mercoledì, 24 Aprile 2024

“Dalla parte dei braccianti o dei caporali”: scioperano gli invisibili dei campi. Appello alla Politica

A un anno di distanza, Aboubakar Soumahoro torna in piazza a guidare lavoratrici e lavoratori. Braccianti, ma anche tutti quegli invisibili che all'abolizione della povertà non ci hanno mai creduto

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«Il governo faccia la regolarizzazione. Altrimenti, è sciopero».

Così il sindacalista Aboubakar Soumahoro, il 10 maggio 2020 annunciava, in collegamento con lo studio di Lucia Annunciata, il primo sciopero dei braccianti. Lo sciopero degli invisibili. A quell’avvertimento, Matteo Salvini rispose ridendo: «Scioperano i clandestini adesso?».

Quel “clandestino” ha portato nelle piazze migliaia di persone sfruttate, le stesse grazie alle quali sulle nostre tavole c’è sempre cibo. Quel “clandestino”, il mese successivo si è incatenato a Villa Pamphili, a Roma, mentre si svolgevano gli Stati Generali del governo Conte bis: il suo sciopero della fame e della sete ha attirato l’attenzione degli alti scranni, anche se quegli occhi erano troppo impegnati a guardare un altro panorama. Quel “clandestino”, il 5 luglio 2020, è sceso ancora in campo, a piazza San Giovanni, radunando centinaia di precari, lavoratori sottopagati, disoccupati, ambientalisti e, soprattutto, gli sfruttati. Un mese dopo nasceva la Lega dei braccianti, “perché la condizione di vita è assimilabile ai nostri compagni del ’900”.

Faremo una richiesta alla Politica: scegliere se stare dalla parte dei braccianti o da quella dei caporali e degli sfruttatori“. Oggi, 18 maggio 2021, gli invisibili d’Italia saranno davanti a Palazzo Chigi, guidati da quel “clandestino” che nei palazzi del governo non cerca un posto per sé, ma per tutti quei fratelli figli unici sfruttati, repressi, calpestati, odiati.

Oggi chi è fragile è considerato un debole. Gli insegnanti precari, gli operatori sanitari sfruttati, i lavoratori vittime degli algoritmi, i lavoratori delle campagne e quelli delle città, coloro i quali vorrebbero lavorare di più e quelli che un lavoro non c’è l’hanno più. Questi sono gli invisibili. Tutti noi viviamo delle fragilità. Tanti di noi sono, sono stati o saranno invisibili per un periodo della loro vita. È arrivata l’ora che siano queste persone ad illuminare il buio della politica, è arrivata l’ora di accendere la speranza che ci permetterà di essere finalmente visibili agli occhi di tutti e di tutte“. Il manifesto di Comunità invisibili in movimento, il progetto politico di Soumahoro e altri sette promotori, parla chiaro: non solo gli schiavi nei campi, ma tutti quei lavoratori di qualunque categoria il cui volto viene costantemente schiacciato dallo stivale di tanti, troppi caporali.

Soumahoro, in un’intervista rilasciata a Marco Damilano per l’ultimo numero de L’Espresso, ha detto” Cos’è oggi il lavoro? Non si può continuare a parlare di lavoro con un linguaggio monocolore, come fa il Recovery Plan che alla lotta al lavoro sommerso dedica cinque righe su 300″. ” Tutti si nascondono dietro l’equilibrismo politico. Per questo bisogna aprire un processo rivoluzionario, spirituale, morale, espressione di un progressismo trasformativo”.

Rivoluzione. Una parola che, per qualche singolare motivo, non fa paura solo a chi non mette il suo privilegio a disposizione di chi non ne ha. Spaventa soprattutto quelle pance insaziabili che non vorrebbero mai vedere un ivoriano come una Marianne che guida il popolo verso la libertà. Perché lavoro, quello giustamente retribuito, e libertà sono facce dello stesso poliedro.

La riforma della filiera agricola, la patente del cibo (per garantire che sia stato prodotto nel rispetto dei lavoratori e dell’ambiente), il rilascio del permesso di soggiorno per l’emergenza sanitaria convertibile per attività lavorativa, l’abolizione della legge Bossi-Fini e le battaglie per garantire i diritti di cittadinanza non bastano più. Gli invisibili non sono solo la minaccia fantasma che toglieva il sonno a Minniti, costretti a lavorare nei campi per una paga di 25 o 30 euro. Tra quegli invisibili ci siamo tutti noi, almeno una volta nella vita.

Ma negare che ci siano persone che pagano sempre prezzi più salati del nostro sarebbe ipocrita. Foggia, aprile 2021, un Suv affianca un veicolo su cui viaggiano tre braccianti diretti verso il Ghetto di Rignano e spara; Sinayogo Boubakar perde un occhio. Foggia, marzo 2019, Daniel Nyarko, bracciante e custode, viene ucciso mentre era in sella alla sua bici; aveva denunciato una banda di italiani che chiedevano il pizzo. Foggia (ancora), luglio 2019, Kemo Fatty viene colpito al volto da una pietra mentre va a lavorare. Senza contare chi muore sotto al sole, chi si suicida, chi non è riuscito a salvarsi dalle fiamme degli incendi nelle baraccopoli.

Nonostante tutto, la regolarizzazione non è mai arrivata. Le lacrime di Teresa Bellanova sono servite a poco se non “a salvare la raccolta della frutta e della verdura, non la vita delle persone”, come dice lo stesso “clandestino” che faceva tanto ridere Matteo Salvini.

Voglio essere libero, libero come un uomo“, cantava Giorgio Gaber. Ma nessuno dovrà mai più sentirsi libero nel farsi comandare. Non così. Non senza rispetto, senza giusto compenso, senza diritti.

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