italiani vegani o vegetariani. Gli Stati Uniti sono attualmente il Paese in cui il movimento vegano è più diffuso. Anche molti ristoratori hanno percepito questo cambiamento.

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L’annuncio della riapertura dell’Eleven Madison Park a New York, ha fatto tirare un sospiro di sollievo a tutti gli amanti dell’alta gastronomia e della cucina gourmet, in particolar modo dopo le dichiarazioni rilasciate l’anno scorso nel pieno della pandemia dell’Executive Chef e titolare del ristorante Daniel Humm: “Spero che potremo riaprire di nuovo le porte, ma il mondo sta cambiando molto velocemente. Non so se sarà mai lo stesso”.

Fin qui, oltre la gioia dei clienti gourmet e di tutti gli appassionati, per la comunicazione della riapertura il 10 giugno del ristorante situato nel cuore di Manhattan che vanta tre stelle Michelin e il piazzamento al primo posto nel 2017 della Guida San Pellegrino dei migliori ristoranti al mondo, tutto a posto, ma a destare sorpresa e sgomento è la decisione di Humm di ripartire con una carta totalmente vegana.

La notizia è stata data la prima settimana di maggio, in anteprima mondiale, durante un episodio del podcast How I Built This della National Public Radio. È proprio l’Executive Chef che dal 2006 gestisce l’EMP a dichiarare: “Il modo in cui si produce il nostro cibo, il modo in cui lo consumiamo, il modo in cui mangiamo carne, non è sostenibile. Questa non è un’opinione, è semplicemente un fatto. Per questo abbiamo deciso che il nostro ristorante sarà al 100% ‘plant-based'”.

Per gli addetti dell’alta ristorazione è stata come una doccia fredda: è la prima volta che un ristorante di tale portata, rinomato in tutto il mondo per la sua anatra arrosto con miele di lavanda, decide di sposare la causa vegana; anche se Daniel Humm in un’intervista rilasciata al Financial Times nel 2020, qualcosa aveva fatto intendere, dicendo che il futuro dei ristoranti è nel veganesimo.

Ci ha visto lungo se si considera la novità di quest’anno della “guida rossa francese”: il riconoscimento della stella verde data ai ristoranti che si distinguono per il rispetto dell’ambiente, le modalità di approvvigionamento delle materie prime, la lotta contro lo spreco alimentare, la corretta gestione dei rifiuti, l’impatto energetico e l’etica lavorativa.

Non solo, questo è stato l’anno del primo ristorante vegano insignito in Francia della stella Michelin: si tratta di Ona, un acronimo che sta per “origine non animale”, nel paese di Ares sulla costa atlantica a circa 40 chilometri ad ovest di Bordeaux, guidato dalla giovane Chef Claire Vallée.

Una svolta questa per una nazione la cui cucina attinge a piene mani dalle proteine e dai grassi di origine animale. Basti pensare a piatti come il fegato grasso (foie gras), il manzo alla borgogna (boeuf bourguignon), il gallo al vino (coq au vin) oppure alla lunga lista di prelibati formaggi. Anche se i più esperti ed attenti conoscitori del panorama gastronomico francese non sono sorpresi da questo “trend” di cui fu pioniere, seppure non totalmente integralista, lo Chef Alain Passard del tristellato L’Arpège nel 2001. Passard al tempo dichiarò: “La cucina francese è modellata sulla carne, ma ho smesso di mangiarla, quindi non voglio continuare a cucinarla”. Effettivamente così è stato e ancora oggi il ristorante mantiene una carta quasi completamente a base vegetale.

Circa dieci anni più tardi, nel 2014, un altro maestro della cucina francese Alain Ducasse proclamava di voler diminuire, nei suoi ristoranti, l’utilizzo di ingredienti di origine animale: “Il Pianeta ha risorse sempre più rare, quindi dobbiamo consumare in modo più etico, più equo”.

Curiosa anche la storia di Alexis Gauthier, il nome tradisce le origini francesi, ma lui dirige da 12 anni ristoranti stellati a Londra, da sempre interessato alla cucina dei vegetali e da sempre presenti nei suoi menù. Autore del libro Vegatronic: quando nel 2010 aprì la sua brasserie a Soho lo fece inserendo accanto alle portate di origine animale, un menu interamente dedicato alle verdure. Fin qui tutto normale. Nel ottobre del 2015, la PETA organizzò un mese vegano internazionale e lo Chef ne approfittò per eliminare completamente tutti i prodotti di origine animale dal menù, rendendolo vegano. La scommessa si rivelò vincente, Gauthier vinse il premio come miglior menu vegano del Regno Unito. Nel 2016 la svolta personale, decidendo di diventare vegano: Credo che sia nostro dovere come esseri umani lasciare il Pianeta in uno stato migliore di quello che abbiamo trovato, e un ottimo punto di partenza è affrontare l’impatto che abbiamo con il nostro consumo inutile ed egoistico di animali”. Ad aprile scorso, in occasione della Giornata mondiale della Terra, Gauthier sulla sua pagina Instagram comunica che alla riapertura il suo “Gauthier Soho” riprenderà l’attività con un menù interamente vegano.

In Italia invece il movimento sembra svilupparsi un pò più lentamente, probabilmente perché nella nostra tradizione gastronomica si fa già un largo utilizzo di ingredienti vegetali, e molti piatti tipici, del sud soprattutto, si prestano facilmente ad interpretazioni vegane.

Nell’ultima edizione italiana della rossa l’unico ristorante vegetariano (non vegano) ad avere il massimo riconoscimento della stella è il Joia, a Milano, dello Chef Pietro Leeman. Merita di essere menzionato il ristorante Vero di Varese, purtroppo chiuso definitivamente durante la pandemia, dello Chef Davide Maffioli che è stato l’unico totalmente vegano ad essere menzionato nella guida Michelin italiana per 2 anni (2019-2020).

Quindi una moda o effettivamente un cambiamento lento e inesorabile dettato soprattutto dalle esigenze del Pianeta? Perché proprio di questo si sta parlando, tutti gli Chef menzionati in precedenza hanno un mantra comune: “L’alimentazione che contempla il consumo di proteine animali non è sostenibile per il pianeta Terra”.

Il messaggio in sé è totalmente condivisibile e inappuntabile dal punto di vista scientifico: l’allevamento di animali da macello è responsabile del 15% del totale di tutte le emissioni di gas a effetto serra di origine antropica (anidride carbonica, metano, protossido di azoto);  si stima che il 75-80% della superficie agricola globale sia dedicata alla coltivazione di colture destinate a nutrire gli animali stipati negli allevamenti intensivi, nel periodo 2010-2015 la produzione di materie prime agricole ha causato la distruzione di 30 milioni di ettari di foresta; eccessivo spreco di risorse idriche se si considera che quasi un terzo del consumo d’acqua nelle attività umane è impiegato per l’allevamento di animali da carne.

Adesso veniamo alla ristorazione, è doveroso operare dei distinguo: gli scrupoli più grandi dovrebbero farseli venire catene di fast food e aziende che riforniscono la GDO e non ristoranti che fanno un’attenta selezione della materia prima. In Italia siamo fortunati, il nostro territorio resiste ancora alla globalizzazione, e ci sono tantissime piccole realtà in ciascuna Regione che operano in modo più sostenibile. Questo rappresenta per la cucina italiana di livello un punto di forza. Infatti, ultimamente, la tendenza da parte degli Chef italiani più blasonati è quella di fare una ricerca maniacale sugli ingredienti dei loro piatti e di valorizzare le piccole eccellenze locali.

Le altre cucine stanno cavalcando l’onda della sempre maggiore attenzione, da parte dell’opinione pubblica, alla sostenibilità ambientale: se ciò può effettivamente aiutare a sensibilizzare la società e rendere i consumatori più consapevoli che ben venga. La carne ed i prodotti di origine animale in genere non dovrebbero essere consumati di frequente: nel 2015 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha classificato la carne rossa come “probabilmente cancerogena per gli esseri umani” e la carne lavorata come “cancerogena per gli esseri umani”. La dieta mediterranea si basa sul consumo quotidiano di frutta, verdura, cereali, olio d’oliva; la carne e le proteine animali hanno un ruolo marginale, se proprio non si riesce a rinunciare ai piaceri della ”ciccia”, la si dovrebbe acquistare da produttori che operano in modo sostenibile.

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